El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Nota biografica | Versione lettura |

il rapimento di chang pao

davide vanotti

I velieri di Cheng volavano sul mare sotto il sole tra le onde, apparivano nell’aria vertiginosamente appesi al filo del giorno in lento scorrimento come aquiloni dalle sembianze di draghi incombenti in una ridda beffarda e crudele, o sotto la forma di muliebri farfalle nel vago viaggio di fiore in fiore disperatamente cercando il cibo che le conduca alla fine del proprio tempo. Uomini accovacciati nelle proprie barche di pescatori, il capo avvolto in drappi salini bianchi, donne intente a rappezzare le reti stese sulle spiagge assolate, le mani opache ed accidentate come sentieri acciottolati scardinati dal tempo, ragazzi in pensiero per lo scambio di una conchiglia o il rotolio parabolico di una biglia, il labbro superiore tirato sotto una lanugine lieve trasparente, si fermavano per osservare il rollio superbo di quei colori aerei temendo che da un momento all’altro si rivolgessero verso la riva.
Tra i villaggi costieri vicini al delta del Fiume era corsa voce che il pericolo veniva dal mare. Ed era un pericolo mortale.
Cheng e i suoi uomini erano l’onda lunga e dimenticata di un terremoto scoppiato tra le foreste di mangrovia dell’Annam, quando la dinastia regnante e i nuovi pretendenti al trono si scontrarono cocciando tanto forte da richiamare l’attenzione di tutti i banditi, i tagliagole e gli squali disseminati tra gli orizzonti acquitrinosi del mare cinese e la giungla di rame del regno di Siam. Come cani selvaggi si mossero per anni in branchi calamitosi assaltando insediamenti fluviali e costieri, depredando templi ed incendiando città. Navi, cannoni, munizioni e armi di ogni sorta erano forniti in abbondanza dai signori di Canton, banchieri e mercanti, armatori del sopruso dei quali Cheng Zi, fratello maggiore di Cheng I, era il braccio guerresco e l’esecutore assetato di sangue.
I tesori dell’Annam arrivarono a Canton sulle giunche protette dai pirati. Un affare che, tirati i conti, rendeva bene e dava lustro alle migliori famiglie della città. Tutto andò per il verso giusto fin quando la dinastia legittima del regno usurpato non organizzò una controffensiva con il sostegno morale del Figlio del Cielo e non liberò la baia di Annam dai suoi nemici. In una furiosa battaglia Cheng Zi perse la vita e i pirati furono messi in fuga. Questi fatti accaddero nel sesto e nel settimo anno dell’impero di Jiaqing, che aveva ereditato il potere del grande Qianlong.
Quei poveri pescatori, lontani dalla foce del Fiume per azzardo o per fame, sapevano che l’orda della storia li avrebbe sfiorati, sarebbe passata tra di loro come la brezza del mattino che ti solletica la pancia e avrebbe portato con sé uno di loro?
Quale caso per queste genti? si chiedevano i contadini, i pescatori che cedevano il proprio pane, i propri figli a dei vagabondi; che vedevano i propri figli passare leggeri come vagabondi su navi formidabili e veloci, appostati dietro cannoncini neri pronti a scattare, che mettevano paura con le loro bocche digrignanti e assanguate. I propri figli vagare famelici. I figli vagare famelici e mistici attorno alla casa del padre, avvolti in sudici stracci, nella mano il sole tagliente del pugnale.
Era accaduto a Yen Pao e agli altri pescatori di Sin Hwy; si erano trovati ad una manciata di miglia dalla costa, intenti alla pesca paziente di ogni giorno al largo del Fiume. Sospesi nella speranza che i teli leggiadri stagliantisi sul limite delle rigonfie nubi bianche non li scorgessero, così bassi e sottili, senza vele, senza nome cercavano la propria casa, le reti sulla spiaggia, la spiaggia deserta, vicina e irragiungibile nella piega dell’occhio sopra la barca e l’acqua.
Ma la speranza rimane un’abitudine, incancellabile nonostante le continue ineffabili delusioni ricadano prevedibili sugli uomini cullati dal placido dondolio dei minuti, delle ore. I pirati avevano visto linee sottili sparse davanti alla terra, sul mare più chiaro che schiumando la bagna. Fuggivano lontano, verso un arcipelago sicuro. Incalzati dal vento delle piogge che li avrebbe costretti ad attendere il bel tempo al riparo di una baia per settimane, per mesi o per sempre sul fondo gibboso del mistero marino, non si sarebbero dovuti fermare. Ma erano in cerca di cibo.
Yen nascose nella cesta dei pesci Chang, il figlio quindicenne che doveva imparare, prezioso cimelio di famiglia; lo fece accovacciare e gli gettò sopra il pescato. Ma non pensava. Aveva sentito che portavano via tutto quello che c’era di buono: miglio, riso acqua, armi, braccia e donne. Ma era troppo tardi per pensare.
Quando capì che correvano verso di loro, il caposquadra sventolò il pericolo verso il villaggio: chi era rimasto a terra poteva ancora fuggire.
Furono rapidi come il tempo, li accerchiarono giocando a schivarli, i più audaci slanciandosi stretti a una fune con la sciabola tagliante sul braccio teso. Una zattera leggerissima si avvicinò a Yen, era incredibile che quella zanzara dalle zampe lunghe come trampoli (pali, alberi, timoni per dare ancheggiando una rotta) avesse attraversato il mare, da isola ad isola senza andare a picco; eppure quelli ci stavano sopra come se fossero su un vascello della flotta dell’Imperatore. Inchiodarono Yen con sguardi truci. Tra loro dominava per la stazza il capo, che per farsi più grosso stava seduto in groppa ad un paio dei suoi marinai. Vedendo un uomo inerme, magro e scemo per la rapidità con cui gli erano piombati addosso, bestemmiò le Madri e si mise a ridere tosto. I compagni si gettarono sulla barchetta e spazzarono tutto ciò che si poteva masticare. Altri pirati si fecero vicini alle piccole imbarcazioni, piroettando intorno, descrivendo percorsi elicoidali o lentamente sciabordando accanto. Alcuni pescatori, più inesperti dei soprusi del mare, invaghiti della parola coraggio, tentarono un’improvvisa fuga, ma furono subito presi e spaventati caddero, i rammendi dei pantaloni ingialliti dal sole.
Nella laguna le onde danzavano la varia sinfonia dell’acqua.
Poi le vele colorate si allontanarono, lasciando libere le piccole imbarcazioni alleggerite delle ceste, del pesce pescato. Non avevano toccato i pescatori, non li avevano derubati dei figli: solo Yen piangeva fra le desolanti parole che il mare rivolgeva alla sua barca, vuoto dello scarso raccolto e di ciò che l’uomo aveva nascosto stupidamente sotto di esso.
La preda più ricca, le ceste più pesanti furono portate dai ladroni sul vascello di Cheng I, perché il loro signore e l’equipaggio numeroso si potessero nutrire di pesce fresco e cereali. Quando i cuochi rovesciarono la più pesante delle ceste, furono sorpresi come l’avventore di una taverna che libando vino e addentando ostriche percepisse rotolare dal centro della lingua verso la porta degli incisivi una pallida perla: tra i vimini e i pesci che ancora sbattevano la coda fremendo nel sentore istintivo del placido liquido amico a due, tre scodazzi di distanza, apparve viscido e untuoso un giovane eccezionale, esile ed elettrico come un gimnoto, aureo e delicato come un pagello.
La cena prelibata fu servita scherzosamente su un vassoio al cospetto di Cheng I che ridendo esclamò.
“Benvenuto, acerbo frutto marino!”
Quindi batté le mani e le donne portarono fuori il vassoio tintinnante per lavare e profumare ciò che conteneva. Il giovane tornò bellissimo nei panni di lino semplice, bianco, che indossava come se fosse un reuccio incoronato schiavo. La paura, che ispirava i tagli dello sguardo e i guizzi delle membra legate su un lenzuolo di pesce arrosto, era stata sostituita durante il bagno, lungo ed estenuante, dalla languida postura di un corpo acerbo e dall’espressione inerte di un volto giovane che aspira impaziente al negato riposo. “Sarai sempre accanto a me,” disse Cheng I al giovane che stava in piedi davanti a lui guardando oltre, verso il drappo cinereo e cangiante che rivestiva il legno grezzo della cabina, quasi volesse attraversarlo per raggiungere un angolo buio e impensato. Chi ha parlato? pensò Chang, non ero solo in questo sogno matto screziato di carezze e d’irrisione? e tornò a perdersi oscuramente nell’immagine trasparente, trasfusa dalla lotta, di occhi fondi e limpidi come il pozzo in cui il figlio di un pescatore vide una nuova vita, un nuovo mondo.

Inizio pagina

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Anno 2, Numero 11
March 2006

 

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links