Questo che avete tra le mani è un piccolo libro scaturito da una breve, ma non per questo meno significativa esperienza di laboratorio di scrittura, realizzata con allieve e allievi dei percorsi di formazione professionale dell'obbligo formativo.
Non è facile per chi ha sedici anni scrivere qualcosa che sia dotato in sé di valore ed efficacia: questi testi contengono e trasmettono una sensibilità dissonante, che oscilla tra la tenerezza e l'indifferenza, ma è proprio da queste oscillazioni a volte stridenti e accompagnate dalla fragilità espressiva, che può nascere il lirismo.
In questo sta il loro potere e per questo meritano di essere letti e ascoltati, in particolare dagli adulti.
Questo libro è per loro, per le ragazze e i ragazzi che hanno raccolto la sfida che gli abbiamo lanciato con la nostra proposta.
Grazie.
L'assessore
Beatrice Draghetti
Dopo diversi anni di lavoro teatrale, di scrittura creativa, di
video-narrazione, sia con gli adolescenti dell'Istituto Penale Minorile e di
Comunità minorili, sia con studenti di Istituti Superiori, il progetto di
scrittura e video-narrazione con gli allievi dei corsi degli enti di formazione
professionale per l'obbligo formativo è stato una delle imprese più impegnative
realizzate.
Nel corso di questo lavoro, avviato nel novembre 2003 e concluso
a maggio 2004, si sono incontrate adolescenze complesse, che, con alle spalle
complicati iter scolastici, sono approdate ai corsi di formazione professionale.
Questi ragazzi alle proposte, che vengono loro rivolte, spesso rispondono con
una domanda che deforma e rende difficile qualsiasi rapporto: "a cosa serve?" La
domanda sembra implicare che tutto deve essere utile e, di conseguenza, se non è
utile non ha senso e valore.
Come far capire, invece, che il progetto MEMORIE
"non serve a nulla"?
Alla prima domanda: " Scrivete ogni tanto? Lettere? Un
diario?". Il silenzio è stato spesso una risposta eloquente. Si sono succedute
altre considerazioni: " Ma se non scrivevo a scuola... ora, qui, mi si viene a
chiedere di scrivere?" "Non sono capace... io guardo!" "Mi costa fatica!" " Io
non scrivo mai..." " Io se scrivo, resto anonima, non firmo...". Non è stato
semplice superare questa diffidenza iniziale.
Come far accettare questo
progetto come un dono e un gioco insieme?
Ad un certo punto tutto si è messo
in moto ( in alcuni corsi in modo sorprendente, in altri con discontinuità) e i
ragazzi si sono sorpresi delle loro stesse scritture e delle riprese video.
Increduli ad applaudirsi.
Il progetto MEMORIE ha confermato quanto si sta
sperimentando in questi anni: i ragazzi, che vivono spesso nella fatica, in
stati di dolore, confinati in margini senza orizzonte, riescono a compiere
imprese di una ricchezza e di una bellezza sorprendenti, se si offre loro la
possibilità, con strumenti e stimoli ricchi e adeguati, di esprimersi.
Il
progetto iniziale si è modificato in corso d'opera; il tema generale "memorie"
si è articolato in modo imprevisto, perché la parola memoria, al primo impatto,
è risultata difficile. Sono stati attivati nove gruppi di lavoro, ciascuno di
circa dieci ragazzi, che, dopo alcune scritture comuni, hanno sviluppato temi
particolari e originali. Era previsto anche un lavoro sulla memoria "pubblica e
civile", che è stato sospeso, perché tema completamente alieno. E' stato
necessario affrontare il mondo della memoria "privata", prima di cominciare a
lavorare sul senso della memoria "pubblica e civile" che, per mantenersi viva,
deve trasformarsi e non deve ossificarsi nella retorica o nelle banalizzazioni
di pronto consumo.
Così è nato UN TRAM CHIAMATO MEMORIA, che raccoglie le
scritture e i video realizzati dai nove gruppi. UN TRAM CHIAMATO MEMORIA è
composto da nove diversi episodi: nove fermate di un tram che attraversa una
frontiera di grandi spazi segnati da tanti confini e cicatrici.
Paolo Billi
Sdraiati all'aperto; una luce abbagliante genera flashback legati al colore bianco.
Intrecciando i nodi su una corda, si sgranano le memorie che il corpo conserva.
Le allieve/i:
Besjana Bardosana, Mariangela Bonura, Giulia Corsari,
Samantha Cappiello, Luca Cervellati, Marco De Piano,
Meryem Elhandoui,
Sara Ferrari, Simone Francesco Franco,
Milena Giambrocono, Jennie Guinto,
Bireme Ibrahimi,
Marco Naldi, Yassine Ouledkhalifa, Chiara
Palladino,
Morena Quaresimale, Deborah Schincaglia, Lucia
Scuderi,
Antonella Truglio, Stefania Zarrillo, Silvio Zollino.
Tutor: Chiara Xilo
Coordinatrice: Adia Mele
Mi ricordo che a sei anni, quando andavo alle elementari,
mio padre
doveva venire a prendermi all'uscita di scuola, e invece
non è mai arrivato
perché si era appena separato da mia madre.
Mi ricordo quando ho imparato a
scrivere e quando ho imparato a nuotare.
Mi ricordo la prima volta che sono
andata al cinema.
Mi ricordo la prima pista di macchinine, la mia prima
bambola.
Mi ricordo il primo dente caduto.
Mi ricordo le litigate con la
mia famiglia.
Mi ricordo la sofferenza di mio padre quando cercava di tornare
con mia madre.
Mi ricordo la mia prima sigaretta, il mio primo buco alla
lingua.
Mi ricordo la prima volta che sono andata a Riccione, la prima volta
che sono andata in discoteca, la prima volta che ho pianto per un ragazzo,
la prima volta che mi sono comprata il cellulare,
la prima volta che mi
sono rasata i capelli.
Mi ricordo il mio primo bacio, il primo amore, il
secondo, il terzo...
Mi ricordo la prima cocente delusione, un rifiuto.
Mi ricordo la mia prima
sigaretta: che tosse!
Mi ricordo il primo bacio, dolce e deludente al tempo
stesso.
Mi ricordo le prime litigate con i miei genitori per
incomprensioni.
Mi ricordo La casa delle bambole di Katherine Mansfield,
l'emozione che mi trasmise.
Mi ricordo un caro amico morto di leucemia. E
infine mi ricordo che giorno dopo giorno
cresco e ogni volta scopro qualcosa
di nuovo, ora, con il senno di poi, posso
dire che la vita va vissuta giorno
per giorno.
Mi ricordo il mio paese, i miei amici lontani.
Mi ricordo le mie
delusioni, le litigate con gli amici.
Mi ricordo la nascita della mia
sorellina, le prime notti in bianco
quando non potevo dormire perché lei non
dormiva.
Mi ricordo il mio nonno che purtroppo non c'è più.
Mi ricordo i
bei momenti che ho passato insieme a mia cugina.
Mi ricordo la mia prima casa
a M.
Mi ricordo i mattoncini del lego e la mia prima costruzione di un aeroplanino
di lego.
Mi ricordo quando sono caduto con il triciclo dalle scale.
Mi
ricordo la prima pedalata in bici senza rotelle.
Mi ricordo le cabine della
spiaggia, bianche con le tettoie rosse.
Mi ricordo di una foto dove avevo lo
stipendio di papà in contanti in mano,
avrò avuto due anni.
Mi ricordo la
prima lezione di ballo e la mia prima gara di ballo all'estero.
Mi ricordo il
primo bacio, la prima volta, il primo amore.
Mi ricordo che quando da piccolo
andavo dal barbiere, mi metteva su una poltroncina
rialzata fatta per i
bambini, lui mi chiedeva "Che taglio vuoi?"
e io dicevo "Il doppio
taglio".
Mi ricordo mio nonno: la sera stava in quel piccolo salottino
buio
illuminato solo dalla tv, fumava le sigarette e il più delle volte
si
addormentava su una sedia a sdraio di tela.
Mi ricordo le lunghe partite a basket con i miei amici, usciti dalla
scuola.
Mi ricordo il mio primo rapporto con una ragazza.
Mi ricordo tutte
le litigate con molte persone a cui ho voluto bene e ho amato.
Mi ricordo
quando mi sono innamorato per davvero amando solo lei per tanto tempo,
che
ancora adesso l'amo!
Mi ricordo quando mi mettevo nel letto con la musica a
pensare a lei,
come sarebbe stata insieme a me, come l'avrei baciata e
accarezzata.
Mi ricordo quando ero in ospedale, in fin di vita, con le
braccia piene di flebo,
con mia madre che piangeva. Sono diventato sordo da
un orecchio
e ho raccontato questo segreto solo ad amici più stretti.
Mi ricordo quando sono andata in affido e quando sono tornata a casa
mia.
Mi ricordo quando sono finita nel gruppo appartamento. Mi ricordo quanto
ho sofferto.
Mi ricordo la prima volta che ho visto la neve e quanto ero
contenta.
Mi ricordo bene il primo e l'ultimo schiaffo che mi diede mio
padre.
Mi ricordo quando mio padre è finito in galera.
Mi ricordo un
brutto pensiero che feci.
Recuperare l'infanzia attraverso una semplice struttura: "C'era... C'erano", usata da Peter Abrahams, in Dire libertà, ed. Lavoro
C'era mio padre che mi teneva in braccio e mia zia, che, mentre mi preparava
la pastina, ha inciampato sul piede di mio padre e la pastina bollente mi cadde
addosso. Immediatamente mio padre mi mise il prezzemolo sulla testa che si
attaccò tutto e non si levava più, allora lui mi prese in braccio e mi mise la
testa nel freezer.
C'era il girello con cui seguivo sempre mio padre e quel
maledettissimo giorno che lui uscì dalla porta, ed io, sempre dietro di lui,
feci delle capriolette giù per le scale e andai a finire al 2° piano, ma,
miracolo, non mi ero fatta niente.
C'era un buio intenso, io ero in braccio a
mia madre che era a piedi nudi, davanti alla finestra sul balcone, andammo a
finire con la testa contro il vetro della finestra.
C'era la torta decorata
con panna e tutte le rose di zucchero variopinte, preparata da mia zia per
festeggiare in campagna i 18 anni di mio cugino.
C'era quel letto morbido ma
freddo in mansarda e la nonna, per il gran freddo che avevo, mise quel bel
piumone tigrato sul mio piccolissimo corpo.
C'erano trenta bambini nella mia classe.
C'era il sangue quando sono
caduta correndo e mi sono rotta una mano.
C'era il bastoncino di legno con
cui i maestri ci davano le botte sulle mani.
C'era la mamma che sgridava sempre
me quando litigavo con mio fratellino, perché lui era più piccolo ed era
maschio.
C'era l'altalena e il gioco della corda in giardino.
C'era il
cuscus che preparava la mamma con le verdure o con la carne di agnello.
C'era
la Festa di Id: la mattina si faceva una ricca colazione con dolci e pane arabo,
poi verso le dieci si sgozzava l'agnello che la sera si cucinava.
C'era il
dajin piccolo che conteneva burro, marmellata...
e quello grande che
conteneva la carne.
C'era il latte caldo che la mamma mi dava la mattina e la
sera.
C'era il sole che tramontava sul mare: era tutto arancione.
C'era
il bianco delle case di Agadir e il rosso della sabbia del deserto.
C'era quel profumo dolce di mia mamma.
C'era quel ragazzo che mi faceva
giocare quando aspettavo mia sorella
all'uscita di scuola.
C'era sempre
quel ragazzo che rividi solo dopo qualche anno e mi chiamava Millina.
C'è
stato il dolore e il sapore delle lacrime quando è morto.
C'erano i ricordi
così dolci e ormai diventati amari da quando non è più in vita.
C'erano le
risate in compagnia.
C'è stata una settimana passata a Lido Adriano con mia
sorella e i nostri amici.
C'era quel profumo che mi ricorda i miei 13 anni,
Tempore uomo.
C'era quel vestito rosa a strisce nere che mia mamma mi
faceva mettere la domenica
e che a me non piaceva.
C'erano le feste dove
ci riunivamo con tutti i parenti materni a casa della nonna e
giocavo sempre
con i miei cugini.
C'erano le costine d'agnello che faceva la zia.
C'era il rumore della vecchia 500 della maestra quando mi accompagnava
a
casa dall'asilo, che era molto lontano da casa mia.
C'era l'odore e il fumo,
quando si bruciò la casa della mia amica,
ma per fortuna lei e la sua
famiglia non c'erano.
C'era un giardino grande pieno di verde con delle
collinette su cui mi arrampicavo
finché non tornavo giù rotolando: era una
bella sensazione.
C'era il mio vestitino corto, tutto nero con delle chiazze
bianche e il collettino bianco,
lo indossavo da piccola in estate e tuttora
lo conservo.
C'era un elastico lungo lungo, bianco con cui ho inventato un
gioco da fare insieme,
lo feci vedere a tutta la classe delle elementari: il
gioco fu molto stimato a tal punto da giocarci tutti i santi
giorni, durante
l'intervallo.
C'era la nonna e le sue caramelle gommose.
C'era il vasino dove facevo la
pipì, era un ippopotamo rosso.
C'era la bicicletta con le rotelline, con cui
cadevo.
C'era la TV anni 70 di colore marrone.
Un pomeriggio di neve, la lettura di brani da "Canto della neve silenziosa" di Hubert Selby Jr., la scrittura di immagini, sensazioni, ricordi...suscitati dalla neve.
Sento la neve cadere tra i rami e sono felice. Case e paesaggi imbatuffolati
e quella persona che cammina in mezzo alla strada.
La natura in un bianco
silenzioso: guardo la neve dalla finestra e parlo da sola.
Vedo me piccola: i
pupazzi di neve con gli amici nel giardino di mia nonna.
Vedo me bambino: i
giochi all'uscita di scuola o nel mio cortile di casa.
I miei amici mi
buttavano in faccia la neve, era fredda, la pelle rabbrividiva.
Sento la
neve, fredda e fresca, la stringo tra le mie mani, la metto in faccia, è
soffice.
Sento il suo gusto, ne ho mangiata un po': avevo 12 anni, una mia
amica mi aveva detto:
"Non mangiarla, è sporca." Invece è troppo
buona".
Ritorno un bambino piccolo che si tuffa nella neve, mi diverto molto
e vorrei rimanere sempre così.
Immagino neve calda, neve d'estate, immagino
di sdraiarmi e dormire sulla neve.
Divento un mare di neve così silenzioso,
bellissimo e pulito.
Sento la neve che diventa acqua.
La vedo sciogliersi
pian piano con il sole.
Marco D., un ragazzo del corso
Dopo la lettura di alcuni haiku di Jack Kerouak, alcuni racconti di ricordi "bianchi" si trasformano in piccole poesie.
La 500 bianca di mio nonno
Che forte camminare
con quel macchinino!
Sotto il lenzuolo bianco
notti intere
a raccontarmi a mia nonna.
Il giorno della mia comunione
mia nonna
mi vestì e mi aggiustò il
vestito.
Ero come Biancaneve.
Bianca morbida e calda la coperta
il lettone enorme di mia nonna
luogo di gioco con mio cugino.
Da sempre.
Su una panchina nel parco
un amico mi massaggia
le tempie
un altro
con la testa
sulle mie ginocchia.
Passa una nuvola spumosa,
corposa,
splendente.
Il mondo in cui mi rifugio la mia stanza.
Un luogo bianco puro
incontaminato.
Che gusto mangiare il sale
fino o grosso non ha importanza.
Non mi
piacciono le cose insipide.
Dopo l'operazione
una notte in bianco
per il dolore.
Mazzara del Vallo.
Una grande casa bianca
Tre bianchi gradini fino al
portone
Una lunga scala bianca fino alla
porta di casa.
Tre mesi di
vacanza con mio padre.
A Manila, la mia stanza bianca,
mobili bianchi, tende bianche,
coperte bianche, vestiti bianchi.
Diceva la mia bisnonna che
il
bianco porta fortuna.
Di sera nel silenzio
il rumore bianco del mare
vicino a casa
mia.
Nostalgia di Manila.
Eravamo insieme da un anno
mi regalò un mazzo di fiori bianchi.
La
storia durò un altro anno.
Da piccolo
in tv parlavano sempre
della Uno Bianca.
Ho impressa
l'immagine della
pompa di benzina
e dei corpi a terra.
Vedo tutto bianco
dopo aver corso per un'ora e mezzo.
Giocando a
calico
scopro il limite
della sopportazione fisica
La caduta del primo dente da latte.
Come dondolava!
Sotto il bicchiere
trovai 10 mila lire.
Un'emozione bianca:
l'invito ad uscire accettato
da una ragazza che
mi piaceva.
Giretti, pizzeria, risate:
una serata magica.
Il primo mazzo di fiori
che ho regalato ad una ragazza
Non sapevo se
potevano piacerle
oppure no!
Contro un muro bianco
giocavo a pallone con i miei amici.
Quando
d'estate torno
qualcuno di loro lo ritrovo.
Ma non siamo più bambini.
Agadir,
il mio paese natale
il mio paese bianco.
Dalla Spagna a Tangeri.
Ogni estate
con una grande nave bianca.
Il primo giorno di elementari.
Io e Giulia con la maglietta
bianca.
Amiche per sempre, ancora oggi
ci scambiano per sorelle.
Era morto Buck.
Io e mia sorella sedute a terra a giocare
mio padre
aprì la porta
entrò un nuovo batuffolo di pelo bianco: Dogy.
A undici anni a Maratea
sotto la statua bianca del santo.
Una
sensazione di immenso.
Fine dell'anno, tanti botti.
Improvvisamente
sparati in faccia
fari di un'auto dei carabinieri
Paura di finire in caserma.
Anestesia locale.
La luce bianca della lampada
in sala
operatoria.
Che fattanza!
Le mie tonsille le conservo
in un
barattolo.
Farina bianca per fare il pane
mani di mamma che impastano.
Neanche al
tavolo arrivavo
pezzi di impasto rubavo.
"Il corpo ricorda le cose - l'amore, le persone, il tempo - meglio
dell'anima.
Si porta dietro, e dentro, tutto. Resiste a ogni bufera, la
memoria del corpo. Tenace come sanno esserlo anche gli alberi, le rocce."
(Simona Vinci, In tutti i sensi come l'amore, Einaudi)
Quando mi sono sentita male, per sfogarmi dal dolore che mi travolgeva, mi sono spenta una sigaretta sul braccio per sentire dolore per qualcosa che avevo fatto io, non per sentire il dolore che mi aveva procurato una persona da me amata.
Altri segni che ho sul corpo sono i buchi alle orecchie e il buco al naso.
Sulla gamba ho una cicatrice di sette punti, la ferita era tanto profonda che si vedeva l'osso ed è stato terribile anche perché avevo solo sette anni e quindi il dolore mi sembrava più forte. Adesso ce l'ho ancora dopo dieci anni, ma ho imparato a conviverci.
Ho una cicatrice sulla gamba, precisamente nella tibia. Non so se tale cicatrice è stata provocata volontariamente o no, però so che mi ha fatto tanto male sia fisicamente che moralmente. Tre anni fa è successo che stavo con un ragazzo e, in un momento di nervosismo, mi ha fatto cadere giù dalle scale, così mi sono fratturata la tibia. Tutte le volte che la vedo mi fa pensare a questa persona e mi fa venire una tale rabbia! Quando in estate sono in spiaggia, cerco di nasconderla in qualsiasi modo, perché mi vergogno a farla vedere. Mi fa un gran male solo a vederla. La sento parte del mio corpo, però, quando persone che non conoscono la storia mi chiedono che cosa è successo, mi fa male pensarci tutte le volte!
A dicembre, per regalo di Natale, mi sono fatta il buco alla lingua, per la seconda volta, perché la prima volta, l'anno scorso, l' ho dovuto togliere perché al mio ex ragazzo non piaceva. Adesso che è finita per sempre l' ho rifatto e guai a chi me lo tocca! L' ho sempre voluto fare da quando ero piccola e adesso che ce l' ho sono troppo contenta! Ho avuto molti problemi con il pearcing: non sono riuscita a mangiare per più di una settimana, non ho parlato per quattro giorni, perché mi si era gonfiata la lingua e una volta mentre mangiavo l' ho mandato giù. Ci gioco più o meno tutti i giorni, a me piace moltissimo, solo che la mia famiglia non è convinta come me; molto spesso, quando mi vedono che ci gioco dicono che fa senso. Non lo nascondo quasi mai, anzi faccio in modo di farlo vedere... Ogni giorno che passa, lo sento sempre più parte di me. Molte volte ancora non ci credo di averlo fatto, ma invece ce l' ho più che mai. Ho altre cicatrici nelle braccia e nelle mani, fatti volontariamente con il cutter per disperazione, per esasperazione, per nervosismo...ma soprattutto per sfogarmi. Ma di questi preferirei non parlare.
Ho due cicatrici: sul ginocchio e sul gomito, ma non mi ricordo mai dove le ho, se a destra o a sinistra. Ormai le ho dimenticate. Per me significano soltanto piccole imperfezioni in una vita imperfetta, come ogni vita. Una vita perfetta non esiste, ognuno ha un segno morale o fisico, che, se fisico, si può cancellare o scordare, come succede a me, ma se è morale e se è importante, è impossibile dimenticare.
Se normalmente il corpo racconta... beh, il mio è un libro con tanto di
illustrazioni...
Ho sette cicatrici sul braccio provocate da me stessa per
non aver dato retta ai più grandi, per voler essere sempre al centro
dell'attenzione, per essere spericolata.
Sono caduta, mi sono rotta le ossa e
ho dovuto subire ben due interventi per rimetterle a posto. Ho un'ottava
cicatrice sul ginocchio perché sei mesi fa sono caduta dal motorino mentre
caricavo un'amica, a lei è rimasta solo una macchia, invece a me hanno dovuto
dare dodici punti di sutura. Insomma sono come una cartina geografica. Non me ne
faccio un problema, soltanto che in estate me ne vergogno, perché la gente
guarda e mi dà fastidio.
Sul mio corpo ho un segno particolare molto importante desiderato da me, ma
fatto da una mia amica. Si tratta di una lettera G, incisa col cutter sul polso
sinistro.
Un anno fa ero in un bar di un mio amico in compagnia di amiche.
Non stavo affatto bene, avevo appena perso la persona più importante della mia
vita, il mio primo amore, con cui avevo condiviso tutto. In quel momento ho
deciso di fare la prima cosa che mi è sembrata giusta: fare qualcosa che mi
poteva ricordare lui, qualcosa da toccare, ma impossibile da maneggiare. Ho
chiamato la mia amica in bagno e le ho chiesto di farmi l'iniziale del suo nome
col cutter. Ho sentito molto male, il sangue usciva ed era tanto al punto di
metterci del sale per fermarlo e il dolore era forte, ma non mi importava,
perché lui era speciale e per me significava tutto. Questo segno mi provoca
tanto amore, tanto affetto e molta tristezza, soprattutto perché l' ho fatto in
un brutto momento. Fa parte di me, della mia vita, è qualcosa che rimarrà
sempre, qualunque cosa succeda. Ogni tanto mi incanto a guardarlo e penso che se
tornassi indietro lo rifarei mille volte. Non mi piace sempre mostrarlo.
Ora
infatti lo nascondo con un polsino, non so il perché, ma mi sento di tenerlo
nascosto da tutti o forse, più che da tutti, da me. Quando lo vedono gli altri,
dicono che sono una stupida ma a me non importa perché mi ricorda lui, che ha
fatto parte della mia vita per tanto tempo, una persona con cui ho provato per
la prima volta un'emozione nuova: il primo amore.
Nel mio retrocoscia ho il segno di una puntura di un insetto che tuttora non so come si chiama, ma so solo che mi ha fatto un male indimenticabile a tal punto che mi è rimasto il segno, l'unico che ho nel mio corpo. Ma desidero tanto fare un tatuaggio nella parte inferiore della schiena fino al fondoschiena, vorrei tatuare l'iniziale della mia migliore amica importantissima per me, come una sorella. Vorrei che l'iniziale fosse in cinese.
Non vedo l'ora di fare un tatuaggio. Non ho ben chiaro cosa fare, mi piacerebbe avere un disegno che mi rappresenti. Io amo molto il ballo e vorrei rappresentarlo in un tatuaggio sulla spalla o sull'inguine fino al bacino.
Sul braccio abbiamo entrambe un segno particolare: è una conchiglia che
abbiamo inciso con un timbro a fuoco quando eravamo piccole in nome della nostra
amicizia. Oltre all'amicizia, la conchiglia ci ricorda le nostre avventure in
Sicilia e in Croazia.
A me racconta tutte le amicizie che sono rimaste in
Sicilia, i parenti lontani e soprattutto mi parla di un amico a cui sono molto
legata. Anche se lui non fa parte della famiglia, ci riteniamo cugini o ancor
più fratelli.
La conchiglia mi racconta della mia terra. A me invece la
conchiglia racconta della Croazia, dei vecchi amori, soprattutto di due in
particolare a cui tenevo molto, ai quali sono rimasta molto
affezionata.
Questa conchiglia racchiude i nostri ricordi. La lontananza è
una cosa bruttissima; ci si può andare in vacanza nella propria terra, ma non è
come stare là, dai nostri mari dobbiamo comunque ritornare qui, ma di loro
rimane la nostra conchiglia.
Quello che non riesco a dire, lo segno sul mio corpo. Lo volevo da più di un
anno.
Ero sdraiata, polleggiata su un lettino e non pensavo a niente. Mi ha
preso la pelle con una pinza e poi con un ago: trac, in un secondo ha trafitto
la mia pelle: è un brillantino azzurro come il cielo, il mio colore preferito.
E' il pearcing all'ombelico che ho fatto per i miei 18 anni. L' ho fatto perché
mi piaceva farlo, è un ricordo della maggiore età e, per me, è simbolo di
libertà. Finalmente posso fare quello che voglio sul mio corpo.
Ormai fa
parte di me e penso che se lo togliessi mi mancherebbe! E' una cosa mia, non mi
interessa farlo vedere. E' uno sfogo, mi affascina perché l'ombelico è al centro
del corpo. E' come un tatuaggio, un ricordo indelebile che rimarrà
sempre.
Dalla lettura dei racconti precedenti, la costruzione collettiva di una litania che canta le memorie che il corpo conserva.
Corpo mio corpo
inciso tagliato
dipinto istoriato
ferito incidentato.
Corpo mio corpo
spinto strattonato
pestato menato
rotto fratturato
illividito segnato.
Corpo mio corpo
mappa di tesori
di ricordi cari
sede di orrori
di ricordi amari.
Corpo mio corpo
bucato da pearcing
dell'anima lifting -
ombelico
gioiello -
corpo mio bello.
Corpo mio corpo
lingue forate
barre infilzate
segnali di sfida
di
anime erranti -
indelebili grida
di libertà vibranti.
Corpo mio corpo
percorsi tortuosi
sentieri pericolosi -
tracce di
amore
orme di dolore -
racconti di pianti
di risate di schianti.
Corpo mio corpo
ogni volta risorto
corpo amato
odiato violato
-
da cutter solcato -
a fuoco marchiato
da cicche spente
per rabbia
silente -
dolore dilaniante
per soffocare
un male più grande.
Corpo mio corpo
memoriale di offesi sensi
corpo che
nascondi
cicatrici dolente
corpo che pensi
e racconti colori
corpo
che narri
passati sapori
libro illustrato
da mani violente
libro
sfogliato
da mani indulgenti.
Corpo mio corpo
nato e rinato
corpo cantato
da rime
baciato.