Nota biografica | Versione lettura |
Christiana de Caldas Brito, scrittrice carioca nata nel 1939, esordisce nel 1995 con il doloroso ed espressivo racconto Ana de Jesus, premiato a Rimini e successivamente spunto per l’omonimo monologo teatrale. Segue Amanda, Olinda, Azzurra e le altre, intessuto di storie che narrano di donne appese tra il radicamento al paese d’origine e la proiezione verso una nuova appartenenza. Autrice dotata del prezioso dono di saper “scrivere il silenzio delle donne”, Christiana presenterà la sua opera in Campidoglio (sala del Carroccio) mercoledì 24 alle ore 16.
La storia della letteratura brasiliana è costellata dall’incessante tentativo di definire un’identità culturale autoctona che riesca a combinare efficacemente tradizioni apparentemente antitetiche. La tua esperienza si può definire un perpetuarsi della ricerca? In che misura questa eredità culturale si trasferisce nella tua scrittura?
Una cosa è l'identità nazionale brasiliana formata dal contributo di popoli diversi, un'altra cosa è la ricerca di una nuova identità individuale provocata dal fenomeno migratorio. Chi migra abbandona le proprie origini per inserirsi in un nuovo paese. Lo sforzo per superare questo dolore-ostacolo in un dolore-crescita è una tematica presente in molti dei miei racconti.
Donne (Amanda Olinda Azzurra e le altre, Lilith 1998, Oèdipus, 2004) e anche uomini (Qui e là, Cosmo Iannone, libro che uscirà ancora quest'anno) allargano la propria anima grazie all'esperienza migratoria. Non so se il fatto di aver vissuto con tanti popoli diversi, emigrati in Brasile nell'Ottocento e all'inizio del Novecento, renda più facile l'adattamento dei brasiliani nei paesi verso i qual migrano. L'adattamento dipende anche da una serie di fattori legati alla storia personale e alle ragioni per cui uno emigra.
Nel linguaggio dei tuoi testi riesci con grandissima creatività ad innovare la scrittura attraverso il ricorso frequente a quella che i linguisti chiamano “interlingua”. Come avviene questa operazione, cioè come riesce una scrittrice a ricostruire abilmente un linguaggio così vivo?
È necessario che questo linguaggio ibrido, con cui parlano alcuni dei miei personaggi, abbia l'effetto della spontaneità. Paradossalmente, solo dominando bene la lingua del nuovo paese, si riesce ad ottenere la spontaneità del parlato di chi è arrivato da poco in un nuovo paese e mescola due lingue quando si esprime. È successo lo stesso con gli emigrati italiani arrivati in Brasile: parlavano un miscuglio d'italiano e di portoghese. Per creare nella scrittura una lingua ibrida, bisogna lasciar parlare contemporaneamente le due lingue che vivono dentro di te: la lingua di prima e la lingua del dopo si uniscono nell'interlingua. È divertente.
Nelle tue narrazioni l’elemento femminile emerge in modo delicato e nello stesso tempo vigoroso, sia che le protagoniste siano delle donne, sia che rimanga femminile solo il punto di vista. Nella tua scrittura quanto è importante l’ascolto e la necessità di trasferire il linguaggio verbale nel testo?
La mia è stata un'infanzia senza televisione. Potevo ascoltare le storie ad occhi chiusi. L'immaginazione lavorava per costruire le scene delle storie e per creare un corpo ai personaggi. L'ascolto è stato fondamentale per la mia scrittura. Difatti, molti dei miei racconti mostrano l'importanza della tradizione orale: c'è sempre una nonna (una doppia madre) che racconta storie, o ci sono i segreti di mestieri che passano da una generazione all'altra attraverso la comunicazione orale. Molti dei miei racconti partono dal ricordo di quartine popolari ascoltate in Brasile quando ero piccola.
In precedenza hai parlato della tua preferenza per il racconto e la piece teatrale, che meglio si prestano alle tua esigenza di immediatezza per essere brevi e più facilmente fruibili. Come definiresti il percorso che ti ha portato a scrivere un romanzo e quali sono stati gli ostacoli e le sorprese?
Il mio romanzo (Arriva il temporale) è nato come una sfida. Abituata a scrivere dei racconti, volevo vedere se fossi capace di costruire un romanzo. Gli ostacoli? Tanti. Nella stesura di un romanzo, si scrive anche senza ispirazione, altrimenti il romanzo rischia di rimanere fermo, di non arrivare mai ad una fine. Mi ci è voluta molta pazienza. Ero spesso tentata di abbandonare l'impresa, ma il romanzo continuava dentro di me: durante la notte e durante inattesi momenti della giornata, mi si presentavano i personaggi con le loro esigenze, come se avessero una vita propria, indipendente. La sorpresa più grande? Quella di riuscire a finire il romanzo e di ricevere le opinioni positive di chi ha letto il manoscritto, perché il romanzo non è stato ancora pubblicato.