Nota biografica | Versione lettura |
Come grilli, come rane di fiume
saltavamo a Trebbo sul traghetto che porta a Longara
poi di corsa a Bonconvento, alla locanda
strisciavamo sotto la serranda
chiudeva la cucina
mangiavamo l’affettato misto, i cantucci col vin santo
poi in cantina, a finire il vino
a legger le carte, e immaginar le vigne
scappando come lucciole, con il rosso ancora in bocca.
Destarsi il mattino e lavarsi come si fa il bucato
ubriachi dalla mattina, sempre fuori, sempre in piedi
già da tempo nelle osterie le tovaglie erano sporche
la fame come costante
la pentola di pastasciutta come ossessione del pomeriggio
destarsi il pomeriggio e vestirsi come si fa la valigia
tutti sempre a bere, sempre sporchi, seduti sul marciapiede
già da ore nel rione le osterie erano vuote
i giganti venivan giù dal buio di Lamporecchio
da sempre nei bar le insegne sono senza la corrente.
Sono uscito con il gozzo sporco dell’acqua di porto
ho lasciato la città di pietra
il mare prosegue l’idea di pianura
nessuno vuol capire
lo stesso discorso che faccio mille volte sul legno
e mi cucino, mentre tutto trema
e già il silenzio mi cambia l’accento
arriverò fino dall’altra parte, nei bar di legno
a capire se fanno come da questa riva
lambendo le città battute dal vento
barcaioli, legno sulla pianura d’acqua alle otto.