Può un libro ambire al ruolo di costruttore di pace? È il sogno ambizioso del
progetto che ha visto la pubblicazione della preziosa favola La casetta del
Porcospino, emblema di una ricomposizione pacifica che può aver luogo solo
attraverso il riconoscimento dei valori archetipici e universali comuni alla
natura umana.
“Talvolta è necessaria una tragedia per rendere visibile una
letteratura” ha detto con una punta di rammarico Pedrag Matvejevic, autore della
prefazione dell’opera. Letteratura che può ben essere rappresentata dai versi
che narrano la delicatissima ed efficace favola del porcospino, frutto della
creativa ironia di Branko Copic, uno dei maggiori narratori bosniaci.
Piccolo e coraggioso, tondo e impenetrabile, il porcospino, in questa
favola, è anche in grado di leggere. L’intera vicenda prende avvio da un invito
a cena da parte dell’astuta volpe, invito scritto e consegnato da un postino. Il
piccolo personaggio che parte leggendo veicola il valore racchiuso nel messaggio
scritto e nel potenziale di libertà in esso racchiuso.
La favola fu
pubblicata a Belgrado nel 1949, data emblematica che vedeva la diffusione sempre
più capillare di testi per l’infanzia in cui, in nome di una pedagogia volta a
diffondere i principi ideologici dello stalinismo, si vedeva sempre più
sacrificato il valore estetico e letterario delle opere. Belgrado divenne la
capitale letteraria dell’Europa dell’est, offrendo la possibilità di espressione
a quegli artisti ai quali altrove era proibito pubblicare.
L’avvicendarsi
ritmico dei personaggi del bosco che nel corso della favola si uniscono ai primi
costituendo quasi una struttura a gomitolo, ricorda molte storie antiche e
presenti, riportando alla memoria il fatto che le favole così come le religioni,
nelle parole di Matvejevic, provengono dall’Oriente.
Basti pensare che
questo personaggio cosmopolita ed antichissimo fu citato già nel I secolo d.C.
dallo scrittore latino Plinio per la sua attitudine a rotolarsi sulla frutta
caduta dagli alberi che rimaneva impigliata nei suoi aculei e di cui
successivamente si cibava.
Ritroviamo quella stessa attitudine
all’intelligenza in una favola delle Mille e una notte, Lo sciacallo e il
porcospino, in cui il primo esorta il secondo ad una gara di velocità per
raggiungere un pezzo di carne. Il porcospino propone astutamente di sostituire
questa gara di abilità: invece del più veloce avrebbe vinto il più vecchio tra i
due. Sicuro di vincere lo sciacallo dice di essere nato quaranta mila anni prima
che Allah creasse il mondo, provocando il pianto ininterrotto del porcospino.
Perché piange il piccolo avversario? Così dolorosa è stata per lui la sconfitta?
“Piango” risponde il porcospino “perché mi hai fatto ricordare che proprio in
quei giorni morì il mio quinto figlio”
Un piccolo eroe saggio e pacato in
cui i bambini possono identificarsi più felicemente che con i giganti.
È un
buon auspicio che questa storia sia finalmente riproposta dopo anni di conflitto
e, se è vero che tradurre una fiaba è come costruire un ponte, Luci Žuvela e
Manuela Orazi, nella loro straordinaria traduzione e con la tenacia con cui
hanno portato avanti il progetto doneranno sicuramente un nuovo messaggio di
pace alla memoria di molti altri bambini.
Si ringrazia Vinicio Ongini per i riferimenti alla tradizione favolistica