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collana griot: fabienne kanor - d'acque dolci / abdourahman waberi - transit

carla bombari

D'acque dolci - Fabienne Kanor
trad. Lucia Quaquarelli, ed. originale Gallimard
Morellini Editore (Collana Griot), 2005
pp. 192, 13.50 €
ISBN: 88-89550-00-7

Mi chiamo Frida, ho appena ucciso un uomo e sto per farmi saltare il cervello

Con queste parole si apre il romanzo D'acque dolci, racconto condotto dalla protagonista a voci alternate, prima e terza. È la storia di una giovane studentessa originaria delle Antille giunta nella Parigi della banlieue, della sua scoperta della propria diversità, del sesso, dell'Uomo Nero, delle origini. Un colpo di pistola. Poche parole secche e brutali. Poi la stanza attorno a Frida si popola: presenze, ricordi in fotogrammi spezzati le sfilano davanti agli occhi.

Nata in un ospedale di provincia che puzzava di domenica e di indivia fredda, Frida è figlia di immigrati dalla Guadalupa. I genitori l'hanno educata all'antillese: non bisogna farsi notare, le ha sempre ripetuto il padre, non bisogna mai tirare fuori quello che si ha nel cuore, affermava la madre. E ora Frida ha compiuto un gesto che non può cancellare o dissimulare: Dio mio, come ho potuto perdere la testa? Proprio io, educata all'antillese, solo per salvarmi la pelle! Tra le cosce di Frida giace Eric, il suo uomo, quello che ha appena ucciso, morto, bello anche se ormai senza vita. Una storia iniziata d'autunno, un patrimonio condiviso di sogni infranti: il "Belpaese-Francia" che si rivela, a dispetto di tutte le illusioni, pieno di disprezzo e sospetto verso i propri immigrati. Il male della pelle, il dolore di non essere accettati a causa del colore della propria pelle, affligge entrambi fin dall'infanzia. Frida lo porta con sé per tutta la vita, è la valigia che non può mai dimenticare, che le evita ogni giorno di chiedersi chi è. Per tutta la narrazione, Frida ricostruisce a se stessa le ragioni del proprio amore e del proprio omicidio: se potessi tornare indietro prenderei maggiori precauzioni prima di uccidere? Dalla camera dell'appartamento universitario di Frida sono entrati ed usciti molti uomini, uomini neri, dopo che la fame si è insediata in lei, si è impadronita di tutto. Seno, sedere, cosce, pancia? Ricercato per il piacere che regala, per la curiosa avidità di conoscerne il corpo e le movenze, l'uomo nero è però falso e spergiuro; i rapporti tra i due sessi sono possono sottrarsi all'inganno e alla sopraffazione dell'uomo nei confronti della donna: È negro l'uomo che ti dice A e pensa B. Che ti giura B e pensa A. Ma è negro l'uomo che sogni. Che la tua pelle, il tuo corpo e il tuo sesso cercano al punto di perdere la testa.

Con Eric tutto sembra andare diversamente, con lui Frida ridiscende alle radici dell'essere donna ed antillese.
Le Antille fiabesche e selvagge visitate dai due fanno da sfondo ad immagini di uomini e donne neri picchiati, violentati, schiavizzati dagli uomini bianchi. Immagini che emergono dalla memoria collettiva di un popolo, ma le cui cicatrici i protagonisti portano ancora sulla propria pelle: Hai forse dimenticato quello che i bianchi hanno fatto ai neri? Tu sei figlia di uno stupro, Frida, non dimenticarlo mai!

D'acque dolci, pubblicato in Francia da Gallimard alla fine del 2003, rappresenta il promettente debutto letterario della giovane giornalista antillese Fabienne Kanor. Il linguaggio potente ed espressivo dell'originale viene valorizzato dall'intensa traduzione di Lucia Quaquarelli. Il romanzo ha da poco vinto il prestigioso Prix Fetkann! 2004 de la Memoire.

Transit-Abdourahman Waberi-trad. Antonella Belli (ed. originale Gallimard)
Morellini Editore (Collana Griot), 2005
pp. 160, 12.00 €
ISBN: 88-89550-01-5

ARGOMENTI: confronto-scontro tra Africa e Occidente, tra integrazione e integralismo, tra eredità del passato e sogni per il futuro; disumanità e insensatezza della guerra; proselitismo del terrorismo.

Si pensa che gli immigrati siano nudi, quando raggiungono una nuova terra, alla fine della loro odissea. Eppure, gli immigrati sono carichi delle loro storie personali e appesantiti da quella che si definisce la "storia collettiva"

Nella zona transit dell'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi si incontrano Harbi e Bashir "Bin Laden", i due capi opposti di un fitto intreccio di storie. Lo sfondo è rappresentato dal piccolo stato del Gibuti, incastonato tra Africa bianca e Africa nera, cerniera tra mondi diversi ma anche terreno acceso di scontro, prima per l'indipendenza, poi per le aspre lotte interne.
È un intreccio che pagina dopo pagina emerge dai monologhi alternati dei vari protagonisti, ognuno portatore di una propria esperienza e caratterizzato fortemente da un proprio registro linguistico.

I personaggi: tre generazioni di una famiglia di Gibuti, con il nonno Awaleh, che tramanda le leggende e la tradizione, il ricordo degli usi nomadi e della vita nel deserto; il figlio, l'intellettuale occidentalizzato Harbi, e la moglie bretone Alice; Abdo-Julien, il nipote adolescente, che shakera eredità culturali e ricordi personali dei genitori con una spruzzata di cultura rasta ispirata da Bob Marley.

A tutti si affianca, si alterna e si contrappone la voce sconnessa e sgrammaticata di Bashir "Bin Laden", e il suo pazzo punto di vista di mercenario che vede nella guerra un mezzo quasi gioioso, comunque elettrizzante, per poter fare la bella vita.

Nato nel 1965 a Gibuti, Abdourahman A. Waberi ha lasciato nel 1985 il proprio paese per la Francia. Ha pubblicato dal 1994 con Gallimard e Le Serpent à Plumes; Transit è il suo nono romanzo. Autore di romanzi, racconti, saggi, poesie, pièces teatrali di successo, è stato tradotto nelle principali lingue europee. Con Cahier nomade ha vinto nel 1996 il "Grand Prix de l'Afrique noire", con Balbala il "Prix collectif du Festival de Chambéry 1998" ed è stato finalista del primo "Prix Unesco-Gallimard", nel 1998.

Dell'autore sono stati pubblicati in italiano per le Edizioni Lavoro Balbala e Mietitura di teste, saggio dedicato al genocidio ruandese.

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Anno 1, Numero 7
March 2005

 

 

 

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