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la letteratura degli scrittori italiani in germania

carmine gino chiellino

A. Nota introduttiva sullo sviluppo della comunità italiana in Germania

A 50 anni dal ritorno degli italiani in Germania emergono con chiarezza cause e fasi di sviluppo che hanno contributo a fare di loro una comunità del tutto particolare tra le comunità italiane all’estero, a fare della sua storia un percorso di emancipazione socio-culturale sorprendente all’interno dell’emigrazione italiana in generale e dell’immigrazione in Germania in particolare.

Condizionati da contratti di reclutamento a tempo determinato, da false attese e da insicurezze giuridiche gli italiani in Germania sono rimasti imbrigliati, per decenni, in una identità negativa e perdente, quella dei Gastarbeiter.
L’identità da Gastarbeiter la comunità degli italiani in Germania l’ha vissuta come non appartenenza e come disinteresse per la comunità di arrivo, e allo stesso tempo come pendolarità emotiva fatta di alternanze tra Italia e Germania, e come pendolarità economica fatta di rimesse al posto di benessere e di investimenti in Germania.

Ma se l’identità da Gastarbeiter ha fatto parte della fondazione e della fase di consolidamento della comunità è anche vero che la comunità nei suoi 50 anni di storia si è data una struttura complessa e speculare a quella della società tedesca. Soprattutto nel corso degli ultimi due decenni la comunità iniziale si è arrichita di tre componenti qualificanti: quella imprenditoriale, quella commerciale gestita sul posto, e quella dei liberi professionisti come medici, avvocati, terapeuti, architetti, scrittori, giornalisti, operatori culturali e sociali e all’interno della società tedesca.

Attualmente la comunità è avviata a superare il peccato originale, che ne ha determinato pesantemente la fondazione e paradossalmente ha contribuito a salvaguardarle tutte le potenzialità per un futuro interculturale all’interno dell’Unione Europea. Se è un dato storico che la comunità si è costituita sulla base degli accordi italo-tedeschi per il reclutamento di manodopera del 1955 è anche vero che nel 1957, a Roma, veniva firmato da: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda quel trattato di Roma, che oggi è visto come l’atto di nascita dell’Unione Europea. Mentre da una parte l’Italia ha partecipato da stato fondatore al progetto Europa, dall’altra i suoi cittadini in Germania sono stati sottoposti a normative nazionali che li ha definiti subito stranieri, nel migliore dei casi cittadini europei, ma non certo equiparati ai cittadini europei tedeschi.

Con l’entrata in vigore della doppia cittadinanza (2002) per i cittadini tedeschi in Italia e per i cittadini italiani in Germania, entrambi vengono riconosciuti per quello che sono sempre stati: cittadini di uno stato fondatore dell’Unione Europea e quindi non più assimilabili a cittadini di stati che non partecipano al progetto Europa. Il riacquisto dei diritti politici garantisce l’appartenenza più completa e trasforma la comunità italiana in Germania in un grande laboratorio di identità europea.

B. Il gruppo fondatore della letteratura degli Italiani in Germania

I dati centrali

I dati centrali della letteratura degli autori italiani nella RFT dalla nascita a tutti gli anni ottanta possono essere sintetizzati in due osservazioni di fondo:

a) Non tutti gli autori che hanno fatto parte del gruppo fondatore hanno posto l'immigrazione al centro delle loro opere. Se lo hanno fatto Carmine Abate, Franco Biondi, Gino Chiellino, Giuseppe Fiorenza dill'Elba, Lisa Mazzi, Fruttuoso Piccolo lo ha fatto solo in parte Giuseppe Giambusso, ed ancor meno lo hanno fatto Antonio Belgiorno, Salvatore A. Sanna e Franco Sepe.

b) La letteratura degli autori italiani nella RFT è nata bilingue in una duplice accezione:
- alcuni dei suoi autori come Carmine Abate, Antonio Belgiorno, Giuseppe Fiorenza dill'Elba, Giuseppe Giambusso e Salvatore A. Sanna scrivono in italiano, altri come Franco Biondi, Gino Chiellino, Lisa Mazzi, e Fruttuoso Piccolo dalla sua terza raccolta di poesie, scrivono in tedesco.
- le opere di quelli che scrivono in italiano sono state pubblicate bilingui come nel caso delle poesie di Giuseppe Giambusso, Salvatore A. Sanna e Fruttuoso Piccolo; o direttamente in tedesco come i racconti di Den Koffer und Weg! di Carmine Abate, e tanti racconti di Giuseppe Fiorenza dill'Elba, pubblicati in annuari e riviste.

L’atto di nascita: Arrivederci, Deutschland!, di Gianni Bertagnoli

A datare l’inizio della letteratura degli scrittori italiani in Germania è stato Gianni Bertagnoli, veronese immigrato in Germania nel 1959. Egli l’ha fatto con un’opera dal titolo Arrivederci, Deutschland!, pubblicata solamente in versione tedesca nel 1964 presso l’editrice Franckh di Stoccarda. Si tratta di un atto di nascita esteticamente modesto. Ma riletto quarant’anni dopo soprende positivamente perché vi si riscontrano i temi, che, a partire della seconda metà degli anni settanta, si riveleranno come fondamentali sia per la letteratura degli scrittori italiani in Germania che per la cosidetta “Gastarbeiterliteratur” nei suoi aspetti più generali.
Arrivederci, Deutschland!, è qualcosa a metà tra cronistoria, a tratti fortemente autobiografica, ed il reportage sul mondo del lavoro, tendenza specifica sia della letteratura italiana che di quella tedesca degli anni sessanta. Gianni Bertagnoli ricostruisce minuziosamente: la selezione di Rino Sorresini attraverso la Commissione Tedesca di Verona e la sua assunzione come operaio per una impresa edile di Poldorf, un paesino nel sud della Germania; il suo viaggio da Verona a Poldorf insieme ad un contingente di contadini ed artigiani meridionali, che come lui vanno a fare gli operai in Germania, e poi i primi 540 giorni del protagonista in Poldorf, che verso la fine del reportage gli fanno dire “Tanti giorni in cui aveva messo radici profonde in un’altro paese”. (pag. 177)
Arrivederci, Deutschland! va preso per quello che è: un continuo esplodere di euforia per il miracolo economico tedesco, che il protagonista vive come una sua personale crescita culturale. Il tono euforico a tratti lo spinge a conclusioni che oggi, lontani dall’atmosfera esaltante dei primi arrivi, meravigliano per la loro ingenuità socio-culturale.

Franco Biondi: il passaggio alla lingua tedesca.

Il non ritorno o piuttosto la pendolarità è uno dei temi fondanti della letteratura degli scrittori italiani in Germania. È merito di Franco Biondi averlo affrontato in tutta la sua complessità nel racconto italiano Il ritorno di Passivanti del 1976, che nel 1982 diventerà il titolo della sua prima raccolta di racconti in lingua tedesca: Passavantis Rückkehr . Il ritorno di Passavanti al paese di origine, in Romagna, non sortisce l'effetto sperato dal protagonista. Il reinserimento nella comunità di partenza non avviene per due motivi: perché la vita fuori ha affinato nel protagonista la percezione della propria dignità e lo spinge al rifiuto di ogni situazione a rischio; e perché il conflitto che lo ha spinto ad emigrare si acuisce ogni volta che il protagonista ritorna al punto di partenza. La decisione di Passavanti di rientrare in Germania è presa nella consapevolezza che il ritorno, vuoi in Germania vuoi in Italia, non potrà mai trasformarsi in una forma di vita stabile. Sono proprio le ultime sequenze del racconto a suggerire la pendolarità come forma di vita della prima generazione di immigrati verso il Nordeuropa: “Er verspürte einen plötzlichen Hunger und holte sich im Speisewagen ein Mortadellabrötchen und aß es am Fenster. Ein Schnellzug mit deutschen Waggons bohrte sich an ihm vorbei. Er erkannte das an der grünen Lackierung.“ (pagg. 29-30). Grazie ai racconti in lingua tedesca di Biondi la letteratura di scrittori non tedeschi raggiunge credibilità letteraria sia per l'intensità e la completezza di analisi, con cui viene presentata la vita in immigrazione, sia per la solidarietà dello scrittore verso i protagonisti dei suoi racconti.
Ma Biondi non si è arrestato alla pendolarità. Ai racconti delle raccolte Passavantis Rückkehr e Die Tarantel (1982) ha fatto seguire la novella Abschied der zerschellten Jahren (1984) in cui il giovane protagonista Mamo, nonostante le sue difficoltà generazionali e di integrazione nel mondo del lavoro, è deciso a dare un senso alla sua giovane esistenza in Germania. Mamo sa bene che se per lui la Germania non è disposta ad essere una “Heimat” , essa è l’unico paese dove vuole costruirsi un futuro. In seguito al rientro della famiglia, a cui il protagonista è legato dal permesso collettivo di soggiorno, Mamo viene colpito da un mandato di espulsione. Il giovane protagonista si vede in pericolo e trasforma il conflitto in violenza. La novella finisce con Mamo armato e barricato in casa ad aspettare l'assalto dei poliziotti. Il passaggio dai racconti alla novella è un momento significativo per lo sviluppo della lingua tedesca scritta da Biondi. Con la novella il suo tedesco si libera dal realismo sociale dei racconti, si emancipa da ogni priorità etno-sociale, per tentare la via dell’interculturalità. Da una parte la lingua di Abschied der zerschellten Jahren viene frazionata in segmenti socio-linguistici, per ridare i diversi settori sociali in cui si svolge la vita di Mamo dall’altra l’autore l’arricchisce di prospettive inconsuete. Basta leggere la lingua con cui Mamo parla a se stesso, più che alla sua ragazza, o la lingua dei sogni del vecchio Costas o quella dell'autore, quando analizza la situazione dei giovani nella Germania degli anni settanta/ottanta, per sentire quanto esse siano in aperto contrasto con canoni letterari della letteratura tedesca monoculturale di fine novecento. Il contributo di Biondi consiste proprio nel sottolineare la policentricità di ogni lingua nazionale come possibile punto di partenza verso una lingua tedesca aperta ad un futuro interculturale.

Giuseppe Fiorenza Dill’Elba: uno operaio scrittore

Mentre Franco Biondi componeva i racconti e la novella sulla riva sinistra del Reno, nei pressi di Magonza, su quella destra, a Rüsselsheim in un alloggio della Opel, l’operaio ed ex ciabattino, Giuseppe Fiorenza Dill’Elba scriveva la sua storia dell’immigrazione italiana in Germania, partendo dal presupposto che : “Nella disperazione / diventi poeta / (o delinquente) / come ci terrei / estraniarmi al gioco”. (1981, pag. 31). Quella di Fiorenza Dill’Elba è una storia bifronte fatta di emigrazione e d’immigrazione documentata in centinaia di racconti, in gran parte rimasti inediti, a causa della scomparsa del cronista. Nei suoi racconti di dimensioni diversissime lo scrittore operaio ricostruisce, con grande passione per i dettagli, la vita sociale di un paese siciliano durante il fascismo, l’emigrazione dall’isola ai tempi del miracolo economico del Norditalia, l’impatto di centinaia di migliaia di artigiani e di contadini meridionali con il lavoro nelle fabbriche tedesche degli anni sessanta, la quotidianità internazionale ma ghettizzata negli alloggi della Opel, il tempo libero passato in stanzetta davanti alla macchina da scrivere e le pendolarità natalizie, pasquali ed estive tra Rüsselsheim e Centuripe. Le sue raccolte di poesie come La chiamerei Anna (1981), il reportage autobiografico dal titolo: Adernò, la Roma della mia infanzia (1984), i racconti e le poesie del volume Fast ein Leben / Quasi una vita (1991), e Un freddo estraneo. Memorie di un emigrato in svizzera (1991) di Fiorenza Dill’Elba ridanno una vita ai margini della società civile e ai livelli più bassi del mondo del lavoro, ma sempre rivendicata come degna di essere vissuta. La sua tecnica narrativa o poetica si annuncia sempre in forma di un aneddoto per scoprire un microcosmo fatto di interessi contrastanti. Nel corso del racconto o della poesia gli interessi implodono in aperto contrasto con la volontà dell'autore di ragionare, di darsi delle ragioni, di razionalizzare l'accidentale. Questa sua volontà di darsi una spiegazione, di chiarire a sé e agli altri i fatti piú quotidiani si annuncia in modo esemplare in una delle sue primissime poesie dal titolo Nulla cambia, dove viene descritta la permanenza in ospedale. Se con il titolo Fiorenza Dill’Elba vuole sintetizzare la disumana stabilità nella vita di ogni immigrato, quel “nulla cambia” è in aperta contraddizione con il decorso traumatico a cui viene sottoposto l’io della poesia. L’io ha già subito un crescente estraniamento dalla sua condizione di essere umano, è diventato forza lavoro a disposizione di capitali internazionali, è esposto ad uno stato di disagio fisico in un ospedale senza possibilità di comunicazione, e viene lasciato alla sua solitudine durante l’ora delle visite, ma egli si riappropria della sua identità proprio nei versi finali dove un io “accartocciato” ritorna a se stesso con quel vivissimo “e m’arrovento”.

Capitali internazionali,
opera internazionale,
pazienti internazionali.
Nulla cambia,
neppure all’Ospedale.
Si parla in plurilingue
e non si capisce niente.
Ed io
all’ora delle visite
accartocciato,
in un angolo della Halle,
copro il viso con le mani,
e m’arrovento. (1981, pag. 108)

Di Fiorenza Dill’Elba va ricordato che la sua grande passione di documentarista lo ha spinto a raccogliere numerosissime e disparate prove della sua vita da emigrato. Di esse fanno parte le cartoline elettorali, che lo hanno raggiunto nei posti più diversi dei suoi trent'anni da immigrato, le lettere e le cartoline, che si faceva spedire dai colleghi di lavoro quando andavano in ferie, le foto di ogni occasione politica, culturale e privata a cui ha potuto partecipare, i ritagli di giornali sulle sue attività letterarie da membro della PoLiKunst (vedi sotto), i biglietti dei viaggi tra Centuripe e Rüsselsheim. Dopo il rientro a Centuripe da pensionato Opel, ha trasformato la sua raccolta in un museo privato sull'immigrazione, quasi per sapersi in armonia con un passato, in cui non gli è stato concesso di scegliere né i luoghi né i tempi del suo vivere.

Lisa Mazzi e il filone della letteratura al femminile

Ad inagurare il filone della letteratura al femminile per raccontare la presenza delle donne in emigrazione è stata Lisa Mazzi-Spiegelberg con il suo volumetto Der Kern und die Schale (1986), in cui viene narrata l’immigrazione di Aurora che vive con un partner tedesco; di Vera, figlia intellettuale sfuggita ad un futuro di madre italiana; di Marta, madre italiana sul Mare del Mord, della femminista e omosessuale Graziella e dell'attrice Rebecca che esita ad accettare un’offerta di lavoro che la riporterebbe in Italia. Per Lisa Mazzi l'emigrazione non è l’ingresso in una fabbrica tedesca ma una fuga verso l’emancipazione. Ma più che di emancipazione socio-politica sarebbe più corretto parlare di immersione nell’anonimato delle città tedesche per allentare la tensione del controllo sociale a cui le sue protagoniste erano sottoposte al paese di origine. L’anonimato sociale in cui si vive da stranieri, permette di liberarsi da ruoli sociali vissuti come fonte di disagio e di indipendenza. Lisa Mazzi esemplifica al massimo la sua idea di fuga e immersione nell’anonimato per giungere a se stessi nel ritratto di Graziella. Graziella è venuta in Germania per vivere il suo amore per il giovane tedesco Detlef, l’allentamento del controllo sociale ovvero l’anonimato le permette di guardarsi dentro e scoprire la sua omosessualità, ma le permette anche di vivere il suo impegno sociale nella funzione di insegnante per figli di immigrati.
I racconti-intervista o monologhi-autoritratti di Lisa Mazzi sono aspetti diversi di una storia unica, in cui le protagoniste si interrogano su se stesse e su come ampliare il loro senso di appartenenza culturale. Esse sono coscienti di quanto sia complesso giungere ad una sintesi tra i due poli etno-culturali della nuova esistenza. Tocca a Rebecca formulare la domanda a cui la prima generazione degli immigrati non riuscirà a dare una risposta definitiva: “warum darf man nicht beides mischen? Warum gelingt es mir nicht, hier und dort zufrieden sein? Warum bleibt diese ewige Sehnsucht?" (pag. 69).
Bisogna attendere la metà degli anni novanta per vedere fiorire il filone della letteratura al femminile grazie alle prime opere di altre scrittrici italiane come: Marisa Fenoglio con Casa Fenoglio (1995) e subito dopo Vivere altrove (1997); Antonella Villa con Brezel calde (1995); Marcella Continanza con Piume d’angeli (1996); Livia Neri con Il pane degli altri (1998); Donata Trovè Die Reise / Il viaggio (1998); e Lisa Mazzi stessa con il secondo volumetto dal titolo Unbehagen (1998).
Rispetto alla letteratura delle altre minoranze, dove il filone femminile è stato subito forza fondatrice e trainante, il suo sviluppo all’interno della letteratura della minoranza italiana è un divenire anomalo. La specificità della letteratura al femminile all’interno della letteratura interculturale in Germania è consistito nel presentare la società tedesca come aconflittuale, come una società in cui alle protagoniste straniere, scappate da conflitti familiari e culturali, è dato intraprendere un processo di auto-liberazione secondo i modelli socio-culturali del movimento femminista europeo. Gli interessi specifici della donna immigrata vengono sottolineati già attraverso una scelta dei luoghi diversa da quelli presenti nelle opere dei colleghi scrittori. Il mondo del lavoro, che nella letteratura al maschile, è il punto focale di ogni opera, la ragione per cui si è immigrati, nelle opere al femminile è solamente uno dei luoghi di riferimento per la donna immigrata, e, spesso, del tutto marginale. La ricerca del partner viene spostata all’esterno della propria comunità per non incorrere nei conflitti, da cui le protagoniste sono emigrate. Né tanto meno c’è da aspettarsi una protagonista nel ruolo di madre. L’impegno e le proposte estetiche della letteratura europea al femminile hanno spianato la via alle autrici delle minoranze. Allo stesso tempo però hanno ritardato lo sviluppo di modelli estetici autonomi per una letteratura interculturale ed autonoma. Il ritardo è dovuto al fatto che l’accentuazione dei temi al femminile su modelli monoculturali è avvenuta a scapito della dimensione interculturale delle opere.
Ma che cosa è successo nella letteratura della minoranza italiana? Lasciando da parte le opere di Marisa Fenoglio, di Marcella Continanza e di Antonella Villa che verranno trattate di sotto, va detto che opere al femminile come Die Reise / Il viaggio di Donata Trové e Il pane degli altri (1998) di Livia Neri con protagoniste così diverse e lontane tra loro sorprendono per la loro vicinanza strutturale. Se le allontana la così diversa qualità della lingua e della vita delle protagoniste li riavvicina il pendolarismo della loro biografia. Nel volume dichiaratamente autobiografico di Donata Trovè è l’impostazione del racconto che mette in risalto la pendolarità: il viaggio autobiografico con cui Donata Trovè ricostruisce la propria vita da immigrata viene intrecciato con il racconto di un ultimo viaggio in Germania, dove la protagonista, ritorna per affidare le memorie della sua vita a figlie e nipoti.
Nel titolo Il pane degli altri di Livia Neri si riconosce la matrice dantesca e la cosa sorprende non poco. Per Dante l’esilio (l’emigrazione per gli immigrati) inizia quando il signore o la società rifiutano l'ospitalità (pari opportunità per gli immigrati), per cui esiliati ed immigrati si vedono costretti a diventare esiliati od immigrati per una seconda volta all'interno del paese, da cui si aspettavano accoglienza o normalità. Da qui nasce la rivolta della protagonista di Livia Neri che dopo decenni di immigrazione e di apparente integrazione lascia il marito tedesco e il figlio per rientrare agli odori, sapori e colori dei luoghi della sua infanzia. Se la protagonista ritorna alla memoria monoculturale della propria origine è pur vero che il suo progetto di vita ha generato in lei una memoria interculturale che la legherà per sempre al suo passato in Germania. Sembrerebbe che la pendolarità al femminile ritorna all’emigrazione, mentre quella al maschile insiste sull’immigrazione.

Fruttuoso Piccolo: Tante solidarietà per superare gli antagonismi etno-sociali

Nella sua prima raccolta 1970-1980 Dieci anni fra due mondi (1980), Fruttuoso Piccolo si era presentato, ed in toni decisi, come immigrato anarchico e scrittore di lingua italiana, che affermava:
Ma già con la seconda raccolta dal titolo Arlecchino Gastarbeiter , (1985), Piccolo supera l’isolamento e fa un’operazione di inserimento nella lingua tedesca, che diventerà la lingua della terza raccolta. L’operazione consiste nell’autotraduzione e rielaborazione dei testi scritti in lingua italiana, per giungere ad una pubblicazione bilingue. Anche questa è una via per passare dalla lingua di appartenenza culturale alla lingua in cui si vive. L’autotraduzione, che è stata praticata da tanti scrittori bilingui, permette a Fruttuoso Piccolo di saggiare la presenza di sé nella lingua in cui vive, anche se per forza di cose non ha ancora una sua memoria individuale. Alla sua terza raccolta Piccolo ha dato un titolo volutamente progettuale durch die Sprache ein ander(es) Ich, (1987). Ma sarebbe fuorviante vedere nella “Sprache” che trasforma il suo “Ich” una sorta di “melting pot” per la creazione di cittadini italo-tedeschi. Gli scrittori italiani in Germania non hanno mai tematizzato il modello “melting pot” né a livello estetico né su quello giuridico-esistenziale. Né gli autori, né la critica letteraria ha mai osato parlare di letteratura italo-tedesca; né tanto meno si è mai ipotizzato un soggetto giuridico italo-tedesco, neanché per le giovani generazioni provenienti da matrimoni interculturali di partner di cultura italiana e di cultura tedesca.
Fruttuoso Piccolo punta specificatamente sulla solidarietà interculturale per superare gli antagonismi etno-sociali, che frenano la convivenza tra minoranze e società tedesca. La solidarietà tra uomo e donna si fa amore interculturale nel ciclo Liebe aus der Ferne ; e la solidarietà operaria diventa solidarietà tra le minoranze nella RFT nei due cilci: Echo der Wanderung e Tempo "Gastarbeiter . A tali forme di solidarietà esistenziale Fruttuoso Piccolo aggiunge la solidarietà tra scrittori contro le strettoie estetiche del nazionalismo nel ciclo Der Nationalismus ist unfähig zur Poesie . Ma il sogno di una società solidale con se stessa Fruttuoso Piccolo l’affida alla solidarietà degli strati subalterni, che dal mondo del lavoro la dovrebbero trasbordare nella società civile, per giungere al superamento di ogni discriminazione e di ogni ordinamento etno-sociale, come nella poesia seguente:

EIN DURCHEINANDER

voreinander
nebeneinander
füreinander
miteinander
gegeneinander
übereinander
ineinander
hintereinander
untereinander
aneinander
beieinander
auseinander

durcheinander (1985, pag. 43)

Il contributo estetico di Fruttuoso Piccolo all’interno della letteratura degli scrittori italiani in Germania è documentato dalle sue “performances”, dove recitazione, grafica e altre forme di intervento, ridanno materialità semantica alle parole di un testo del tipo: Tempo 1983 Ausländergesetz § 10 Ausweisung. Ein Ausländer kann ausgewiesen werden, wenn

Tempo er
Tempo gegenüber
Tempo einer
Tempo amtlichen
Tempo Stelle
Tempo zum
Tempo Zwecke
Tempo der
Tempo Täuschung
Tempo unrichtige
Tempo angaben
Tempo über
Tempo seine
Tempo Person,
Tempo seine
Tempo Gesundheit,
Tempo seine
Tempo Familie,
Tempo seine
Tempo Staatsangehörigkeit,
Tempo seinem
Tempo Beruf
Tempo oder
Tempo seine
Tempo wirtschaftlichen
Tempo Verhältnisse
Tempo macht
Tempo oder
Tempo die
Tempo Angaben
Tempo verweigert. (1988, pag. 22)

Gino Chiellino e lo scrivere una lingua senza memoria

Gino Chiellino ha iniziato a scrivere poesia nel 1973 e direttamente in tedesco. La sua prima opera Mein fremder Alltag (1984) è una raccolta di poesie “occasionali” con cui viene documentata la nascita della scrittura in una lingua senza memoria storico-culturale. In tal senso Chiellino propone in poesia quello che Franco Biondi ha creato in prosa. Le poesie di Mein fremder Alltag ridanno la quotidianità di un io estraneo alla lingua dell’opera. L’io entra in contatto con il tedesco in quanto lingua che gli viene parlata e che non gli lascia spazio per esprimere quello che lui non è in quella lingua. Da qui nasce l’incalzare sarcastico con cui l’autore allontana da se la lingua dei suoi interlocutori, come nel caso di "Veränderung: Ein Gastarbeiter / besteht / aus vier Teilen/ dem Ausländergesetz, / der Arbeitserlaubnis, / der Aufenthaltserlaubnis/ und / einem Ausländer." (1984, pag. 13). E la raccolta si conclude con la poesia Der deutsche Paß (pag. 91), come rifiuto di un modello di integrazione alla “melting pot” , che costringe a diventare diversi da se stessi. Un rifiuto che dopo trent’anni di scrittura si svela come modello estetico, nel senso che il rifiuto del passaporto tedesco, della norma, dell’accettare progetti e modelli estetici esistenti e monoculturali, ha permesso a Chiellino di giungere a scrivere letteratura interculturale in lingua tedesca. In altre parole egli è riuscito ad integrare nella lingua della sua poesia la memoria storico-culturale che si era sedimentata nelle sue altre due lingue: il calabrese e l’italiano:

E paroe

e paroe
eranu
de nostre
e cu ille a vita
poi la lingua
si fece diversa
e la vita era
quella degli altri
Zu einer Fremdsprache
wurde das Leben
in der Fremde gehört es
uns wieder (1987, pag. 59)

A Mein fremder Alltag sono seguite le raccolte Sehnsucht nach Sprache (1987) e Sich die Fremde nehmen (1992) con cui Chiellino si è rivolto al tema della “Fremde” convinto che essa possa essere superata con una paziente analisi dei diversi strati che la compongono. Presupposto per il suo superamento è la coscienza che immigrando si va incontro ad uno stato di estraniamento e crescita culturale, e allo stesso tempo si diventa portatori di diversità per la società di arrivo. Solo intuendo il doppio ruolo della “Fremde” si riesce a viverci insieme senza esserne determinati

eine Sinopia des Lebens ist
aus Wünschen und Farben
in rauhen und in milden Jahren
aus Wille und Zeichen
auf Sand- und Steinboden
über das ganze Land
aus uns entstanden

einige nahmen sich das Leben
keiner trat allein auf um
sich die Fremde zu nehmen

das Bild liegt noch vor uns
die Entscheidung ist nicht mehr. (1992, pag. 27)

Giuseppe Giambusso, da Ignazio Buttita a Nazim Hiktmet

Giuseppe Giambusso costituisce il punto di passaggio più fluido tra quegli autori, che tematizzano la vita fuori dalla propria cultura di appartenenza e la definiscono immigrazione, e quelli che non si limitano ai temi dell’immigrazione, ma rivolgono la loro attenzione anche ad altre realtà ed ad altri progetti di vita.
Nelle sue due raccolte di poesie Al di là dell'orizzonte/ Jenseits des Horizontes (1985) e Partenze / Abfahrten (1991), pubblicate bilingui, Giambusso ritorna sull’immigrazione nei due capitoletti della prima raccolta: Vorrei essere popolo e Lettere in versi dalla Sicilia . Negli altri tre capitoletti tratta invece argomenti più generali come la pace e il militarismo in Dietro le bandiere ; l'amore in L'aurora e l’insensibilità ecologica nei confronti del proprio ambiente in Tre seni alla luna.
Il passaggio dalla prima alla seconda raccolta si avverte anche per l’ampliamento dei modelli estetici. Nella prima raccolta predominano immagini, spazi aperti e contenuti, che riportano alla poesia italiana degli anni 60/70. A quella poesia che non aveva ancora rinunciato ad una sua funzione sociale, e dove poeti-cantastorie come Ignazio Buttita la esprimevano a pari merito di Pier Paolo Pasolini. Nella seconda raccolta Giambusso fa esteticamante suoi gli impulsi dell’interculturalità nascente in Germania, ponendosi come traguardo creativo il superamento del proprio orizzonte-confine culturale ed estetico.
Per Giambusso il superamento delle strettoie di ogni cultura e letteratura nazionale, che per quanto democratiche esse possano essere, rimangono pur sempre legate a ruoli e a visioni di culture e letterature nazionali, vuol dire ampliamento della propria percezione culturale e dei modelli estetici ereditati, così come l’autore l’aveva annunciato nella poesia dal titolo L'aurora della sua prima raccolta.

Tu sei stata soltanto l'aurora
dell' amore che ora cresco
come se fosse un bimbo.
Ma i miei sogni muoiono sempre
dove il cielo si confonde con il mare
come l'aurora quando si alza. (1985, pag. 98)

Il progetto interculturale di Giambusso si richiama da una parte ad esperienze di una vita vissuta fuori dalla propria appartenenza culturale dall’altra alle opere di poeti non italiani, che senza rinunciare alla loro memoria storica e culturale, sono riusciti a superare i limiti della letteratura nazionale imponendosi come autori senza orizzonte-confine. Tra essi ricordo il turco Nazim Hikmet ed il cileno Pablo Neruda, cosí presenti in molti passaggi delle poesie di Giambusso come in quella aurora, che è un continuo rinascere del gran sogno di riuscire ad andare al di là di un orizzonte costruito su interessi e pregiudizi di classi sociali e protetto dai confini nazionali. Ma nelle poesie di Giambusso non c’è un noi salvifico a cui affidarsi in momenti di sconforto o di rivoluzioni. Tocca sempre all’io sapersi rimanere fedele evitando di farsi preda di soluzioni facili, resistendo alla seduzione di chi, incapace di esporsi alle diversità, insiste sull’uguaglianza, come nella poesia dal titolo Diversità

Non propormi
ricette di vita
né specchi
che ci riflettono a metà
né l’uguaglianza
delle due gocce.

Non vedi
che affondo le mani
nel pozzo della mia diversità
e non riesco a toccarne
la fine? (1991, pag. 102)

Franco Antonio Belgiorno: Wiesbaden-Modica un binomio creativo

Con Franco Antonio Belgiorno si aggiunge al gruppo fondatore uno scrittore che della pendolarità ha fatto il suo marchio letterario. Le sue opere le ha scritte finora a Wiesbaden, dove vive, e continua pubblicarle a Modica, dove ha vissuto parte della sua prima giovinezza. Nella raccolta di 27 poesie dal titolo Quaderno tedesco del 1974, Belgiorno tratta la vita fuori dalla propria cultura ma sulla base di modelli classici, che lo portano a presentarla come peregrinazione esistenziale tra vita e morte, tra noto e diverso, tra partenza ed attesa. Quindi non desta meraviglia che nei due quaderni successivi, entrambi inediti: Quaderno di Ulisse - Liriche 1977/78 e Aspettando la notizia - Liriche 1978/1979, l’immigrazione vi arriva ancora più velata, lontana da ogni impeto politico e sempre interpretata attraverso esperienze letterarie, come nella poesia seguente di chiaro stampo pirandelliano:

A volte mi credo
e non mi credo
e mi consumo.
Per dirla con Pirandello
sono talvolta uno
piú spesso centomila
e alla fine nessuno.

Il paradigna pirandelliano Uno, nessuno e centomila si adatta perfettamente a filtrare le esperienze fatte fuori che portano l'uno a superare l'essere nessuno quando si è costretti a vivere nell'anonimato, e a diventare centomila riconoscendosi nella comunanza delle esperienze di altri immigrati. Il capovolgimento del paradigma da: uno, nessuno e centomila; ad: uno, centomila e nessuno ripropone sfiducia esistenzialistica giá annunciata in quel “mi consumo” della prima parte, riaffermata senza mezzi termini in quel “e alla fine nessuno”, messo a chiusura della poesia. Si può osservare che la posizione di Belgiorno non giova a chi vive da immigrato; però non può essere mai interpretata come atteggiamento autolesivo. Essa racchiude in sé la volontà di documentare il percorso che garantire, a chi vive fuori, un rapporto con se stessi anche se a livelli minimi. Se la riduzione esistenziale ed estetica è il segno inconfondibile del poeta Belgiorno, il narratore invece si affida ad una lingua espansiva fino all’invadente. Ciò avviene sia nei 28 capitoletti che costituiscono il suo sottilissimo volume dal titolo Il giardino e l’assenza sia della più sostanziosa raccolta L’arca sicula, entrambi del 1997. La loro lingua è espansiva ed invadente perché capitoletti e racconti nascono da un narrare, da un descrivere che si espande dall’interno verso l’esterno e che invade dall’esterno l’interno. La lingua di Belgiorno è un continuo oscillare tra vita privata esposta al pubblico ed il pubblico che invade il privato. Ci? avviene perché cos? sono strutturati i rapporti privati e sociali di una città mediterranea come lo è Modica, e ciò? avviene perché la topografia e l’architettura della città non prevede altra forma di comunicazione se non l’espansione del privato e l’invasione attraverso il sociale. Il giardino e l’assenza e la raccolta L’arca sicula sono inoltre due opere che si integrano anche sul piano dei contenuti, nel senso che formano un sistema unico di vasi comunicanti. In Il giardino e l’assenza il racconto ruota intorno ad una più che evidente corrispondenza tra io narrante ed autore, che viene documentata da date, luoghi e nomi, per sostenere la veridicità dei contenuti più che per dare un taglio autobiografico al racconto. Il giardino è quello della casa del nonno, che ormai ha perso il suo rigoglio per l'estinguersi delle generazioni che avevano fatto dei giardini i loro unici e possibili salotti. Ma il giardino è anche Modica che si disfa sotto l'infierire del clima, ed il giardino è anche la Sicilia intera vista dall'aereo prima di atterrare a Catania. L'assenza è la vita vissuta lontana dal giardino, la non presenza dell’io narrante, che fa sapere di sé: "Nel momento in cui l'uomo metteva piede sulla luna io allunavo ad Amburgo" (1997, pag. 8).
Mentre ai lettori che non hanno mai lasciato “Il giardino” e che non si sono mai espoti all' “assenza” l’autore offre uno squarcio di vita fuori, che gli permette di trasformare in esperienza interculturale la sua assenza. Lo fa riandando al suo ingresso nella cultura della Germania degli anni settanta, riandando al primo incontro con la famiglia della donna che diventerà la sua compagna, quella Brigitte a cui sono dedicati anche i racconti di L’arca sicula. Nella seconda raccolta Belgiorno costruisce una società civile intorno all’io narrante di Il giardino e l’assenza , per liberarlo sia dal giardino che dall’assenza e si direbbe che ci sia riuscito. Il motivo del successo dell’operazione sta nel fatto che nei racconti di L’arca sicula l’autore riesce a fondere in una unica memoria la memoria individuale dell’io narrante con quella collettiva della società civile, ad integrare il giardino e l’assenza, cioè lo spazio ed il tempo frantumato dall’emigrazione.

Salvatore A. Sanna, un montaliano a Francoforte sul Meno.

Con le sue quattro raccolte di poesie: Fünfzehn Jahre – Augenblicke (1978), Wacholderblüten(1984), Löwen-Maul (1988) e Feste (1991), scritte in italiano e pubblicate bilingui, Salvatore A. Sanna fa parte completamente a sé. I motivi per questa sua singolare posizione sono diversi, ma in primo luogo perché la poesia di Sanna nasce come progetto estetico all’interno della letteratura nazionale, sulla scia della poesia montaliana. A Montale riportano due elementi di fondo delle raccolte di Sanna: Il rapporto dell’io con la natura e con i paesaggi urbani, ed il colloquio costante tra l’io ed il tu. Ad esse va aggiunta l’accurata scelta di un lessico, a volte ai limiti del desueto, con cui l’autore costruisce la lingua delle sue poesie. Se da una parte Sanna si sa nella scia della poesia italiana del Novecento dall’altra ha rivendicato apertamente la posizione autonoma della sua poesia definendola un esempio di “letteratura de-centrata”; e cioè di una letteratura che si sviluppa lontana dal centro e quindi in piena autonomia. Oltre ad essere decentrate culturalmente le quattro raccolte di Sanna sono da considerare autonome anche per un altro motivo. Esse sono prive di centralità per quanto riguarda i contenuti ma sono tenute insieme da una ben visibile continuità dei modelli estetici. Alla varietà dei contenuti fa da contrappeso la continuità estetica. La poesia di Sanna non è improntata all’impegno sociale immediato che contraddistingue il gruppo fondatore della letteratura degli scrittori italiani in Germania. Tuttavia non si deve pensare che la poesia di Sanna nasca in una specie di sottovuoto di italianità asettica all’interno della vita di una metropoli come Francoforte. Le sue raccolte sono ricche di poesie in cui l’incontro domina sovrano: sia per l’abbondanza dei paesaggi: sardi, tedeschi, francesi, svizzeri ed europei in genere, sia come incontro tra un io ed un tu appartenenti a culture diverse. L’impianto tematico delle poesie richiede una lingua capace di esprimere in contemporanea: se stesso e l’altro, il consueto e l’inconsueto, l’ identità e la diversità personale o culturale. L’italiano delle poesie di Sanna è un italiano che ha dovuto aprirsi alle diversità culturali delle esperienze del suo io lirico per non venire penalizzato dalla fedeltà ai modelli della poesia metropolitana a cui Sanna deve tanto ma sempre in forma autonoma come succede in Ritorno a casa della sua ultima raccolta dal titolo Mnemosyne (1999):

Ritorno a casa

Il nostro primo viaggio
è stato un volo
con le ali del maggiolino
Sui campi fioriti
dell’altipiano
I tuoi occhi
brillavano d’esuberanza
e di velata paura
per l’incontro (1999, pag. 38)

L’italiano di Ritorno a casa si è fatto interculturale perché rende possibile una lettura della poesia in due direzioni culturali. La poesia di Sanna si evolve intorno alla configurazione semantica dei pronomi personali noi e tu ed al dualismo tra ritorno a casa ed incontro. La configurazione semantica dei pronomi noi e tu viene ridata con i possessivi “nostro” e “tuoi” e serve prima di tutto ad evidenziare il viaggio come progetto comune dei componenti del noi: io e tu. Quindi dal noi della prima scena si passa ad un tu senza io nella seconda scena e così il “nostro viaggio” si fa “incontro” ma solo per il tu. Il lettore si trova di fronte ad una asimmetria di esperienze durante un progetto comune, che lo potrebbe spingere a pensare ad una situazione interculturale, anche se non necessariamente tale. Il titolo della poesia, quale indicazione esterna al testo, aiuta ancor meno visto che il sostantivo “ritorno” non è connotato né con un articolo né con un aggettivo possessivo come nostro per “viaggio” o tuoi per “occhi”. Trattandosi di un primo viaggio che diventa ritorno solo per uno dei due partner penserei al ritorno del tu, tra l’orgoglio e la paura, di esporre il consueto, i suoi genitori, al desueto: un partner di un’altra cultura. Se così fosse il ritorno a casa di uno solo dei partner è veramente un incontro interculturale per l’altro partner e per coloro che vengono esposti alla diversità del partner. La doppia connotazione semantica di “incontro” è il primo elemento che rende interculturale l’italiano di Sanna. La valenza interculturale di incontro viene irrobustita dal fatto che il “ritorno a casa” è vissuto come “un volo con le ali di un maggiolino”.
L’idillio, che deve rendere lieve un incontro a rischio, può nascere solo perché il “Käfer” della Volkswagen passando per l’italiano si è fatto “maggiolino”. Ad un maggiolino è possibile applicare delle ali per spiccare il volo. In lingua tedesca la stessa metafora farebbe arricciare il naso, perché il Käfer della Volkswagen non è convertibile in Maikäfer, senza perdere il suo significato di auto. Nella lingua italiana della poesia di Sanna un maggiolino inteso come auto, riporta alla cultura tedesca. Quindi verrebbe da pensare che “il nostro viaggio” in realtà corrisponde ad un “viaggio altrove” per l’io ed un ritorno a casa per il tu, che si trasforma in un incontro a rischio perché il tu si è fatto portatore di diversità. La provocazione interculturale della lingua italiana di Sanna consiste nel descrivere un “ritorno a casa” che non corrisponde alla memoria storia della lingua in cui esso avviene.

C. Il contributo degli scrittori italiani alla nascita di una letteratura interculturale in Germania.

Il contributo degli scrittori italiani alla nascita di una letteratura interculturale in Germania è stato determinate sia sul piano pratico che su quello estetico.
Sul piano pratico si deve a Franco Biondi, Gino Chiellino, Giuseppe Fiorenza Dill’Elba, Giuseppe Giambusso e Fruttuoso Piccolo, che gli scrittori italiani abbiano svolto un ruolo significativo nell’associazione “PoLiKunst” (Polynationaler Literaur-und Kunstverein) e nella creazione di due collane letterarie per scrittori stranieri. La “PoLiKunst”, fondata nel 1980 e austoscioltasi nel 1987, da una parte ha stimolato la discussione interna su una letteratura e su un’arte create dall’interno delle minoranze etno-culturali in Germania, dall’altra ha contribuito a rendere pubblico il nuovo movimento artistico-letterario organizzando delle settimane di letteratura e di arte in collaborazione con gli assessorati alla cultura di città come Friburgo, Magonza, Hannover, Monaco, Augsburg; e pubblicando tre annuari con opere di letterati ed di artisti stranieri. Rendendo visibile il nuovo movimento artistico-letterario, creando sensibilità presso il pubblico tedesco, la “PoLiKunst” ha contribuito a che gli scrittori stranieri in Germania continuassero a scrivere sia in lingua madre che in tedesco, tanto è vero che oggi, a venticinque anni dalla fondazione di “PoLiKunst”, è assolutamente normale che un giovane russo di nome Wladimir Kaminer possa debuttare in tedesco senza che nessuno se ne meravigli più di tanto.
Attraverso le due collane Südwind-gastarbeiterdeutsch (1980-1983, 6 volumi) e Südwindliteratur(1983-1986, 7 volumi) con Biondi e Chiellino tra gli ideatori e curatori, ma anche con antologie varie, si è giunti alla pubblicazione delle prime opere di autori che oggi sono tra i più affermati della letteratura interculturale in Germania. Sul piano estetico è stato particolarmente determinante il contributo di Franco Biondi, che con le sue raccolte di racconti, con la novella Abschied der zerschellten Jahre e soprattutto con i due romanzi Die Unversöhnlichen. Im Labyrinth der Herkunft (1991) e In deutschen Küchen (1997) ha dato spessore alla nascente letteratura interculturale in lingua tedesco. Egli l’ha fatto andando a creare un modello estetico per fondare in lingua tedesca la memoria della comunità italiana, così come Sulman Rushdie l’ha fatto in lingua per le comunità asiatiche. Nel romanzo Die Unversöhlichen i due protagonisti, lo scrittore Dario Binachi e lo psicologo Franco Biondi, entrambi di cultura italiana ma residenti in Germania, intraprendono un viaggio con la lingua tedesca nella loro infanzia, che si è svolta in lingua italiana. La ricostruzione della storia della loro famiglia serve per fondare una memoria storica nella lingua tedesca in cui viene scritto il romanzo. Una volta introdotta la propria memoria storico-culturale nella lingua tedesca Franco Biondi affronta nel secondo romanzo In deutschen Küchen il tema che sta a cuore a tutti gli scrittori di minorante etno-culturali: la fondazione della minoranza nella lingua del paese. Franco Biondi lo fa raccontando, attraverso le esperienze del giovane Dario Binaci, l’arrivo della sua famiglia in un paesino nei pressi di Magonza, gli anni del miracolo economico in una comunità ai margini della società tedesca, ed il lento inserimento di una famiglia italiana in un contesto tedesco, ma socialmente instabile.
All’interno del movimento letterario interculturale in Germania l’opera di Biondi è paragonabile solo a quella dello scrittore turco Aras Ören, che si è dovuto creare un modello estetico in lingua turca per raccontare la vita della comunità turca all’interno della cultura tedesca.
Gino Chiellino ha dato il suo contributo sia come presidente della “PoLikunst” che all’interno del gruppo degli scrittori italiani collaborando ad organizzare incontri e pubblicazioni. Sul piano estetico il suo contributo alla letteratura interculturale in lingua tedesca l’ha dato con tre raccolte di poesie: Mein fremder Alltag (1984), Sehnsucht nach Sprache (1987) e Sich die Fremde nehmen (1992). Inoltre egli si è dedicato alla saggistica interculturale come genere letterario da affiancare alla letteratura interculturale. I suoi saggi più significativi sono raccolti nel volume Liebe und Interkulturalität. Essays 1988-2000 (2001). Da studioso di letteratura interculturale è tuttora alla ricerca di una possibile scienza delle letterature interculturali ed ha curato il primo manuale di Interkulturelle Literatur in Deutschland (2000).

D. Gli anni novanta e l’eterogeneità degli autori

La letteratura degli scrittori italiani in Germania degli anni novanta è caratterizzata da una sorprendente eterogeneità. Durante gli anni novanta il gruppo fondatore si diversifica tematicamente ed esteticamente. Mentre gli anni ottanta erano stati gli anni della “Gastarbeiterliteratur” gli anni novanta diventano gli anni della letteratura interculturale. Per “Gastarbeiterliteratur” o “Ausländerliteratur” va inteso semplicemente il fatto che gli autori delle minoranze etno-culturali ne tematizzano la fase della fondazione come fase di inserimento nel mondo del lavoro, il disagio sociale all’esterno delle fabbriche, e la discriminazione nella vita sociale. In questa fase gli scrittori si mostrano sensibili verso tutto quello che ostacola il recupero di un minimo di normalità nella vita degli immigrati sottoposti alla doppia insicurezza sul posto di lavoro (Arbeitserlaubnis) e nella società (Aufenthaltserlaubnis). La “Gastarbeiterliteratur” o l’"Ausländerliteratur” corrisponde a quello che negli anni settanta era stata la ricerca di una identità o di una emancipazione collettiva, come era avvenuto con la “Frauenliteratur” per le donne. Con la rinuncia al “noi” come modello di appartenenza ad uno strato o ad un gruppo sociale, che nella letteratura tedesca avviene proprio durante gli anni ottanta, ed in seguito al consolidamento delle comunità di immigrazione, anche gli autori più legati alle minoranze riescono a liberarsi dalle strettoie della loro solidarietà etnica e possono scegliere liberamente con quali contenuti andare avanti. Lisa Mazzi, per esempio, l’ha fatto con una seconda raccolta di prosa dal titolo Unbehagen (1998), L’autrice conferma il suo raccontare al femminile, ma le sue protagoniste non sono più connotate attraverso la loro appartenenza culturale ma attraverso i disagi esistenziali che devono affrontare nella loro vita di tutti i gioni. Franco Biondi si è staccato da Dario Binachi e il protagonista Milù Migrò del suo ultimo romanzo Der Stau (2001), è il personaggio chiave di una società bloccata, intorno al quale ruota un modo disarticolato e perdente fatto di sopravvissuti al miracolo economico, al movimento operaio-studentesco, all’emancipazione della donna e perfino alla riunificazione della Germania. Con la sua raccolta inedita Canti per M - Lieder für einen Buchstaben Gino Chiellino si espone ad una scrittura erotica come ultimo scoglio per chi scrive in una lingua diversa dalla lingua di appartenenza, secondo quanto ha insegnato Nabokov. Nell’ultimo ciclo di poesie, ancora inedito, Giuseppe Giambusso si sposta su temi e paesaggi non più riconducibili al mondo delle minoranze. La solidarietà verso le minoranze del gruppo fondatore non si esprime più attraverso la fedeltà ai temi delle minoranze ma scrivendo una lingua tedesca liberata dal suo etnocentrismo, che come tutti gli etnocentrismi tende ad escludere chi non vi è nato, ma vi è andato ad abitare con memorie di altre lingue.

La letteratura degli scrittori italiani in Germania si è fatta eterogenea anche perché al gruppo fondatore si sono aggiunti autori che partono da presupposti personali e diversi da quelli del gruppo fondatore. Si tratta di scrittori che hanno un divenire a sé e non nel contesto di un movimento letterario tenuto insieme da un progetto interculturale e da una solidarietà etnica non priva di rischi. I percorsi creativi di Marisa Fenoglio, Cesare De Marchi, Marcella Continanza, Silvia di Natale non hanno tra di loro punti di incontro come invece li hanno avuti quelli di Franco Biondi, Gino Chiellino, Giuseppe Fiorenza dill'Elba, Giuseppe Giambusso, Lisa Mazzi, Fruttuoso Piccolo, ed anche di Antonio Belgiorno, Salvatore A. Sanna e Franco Sepe.

Franco Sepe e la sensualità delle lingue.

Franco Sepe si era annunciato negli anni ottanta con i due pezzi teatrali: Berlinturcomedea, una tragedia in un atto (1984) sulla realtà delle donne straniere a Berlino e L'incontro , una commedia in tre atti (1987) su due personaggi centrali del teatro italiano del Novecento. Ai due pezzi teatrali aveva aggiunto una raccolta di Elegiette Berlinesi (1987), composte agli inizi degli anni ottanta e che ridanno con estrema intensità le prime esperienze dello scrittore con una città unica al mondo come lo era Berlino prima della riunificazione tedesca. Ma bisogna aspettare fino al 2002 per poter leggere la sua Autobiografia dei cinque sensi. Data la ancora giovane età dello scrittore per autobiografia bisogna intendere la fase di passaggio dai sensi alla lingua. Tutto il raccontare di Sepe è una ricerca, uno scavare per far nascere la lingua della sua autobiografia dei cinque sensi dalla memoria del corpo, da quella che nella cultura tedesca è codificata come “Körpergedächtnis”. Per “Körpergedächtnis” si intende la memoria che si sedimenta nel corpo prima che la lingua possa organizzarla per astrazioni, perché il corpo non ha ancora elaborato il linguaggio. La ricerca di Sepe si svela leggendo la lingua dell’autobiografia controluce, ascoltandone gli echi, facendola sfilare sulle controproposte della lingua tedesca, con la quale essa intrattiene una dialogo continuo. In Autobiografia dei cinque sensi si intravede il progetto di uno scrittore che sensualizza al massimo la lingua della sua infanzia e prima gioventù per controbilanciare il carattere astratto della sua seconda lingua. Si potrebbe affermare che così facendo Sepe fa il percorso inverso di Vladimir Nabokov che per entrare nella lingua inglese si scrive per primo la autobiografia “Speak, Memory”. Nabokov l’ha fatto per rendere abitabile l’inglese in cui diventerà l’autore di Lolita. La via inversa seguita da Franco Sepe gli sarà servita a continuare a sentire la sensualità della prima lingua, nel momento in cui la seconda si fa sempre più portatrice di memoria, perché in essa si sta realizzando da due decenni un progetto di vita fuori dalla prima lingua.

Marcella Continanza

Marcella Continanza continua a scrivere in italiano e continua a stupire per la stridente diversità dei contenuti delle sue raccolte. La prima Piume d'angeli (1996), è dedicata a 50 angeli, tra i quali si cercherà invano “l'angelo custode” o “l'angelo della morte”. La loro presenza nella raccolta sarebbe stata una stonatura più che stridula. L'angelo custode e l'angelo della morte avrebbero riportato tutti gli altri angeli all'interno di una tradizione religiosa così lontana dall'atmosfera che si respira una volta immersi tra spiriti così tendenzialmente positivi e portatori di serenità come gli angeli dell'allegria, del sorriso, della felicità, della bellezza, del bacio, della memoria, dell'amicizia. Forse più che angeli sono momenti della vita quotidiana, che l’autrice vorrebbe recuperare, per riumanizzarla. Nella seconda raccolta Rosas nocturnas - Rose notturne, pubblicata bilingue a Santiago de Cuba nel 1999, vengono messi in contatto i poli, le città della vita dell’io lirico, dove Napoli continua a rappresenta un mondo noto e rassicurante, mentre Francoforte si presenta come sconosciuta e straniante. Nella terza raccolta Passo a due voci (2002) campeggia l’erotismo, anche se non è certo l’unico tema della raccolta. Passo a due voci è un monologo in tre parti, che richiama il dramma che porta all’emancipazione della protagonista. All’esplodere dell’erotismo nella prima parte segue l’abbandono dell’amata nella seconda parte, per giungere alla riconciliazione con se stessa nella terza parte: “ridono i miei baci / - fasto di rosso intatto / nella quiete del vento // tornando in piazza / fruscio d’ali / uno sbatter di ciglia / mi sveglio alla vita / senz’armi/ - leggera." (2002, pag. 50). Marcella Continanza, fondatrice e redattrice responsabile del giornale Clic! Donne 2000 (1997) è anche ispiratrice del gruppo “Donne e poesia”, che promuove la diffusione della scrittura creativa tra le donne italiane in Germania.

Marisa Fenoglio

Come la resistenza ha avuto nello scrittore Beppe Fenoglio uno dei suoi protagonisti più sensibili, così l’immigrazione italiana in Germania ha trovato in Marisa Fenoglio la sua narratrice in lingua madre. Non è soltanto un rapporto di parentela quello che lega i due scrittori. Come si può leggere in Vivere altrove (1997, pag. 50-53) la scrittrice sente la necessità umana di andare oltre il dolore della resistenza, perché la Germania, aprendosi ai “Gastarbeiter” nel 1955 e firmando il Trattato di Roma nel 1957, si è espressa per un futuro interculturale ed europeo. Con sorprendente intuizione Marisa Fenoglio ha fatto della sua riacquistata fiducia nella Germania il punto di partenza per scrivere le prime tre opere. In Casa Fenoglio , (1955) non viene raccontato il personaggio Beppe Fenoglio, come ci si aspetterebbe secondo la tradizione letteraria italiana, ma la vita di quella giovane donna, che in Vivere altrove dice di sé: “La Germania mi aspettava al varco il giorno delle mie nozze” (pag.12) e dei parenti: “Che fosse toccato proprio a me, andare nella tana del lupo e seguire un così insolito e inutilmente aufregende destino, li aveva lasciati perplessi” (pag. 13). Vivere altrove, composta in italiano, è una delle opere fondamentali per capire la ricostruzione della cultura tedesca durante gli anni sessanta. Con il terzo volume Mai senza una donna (2002) si esaurisce il percorso "Alba-Niederhausen". Il protagonista di Vivere altrove, la cui vita in Mai senza una donna è raccontata come la vita di un immigrato di successo e grande consumatore di donne, si ritroverà invecchiato e senza neanche l’energia per scendere dalla cima della sua carriera. Ma definire Marisa Fenoglio la narratrice dell’immigrazione è riduttivo come lo è definire Beppe Fenoglio lo scrittore della resistenza. Marisa Fenoglio si è annunciata e si conferma sempre più come una grande scrittrice della mediazione interculturale. In realtà lei ha già superato la monoculturalità della lingua madre, l’italiano, mettendolo in sintonia e in un rapporto dialogico con il tedesco della quotidianità dei suoi personaggi. È riuscita ad inserire la lingua della quotidianità tedesca delle sue protagoniste nel connesso semantico e sintattico della lingua dei suoi romanzi, l’italiano. Per farlo Marisa Fenoglio ricorre alla parola vissuta. Per parola vissuta intendo singole parole o frasi della lingua tedesca che diventano intraducibili perché portatrici di esperienze interculturali. Il lavoro di intarsio linguistico incide sulla struttura della lingua madre con delle parole vissute per creare rapporti semantici che la lingua madre da sola non potrebbe mai dare. Attraverso la parola vissuta Marisa Fenoglio raggiunge una forma di autenticità interculturale determinante per fondare in lingua italiana la memoria interculturale della comunità italiana in Germania. Che la scrittrice abbia intuito subito la funzione innovativa della parola vissuta, lo si può constatare già nel primo capitolo di Vivere altrove, dove l’io narrante si affida ad un “irgendwann” sperduto nel futuro dei nipoti o pronipoti: “L’estero incomincia un giorno ben preciso, quello dell’arrivo, e finisce irgendwann in un tempo lontano, sperduto nel futuro, quando un nipote o un pronipote con aria solo un pò più indifferente dirà: “ sai, la mia bisnonna veniva dall’Italia... dicono che parlasse bene il tedesco... che scrivesse addirittura... A quel punto ci saranno parecchie zie sul territorio, l’estero sarà diventato patria, e si vivrà felici o infelici senza imputarlo al posto.” (1997, pag. 10). Continuando per una lingua fatta di parole vissute Marisa Fenoglio contribuirà a garantire “un aufregende destino” alla sua lingua da scrittrice e all’italiano come lingua di un paese europeo, che sta arrivando per ultimo in Europa, e che attualmente stenta a liberarsi da tante e gravi strettoie monoculturali.

Cesare De Marchi

L’attuale percorso tematico ed estetico di Cesare De Marchi da La malattia del commissario (1994) passando per Il talento (1997) e Una crociera (2000) per arrivare a Fuga a Sorrento (2003) si presta in modo esemplare per chiarire quanto l’incontro con una cultura ed una lingua diversa diventi determinate per l’autore. De Marchi è arrivato in Germania da scrittore e al contrario degli altri autori non si è dovuto porre la domanda in quale lingua scrivere: la lingua della propria appartenenza culturale o la lingua di un progetto di vita fuori dall’Italia? De Marchi è rimasto fedele al suo strumento di creatività, ma la vita fuori incomincia a farsi sentire anche nelle sue opere. Dal punto di vista strutturale si nota una prima apertura tematica delle opere che si orientano timorosamente verso la cultura tedesca, in cui si svolge la quotidianità dell’autore. Anche se lo scrivere in italiano a Stoccarda permette a Cesare De Marchi di vivere in un’oasi di italianità, è anche vero che la cultura tedesca bussa da anni alla porta ed “insidia” la purezza dell’oasi, perché è cosa difficile tenere lontana dalla lingua della creatività la propria vita che si svolge in un’altra lingua. Con il romanzo La malattia del commissario lo scrittore si era calato nel contesto generazionale sessantottino per andare a vedere i destini dei compagni di liceo della vittima e del commissario. Se l’identità tra il contesto generazionale e la lingua del romanzo avevano segnato Cesare De Marchi come autore italiano doc, in Il talento si avverte un lievissimo calo di italianità. Il protagonista non è ancorato in uno spazio-tempo da identità nazionale, e la sua quotidianità si svolge in un contesto urbano interpretabile anche come europeo. Inoltre l’identità del protagonista del romanzo si coglie meglio in lingua tedesca che in lingua italiana. Carlo Marozzi è il prototipo di quello che nella lingua e cultura tedesca viene definito concisamente un “Lebenskünstler”, mentre se lo si vuole definire in lingua italiana bisogna ricorrere alla perifrasi “uno che ha talento di vivere”. In Una crociera l’incontro con la cultura tedesca, grassa e vacanziera, avviene in acque extraterritoriali, e pur rimando nei limiti della comparsa assume già notevole consistenza. Il personaggio, che la rappresenta, Herr Klaus Grossmass, entra in contatto con il protagonista del romanzo, conversando in tedesco (pagg. 116-119). Anzi il tedesco vive da sé visto che vengono riportati in tedesco i minidialoghi tra Grossmass e la sua amante Elsa (pag. 225-226) e che l’avvertenza in calce al romanzo (pag. 261) si conclude con due versi o domande: "Wann also wird die Decke schwinden? Wann wird das Licht Dein Auge finden?" Che solo un lettore bilingue/interculturale è in grado di contestualizzare. Nell’ultima opera Fuga a Sorrento la cultura tedesca è ancora minoritaria perché il lettore si trova di fronte a due racconti impostati su due personaggi di cultura italiana (Lapo Pegolotti e Torquato Tasso) e uno di cultura tedesca. Ma trattandosi di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il fondatore della filosofia dello spirito, si direbbe che l’uno contro due, tende verso la parità. Nè meraviglierebbe tanto se nell’opera che Cesare De Marchi sta certamente scrivendo ci fosse la costruzione: lingua italiana e contenuti culturali tedeschi. Ci vedrei la conclusione di un percorso esemplare di come un autore giunga all’interculturalità partendo da posizioni monoculturali e radicate nella propria storia, cultura e biografia.

E. Abbandoni, rientri, passaggi e nuove presenze

Per chi va a leggere le antologie: Wurzeln, hier / Le radici, qui. Poesie di emigrati italiani. Gedichte italienischer Emigranten (1982) a cura di G. Giambusso;

Nach dem Gestern/ Dopo ieri. Aus dem Alltag italienischer Emigranten/Dalla vita di emigranti italiani (1983) a cura di G. Chiellino; In questa terra altrove. Testi letterari di italiani emigrati in Germania (1987) a cura di C. Abate; Letteratura de-centrata. Italienische Autorinnen und Autoren in Deutschland (1995) a cura di C. Lüderssen e S.A. Sanna; e Die Tinte und das Papier. Dichtung und Prosa italienischer Autor/innen in Deutschland (1999) a cura di F. Biondi, G. Chiellino, G. Giambusso; Es gab einmal die Alpen (2004) a cura di G. Chiellino noterà la continuità di alcuni autori, la scomparsa di altri e l’arrivo di tanti altri ancora.
Tra gli scomparsi ci sono quelli che (forse) hanno smesso di scrivere come Immacolata Amodeo, altri che non hanno travato spazio nonostante un debutto promettente come nel caso dell’Anonimo di Gardenie e proletari. Storia di una comune di Francoforte 1968 (1979); di Ciro Pasquale con il suo Vagabondaggi in versi (1981) e di Giuseppe Scigliano con la raccolta di versi Radici al sole (1986); e ci sono anche quelli che sono rientrati in Italia come Giuseppe Fiorenza Dill’Elba e Carmine Abate. Nel caso di Abate le opere scritte dopo il rientro in Italia Il ballo tondo (1991); Il muro dei muri (1993), La moto di Skanderberg (1999), L’altro mare (2002) dimostrano come egli sia rimasto fedele ai suoi temi, al suo divenire scrittore con una tematica ben circoscritta. Ma anche l’editoria tedesca gli è rimasta fedele, visto che le sue opere vengono tradotte puntualmente in tedesco. Altri, invece, sono passati con una sola opera attraverso la letteratura degli scrittori italiani in Germania, tra essi vanno ricordati: Sonja Guerrera con le poesie di Medea in fiamme (1990), Maurizio Moretti con la raccolta Una faccia made in Italy (1993) e Antonella Villa con la sua sorprendente raccolta dal titolo Bretzel calde (1995). Altri si sono aggiunti con una prima opera come Silvia di Natale con il romanzo Kuraj (2000) che ha riscosso un notevole successo sia in Italia che in Germania e Piero Salabè con il suo volumetto di 28 poesie Preparo la stanza (2000). Ma tanti altri mi sono irrangiungibili per la dispersione della comunità italiana di 680.000 membri su un territorio con circa 80 milioni di abitanti. Pertanto sarebbe inesatto pensare che la letteratura degli scrittori italiani in Germania sia riducibile ai soli autori citati nel saggio. Direi che il gruppo fondatore è senz’altro al completo, per le altre fasi sono stati scelti gli autori, che godono di visibilità all’interno della quotidianità tedesca, e che sono al di là della loro terza opera.

F. Collocazione e specificità estetica degli autori italiani in Germania

Come procedere ad una collocazione degli autori italiani in Germania all’interno delle due tradizioni letterarie, a cui appartengono, e come definire la specificità estetica delle loro opere?
Le ricerche di critica letteraria dedicate agli autori italiani in Germania, anche se non sono molte, documentano che ormai il corpus letterario è solido e che quindi la ricerca scientifica è possibile. La critica letteraria è giunta da tempo, anche se solo in parte, ad esplorazioni congeniali del fenomeno letterario. Ma in genere si persiste nella lettura socio-culturale delle opere. Si continua a supporre che, trattandosi di un fenomeno letterario sorto in un contesto di immigrazione, alle opere non vanno poste domande di natura estetica. Esse vengono considerate come un repertorio di esperienze da cui attingere informazioni di prima mano sulla vita, che gli immigrati affrontano in una cultura di cui non sono portatori. Di conseguenza si continua a postulare che gli autori operano in una lingua, di cui è depositario il lettore madrelingua e non il creatore dell’opera. Una tale percezione monoculturale va ad oscurare esattamente la specificità estetica che garantisce dignità letteraria alle opere.
Per giungere ad una elaborazione della specificità estetica delle opere è opportuno indagare il fenomeno letterario dall’interno delle due letterature, a cui le opere fanno riferimento sia per la specificità della lingua creata che per i temi proposti. Trattandosi di un fenomeno letterario bilingue, con opere in lingua italiana ed opere in lingua tedesca, esso va capito dunque attraverso lo sviluppo della letteratura tedesca ed italiana a partire dalla seconda metà del XX° secolo. Con la sconfitta del fascismo e del nazismo anche la letteratura riacquista le sue libertà estetiche e tematiche, che i due regimi le avevano annullato. Una nuova generazione di scrittori si adopera immediatamente per riumanizzare la lingua, che orge di retorica e di violenza fascista e nazista avevano imbarbarito. In Italia sono gli autori del Neorealismo a riportare nella lingua un’umanità fatta di piccole storie; in Germania tocca agli scrittori riuniti in “Die Gruppe 47”, spingere la lingua a narrare la dignità della vita.
Alla ricostruzione economica, all’arrivo del benessere diffuso la letteratura tedesca e quella italiana contrappongono modelli di giustizia sociale e di solidarietà estese al mondo del lavoro. In Italia si afferma la letteratura operaistica mentre in Germania è la “Literatur der Arbeitswelt” che fa crescere nella lingua la sensibilità verso una parte della vita sociale, che fino a quel momento era stata ghettizzata dietro i cancelli dei cantieri e delle fabbriche. Negli anni settanta è stata la letteratura delle donne, sia in Italia che in Germania, a lavorare sulla lingua per accrescerne la sensibilità necessaria per cogliere ed esprimere le diversità tra donna ed uomo. Se si osservano queste tre fasi o tendenze dello sviluppo delle due letterature si scopre che tutt’e tre hanno contribuito, da angolature diverse, a fare crescere la sensibilità espressiva delle lingue alle prese con una società che impara a vedere le diversità non più come ostacoli da livellare ma come forme di vita da valorizzare.
Sulla base di un tale sviluppo quasi sincronico delle due letterature la collocazione degli scrittori italiani in Germania si definisce da sé. Gli autori, sia che scrivano in italiano sia che scrivano in tedesco, non fanno altro che aggiungere una quarta fase o tendenza al percorso indicato dai tre movimenti letterari che hanno determinato sviluppo delle due letterature per tutta la seconda metà del XX° secolo. Insieme agli scrittori provenienti da altre culture gli scrittori italiani in Germania lavorano per affinare ulteriormente le competenze espressive della lingua tedesca o della lingua italiana nei confronti di quelle diversità etnoculturali sorte in un contesto di immigrazione.
Guardandola dall’interno delle due letterature nazionali la letteratura degli scrittori italiani in Germania si svela come uno sfocio nella interculturalità, ben cercato ma anche inevitabile. Fino alla nascita della letteratura interculturale la lingua tedesca, da lingua monoculturale, doveva accettare il postulato di Ludwig Wittgenstein, secondo il quale la lingua è il limite del pensiero. Grazie alla letteratura interculturale in lingua tedesca oggi, all’inizio del XXI° secolo, si può affermare che lingua e pensiero in lingua tedesca possono non coincidere, o che la lingua ha imparato a superare i confini del pensiero su cui si reggeva. La lingua “tedesca” così come viene scritta anche dagli scrittori italiani è una lingua che si è fatta interculturale, una lingua attenta alle differenze etnoculturali; una lingua che riesce ad esprimerle e che, esprimendole, le fa convivere. Se altre lingue europee come l’inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il russo etc. si sono rese interculturali da tempo, esse lo devono alla loro storia coloniale. Il tedesco e l’italiano ci stanno arrivando per uno sviluppo autonomo, per propulsione interna, anche se in un contesto di immigrazione.

Se il contributo degli scrittori italiani in Germania allo sviluppo interculturale delle due letterature è più che evidente, perché la ricerca scientifica si mostra così restia a scoprire e ad analizzare la specificità estetica delle loro opere? Tra i tanti motivi pensabili, intendo soffermarmi sul più determinante. Le opere interculturali si rivolgono di per sé ad un lettore, e quindi ad uno studioso, in grado di leggere contemporaneamente: le due lingue, le due tradizioni letterarie e le due culture in cui vivono ed operano i loro autori. Da parte sua la configurazione professionale degli studiosi delle letterature nazionali nasce invece dalla premessa che scrittore, lettore e studioso si ritrovano in una lingua ed in una memoria storico-culturale comune. La configurazione professionale degli studiosi di letterature comparate potrebbe sembrare più efficace per affrontare la letteratura interculturale. In realtà essa prevede già la capacità di sapere leggere tra le lingue, tra le tradizioni letterarie e tra le culture, a cui le opere o gli scrittori appartengono. Sennonché la letteratura interculturale spiazza i comparatisti ancora di più di quanto non faccia con i germanisti e gli italianisti; perché la letteratura interculturale ne vanifica il metodo di ricerca. Un’opera interculturale in quanto frutto di un dialogo tra le lingue, in cui l’autore vive, ed in quanto interscambio di informazioni storico-culturali tra le sue lingue, formula proposte estetiche che vanificano i quesiti con cui i comparatisti mettono in contatto opere di lingue, di tradizioni letterarie e di culture diverse.
La carenza di lettori, studiosi interculturali all’interno della ricerca scientifica italiana e tedesca è la vera causa del ritardo con cui si sta giungendo a stabilire la specificità estetica delle opere degli scrittori italiani in Germania. In mancanza di una possibile scienza delle letterature interculturali, di una scienza che sia in grado di stabilire un canone di lettura per opere interculturali, bisogna per lo meno imparare a riconoscere i dati fondanti della loro specificità estetica. Primo tra tutti va tenuto presente che l’italiano o il tedesco proposto nelle opere sono lingue non riconducibili ad una sola memoria, ad una sola tradizione letteraria e ad una solo cultura. Da qui ne deriva che scrittore, lettore e studioso non hanno più come punto di consenso un’unità di lingua e di culturale. La specificità estetica delle opere interculturali consiste esattamente nelle soluzioni che gli scrittori trovano per creare una lingua che permette all’opera di rivolgersi contemporaneamente ad un lettore e ad un interlocutore. Lettore ed interlocutore non sono né la scissione del lettore nazionale, né tanto meno il suo doppio. Nell’opera essi vengono configurati come appartenenti a lingue, tradizioni letterarie, culture e storie nazionali diverse tra loro. Quando la possibile scienza delle letterature interculturali riuscirà a cogliere in pieno le strategie narrative che garantiscono all’opera il dialogo con il suo interlocutore ed con il suo lettore, allora si scoprirà quanta ricerca estetica è stata fatta dagli autori e quanto specificità estetica è confluita nelle loro opere. Si riuscirà perfino a capire che loro ricerca estetica è la stessa di quella che ha reso così feconde le letterature in lingua inglese, francese, spagnola, portoghese e russa nella seconda metà del XX secolo, mentre le letterature in lingua italiana ed in lingua tedesca hanno rischiato l’implosione monoculturale.

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Anno 2, Numero 8
June 2005

 

 

 

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