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tornando a casa

elisabetta marino

Tutte le volte che oltrepasso la soglia so esattamente quanto tempo la mamma è rimasta a casa: un'ora è il profumo della salsa di pomodori di campo, col basilico aggiunto alla fine; due ore diventano lasagne, con la sfoglia sottile fatta in casa, la besciamella ricca che non sono mai riuscita a riprodurre, il ragù in cui si mischiano tre tipi di carne e ognuno dà sapore all'altro, senza perdere il proprio; un pomeriggio intero sono i tortellini in brodo, fatti uno per uno, il pollo ripieno ai pistacchi, il tiramisù con le uova delle nostre quattro chiocce.
A casa, il tempo è sempre stato scandito dai rituali della colazione, del pranzo, della cena; quest'ultima era il momento più importante della giornata, quando la fretta di tutti s'acquietava un poco e i racconti s'intrecciavano col fumo denso della pipa di papà e col torpore del sonno che già s'annidava trai nostri capelli.

Penso spesso a quei momenti, anche se le cose sono molto cambiate, anche se la fretta affamata mi morde i calcagni ogni giorno che passa, anche se le pipe sono senza fumo da più di vent'anni e, tutte impettite e allineate in cima al camino, aspettano ancora, come la mamma, che ci saluta e s'accomiata con la stessa frase: "La casa è qui, la strada la sapete, io ci sono".

Quel cibo per me è una certezza, un atto d'amore che si rinnova ogni volta che torno e che ascolto i profumi delle pentole sul fuoco con gli occhi un po' socchiusi, mentre il tempo si annulla e ripenso a quando la vita era fatta di colazioni, pranzi e cene.

Cucinare è un po' come insegnare: ci metti dentro tutto quello che puoi per rendere il piatto sostanzioso, curando la scelta degli ingredienti a uno a uno, bilanciandone le dosi per rendere il tuo cibo ricco ma digeribile, per far sì che chi lo assaggia ne voglia ancora, fino a quando non si metterà anche lui a cucinare e sarà in grado di prepararselo da solo.
Insegno italiano agli stranieri.
Il loro cibo è diverso dal mio, la loro casa è lontana (se c'è ancora una casa), i loro ricordi sono sepolti nella terra che hanno lasciato.
Insegno loro la mia lingua per dare modo a quei ricordi di germogliare ancora, come semi portati dal vento in un'altra terra.
Insegno loro la lingua per ascoltarne le parole, per gustare i cibi del loro passato, per ritornare insieme alla mia casa, alla loro casa. Come i tre tipi di carne nel ragù della mamma, ognuno dà sapore all'altro, senza mai perdere il proprio.

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Anno 1, Numero 6
December 2004

 

 

 

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