El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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l'impatto dell'ibridazione post-coloniale sulla britannicità della letteratura britannica

itala vivan

Mi chiamo Karim Amir, sono inglese di nascita e d'educazione, o quasi. Vengo spesso considerato uno strano tipo d'inglese, una nuova razza, sorta da due storie antiche. Non me ne curo, inglese sono (pur non andandone fiero), della periferia di Londra sud, da qualche parte diretto. E', forse, la bizzarra mescolanza di continenti e di sangue, qui e lì, di appartenenza e non appartenenza a rendermi irrequieto e facile alla noia. O è, forse, l'essere cresciuto in periferia, la causa. Ad ogni modo perché ricercarne l'intima ragione quando basta dire che ero a caccia di guai, di qualunque sorta di movimento, azione od interesse sessuale fossi in grado di trovare, poiché era tutto così triste, così lento e pesante, a casa nostra, non so perché. Francamente tutto mi deprimeva ed ero pronto a qualunque cosa.
(Kureishi 1990:3)
In quest'apertura de The Buddha of Suburbia (Il Budda di periferia), Hanif Kureishi mette il lettore di fronte ad una dichiarazione precisa che riassume una lunga storia di immigrazione ed ibridazione. Il personaggio che pronuncia la dichiarazione, Karim Amir, sale sul palcoscenico narrativo definendosi in termini che appaiono, al contempo, introspettivi e rivendicativi, mostrandosi, inoltre, ironico ed umoristico.
Vorrei interrompere qui la proiezione, mantenere la pellicola ferma ed il profilo scuro del mio personaggio sullo schermo. Ho intenzione di lasciargli continuare la sua sfida e perseguire la sua ricerca. L'atteggiamento sembra ricalcare quello dello scrittore britannico nero, ma va oltre, appropriandosi dello spazio per installare una nuova scenografia tutta sua ed allestire uno spettacolo completamente nuovo sul palcoscenico della grande Londra.
Karim Amir è un prodotto degli anni novanta ed esprime l'orgogliosa, ed al contempo problematica, realtà della Gran Bretagna nera alla fine del millennio. Se torniamo alla Londra degli anni cinquanta, quando le prime grandi ondate d'immigrazione colpirono il centro di un impero, già sull'orlo della dissoluzione, troviamo un tipo di nero appena arrivato, piuttosto diverso, come il personaggio ne All About H. Hatterr (Tutto su H. Hatterr):
Per tutta la vita ho desiderato venire: venire sulle sponde occidentali, nel continente del mio vecchio, nell'adorato Eldorado del poeta-bardo, in Inghilterra, la patria di Dio, la residenza di Marte, il dannato paradiso, nella Reverenda madre del Capo e madre terra, nella Casa dell'inglese, il suo Castello, il suo giardino, di fatti, la vera alma mammina del tizio, il suo frutteto.
Ed ora sono giunto!(...)
E se mi trovo tra di voi, sulla vostra strada, in questa terra maestosa, quest'altro Eden, questo semi-paradiso, questa pietra preziosa posta nel mare d'argento, questo luogo benedetto, questa terra, questa Inghilterra, in mezzo a questa felice schiatta di uomini e non vorrei arrancare ed essere andato; e se, in nome del Bardo di Avon, desidero, signore, che mi sia resa giustizia, poiché sono un uomo molto povero e straniero, senza un giudice imparziale, qui, né alcuna assicurazione di amicizia ed azione equa; non è perché io desideri essere tra di voi, né perché questa pagina abbia alcuna pietà, equilibrio o pregio; né perché io ricerchi alcuno slancio da clown, né, lo giuro, le ricompense di un saltimbanco, sinceramente; né perché io brami il vantaggio di un premio immeritato, o beni o ricchezze od onore o di più o di meno; ma per voler del Signore dio degli ospiti, il santo, che ha reso voi parte della razza felice e me di quella straziata, solo Lui non conosce affatto il modo in cui le faccende mortali vengono fatte, io sono da solo!
(Procter 200; 51-52) (Richard II, John of Gaunt)
Quel primo migrante, che parla nel 1948 in seguito allo storico arrivo sul suolo britannico della "Windrush" (Impeto del vento) che trasportava il primo carico di immigranti dall'India accettati in seguito all'Atto della Nazionalità, sperimentava la singolarità della sua posizione ma già combatteva il senso di solitudine del migrante con le armi del capovolgimento e dell'ibridazione. La lingua creola di Desani e le parodiche immagini si appropriano della maggiore icona della tradizione inglese - Shakespeare - e del famoso inno all'Inghilterra di Shakespeare - un topos letterario e culturale per eccellenza - per costituire un nuovo evento: l'arrivo del migrante. Lui, il nero nuovo venuto, è salito sul palcoscenico che diviene uno spazio dove si può mettere in scena un nuovo spettacolo, una rappresentazione che tratta d'immigrazione e di una nuova conquista intrapresa, la conquista d'Inghilterra. Scrive e diviene il suo soggetto del discorso. Mentre scrive di sé scrive dell'Inghilterra che trasforma l'Inghilterra in Bretagna. Questa mossa dà origine al processo a cui Rushdie si riferì quando disse che "l'impero scrive la risposta". In quegli anni, nel periodo post-bellico altamente politicizzato, l'Inghilterra adottava la cosiddetta politica delle porte aperte verso gli abitanti delle sue colonie: lungi dal respingere l'immigrazione l'accolse.
Pur tuttavia immigrazione significava già perdita geografica e culturale e dislocazione. L'Inghilterra e Londra, principalmente, si trovavano al centro del sogno dell'immigrante, il quale finiva con attribuirvi tutte le qualità che l'ambiguità del colonialismo avevano proiettato sull'immagine di "casa", solo per scoprire che, una volta sul suolo inglese, l'Inghilterra non era l'Eden né Londra il paradiso. L'amaro processo di adattamento all'impoverita e conflittuale realtà dell'Inghilterra post-bellica era di sicuro duro e sconvolgente, così come indica la narrativa di così tanti scrittori neri dell'epoca, principalmente uomini provenienti dall'India, come Sam Selvon e George Lamming.
La letteratura e le arti visive - prime la poesia e la narrativa, poi film e video, fotografia e pittura - divennero il territorio del migrante dove ci si appropria della lingua inglese che viene trasformata in qualcosa di ricco e strano, un nuovo mezzo, un nuovo stile. In tal modo gli scrittori migranti si appropriarono del potere della rappresentazione fino a quel momento appannaggio dell'autorità imperiale. Ne Satanic Verses (I versetti satanici) di Salman Rushdie, il tormentato eroe continuamente mutante, Saladdin Chamcha, viene arrestato e malmenato dalla polizia, finisce in un ospedale dove incontra una folla di mostri che altri non erano se non immigranti trasformati in mostri dallo sguardo imperiale, come uno di loro il Manticore (una strana creatura, per metà uomo e per metà tigre) spiega:
"Da quella parte c'è una donna (...) che adesso è quasi un bufalo. Vi sono uomini d'affari nigeriani ai quali è cresciuta una coda robusta. C'è un gruppo di agenti di viaggio senegalesi che non faceva altro che salire e scendere dagli aerei quando venne trasformato in viscidi serpenti. (...) Ogni notte sento che una parte di me inizia a trasformarsi." (...) "Ma come ci riescono?" "Ci descrivono", sussurra l'altro solennemente. "Questo è tutto. Hanno il potere della descrizione e noi soccombiamo alle immagini che costruiscono".
(Rushdie 1988; 167-8)
Nella rappresentazione di Rushdie gli immigranti vengono classificati come ibridi e quindi mostri e confinati a quel ruolo da coloro che possiedono il potere della rappresentazione e lo usano per promuovere il processo di divenire altro da sé.
Il "potere della descrizione" è quello che lo scrittore nero strappa a "loro" per costruire la propria immagine e rivelare non una mostruosità ma un altro essere umano in un mondo caratterizzato dalla differenza, una nuova varietà di cittadino britannico. Lungi dal consentire di venir descritto come un essere inferiore e trattato come tale, questa/o nuova/o scrittrice/scrittore rivendica i propri valori e li affida alla società britannica affinché vengano accettati come parte integrale di essa, come pertinenti ed inevitabili tanto quanto qualunque altro tipo di britannicità (anglismo).
Se compariamo l'Hatterr di Desani al Karim Amir di Kureishi si vede che il secondo è il risultato di un complesso processo che ha forzato la società britannica ad accettare la presenza del cittadino britannico nero. Questo processo, tuttavia, era già latente nel primo periodo d'immigrazione e si è manifestato nella doppia voce dello scrittore, un ironico contro-discorso che insinua il dubbio attraverso le opposizioni binarie e che introduce confusione nel sistema manicheo di o/o, nero/bianco, uomo/donna, primo mondo/terzo mondo, civiltà/barbarie.
L'implicitamente sovversiva funzione dell'ibridismo, che attraversa tale binarismo, sfida la "purezza" della "tradizione" e quindi crea una "poetica della reinscrizione", per usare la definizione di Homi Bhabha ed apre la via alla conscia articolazione di una nuova storia. Salman Rushdie sottolinea che
Gli scrittori indiani in Inghilterra hanno accesso ad una seconda tradizione piuttosto differente dalla loro storia razziale. Si tratta della cultura e della storia politica del fenomeno della migrazione, dislocazione, vita in un gruppo minoritario. Possiamo, del tutto legittimamente, vantare come nostri antenati gli ugonotti, gli irlandesi, gli ebrei; il passato a cui apparteniamo è un passato inglese, la storia della Gran Bretagna immigrante. Swift, Conrad, Marx rappresentano i nostri progenitori letterari quanto Tagore o Ram Mohan Roy. (...) Siamo inevitabilmente scrittori internazionali in un epoca in cui il romanzo non è mai stato una forma più internazionale (...); si tratta forse di una delle libertà più piacevoli della letteratura migrante poter scegliere i propri genitori. I miei - selezionati per metà consciamente e per metà no - includono Gogol, Cervantes, Kafka, Melville, Machado de Assis; un albero genealogico poliglotta, con il quale mi misuro ed a cui sarei onorato di appartenere.
(Rushdie 1991; 20-21)
Lo scrittore che può scegliere i propri genitori può scegliere la propria lingua, cambiarla, manipolarla a proprio piacere. Attraversando l'acqua è stato trasportato in una nuova cultura e la sua cultura originaria ha viaggiato con lei/lui. E' ancora Rushdie a concludere che
"l'essere nati dall'altra parte del mondo fa di noi (scrittori post-coloniali) uomini tradotti. Di solito si immagina che qualcosa vada sempre perso nella traduzione; rimango ostinatamente ancorato all'idea che qualcosa possa anche essere guadagnato".
(Rushdie 1991; 19)
Esprimendosi in questo modo Rushdie suggerisce che non solo nulla va perso nel processo d'immigrazione, ma - ed è questo ciò che più conta - succederà di certo qualcosa di nuovo: la doppia natura dello scrittore post-coloniale che è sia un membro che un estraneo, la sua nuova angolazione creata dalla distanza e dalla lunga prospettiva geografica, pregna di significato politico.
Alla fine degli anni sessanta venne adottata la specifica categoria "nero", "coniata come un modo di riferirsi alla comune esperienza di razzismo e marginalizzazione in Bretagna", che forniva la cornice organizzativa di una "nuova politica di resistenza". (Hall 1988, in Baker ed altri; 163).
Nel frattempo, le ondate d'immigrazione si erano sviluppate in varie, diverse correnti provenienti da molte aree e culture; A indiani, pakistani ed indiani delle Indie occidentali si erano uniti molti africani, soprattutto nigeriani. Fu nel 1960 - lo stesso anno in cui George Lamming pubblicò The Pleasures of Exile (I piaceri dell'esilio) - che Buchi Emecheta emigrò a Londra, per incrementare le fila dei 'been-tos' (quelli-che-sono-stati-a), come coloro che erano stati in Inghilterra venivano registrati in Nigeria. Invece lei andò a Londra per restarvi e divenne una scrittrice la cui narrativa ritrasse spesso aspetti della Gran Bretagna nera con amaro sarcasmo.
Nel 1968, l'anno che segna l'inizio di una nuova era nella storia sociale, il leader razzista Enoch Powell pronunciò il suo noto discorso "Fiumi di Sangue" in cui minacciò il paese con il fantasma del conflitto e della rivolta. L'Atto dell'Immigrazione del 1971 blocco tutta la principale immigrazione nera verso la Gran Bretagna e nella decade successiva un crescente deterioramento delle relazioni polizia/neri causò una lunga catena di incidenti che proseguì fin negli anni ottanta. Il 1979 segnò la vittoria dei Conservatori (Tories) alle elezioni politiche sotto la guida di Margaret Thatcher. Gli anni ottanta divennero un vero campo di battaglia per i neri, ma segnarono anche nuovi sviluppi nelle loro strategie ed autoconsapevolezza, ampliando ed approfondendo il dibattito su razza, etnicità ed anche estetica e collegando il discorso degli studi culturali neri a quelli del post-colonialismo.
'Nero', come osserva Stuart Hall, è una categoria con un contrasto interno, non solo perché è attraversata da categorie quali africani ed asiatici, ma anche perché comprende una serie di etnicità diverse. Tuttavia, nonostante la sua natura problematica il termine ha continuato ad essere usato negli anni novanta. Oggi ha bisogno di una revisione anche se è ancora utile a causa della lotta politica che raggruppa come area di contestazione razziale. Paul Gilroy ha suggerito una riconfigurazione della categoria che elogia per la 'variegata-messa in rilievo' (Gilroy, Small Acts 1993: 112).
Oggi, parlando nel 2001, la Gran Bretagna nera ha acquisito una visibilità fuori discussione ed imposto la propria vitalità artistica. Con le parole di Houston Baker,
"Vi è una sensazione di essere giunti ad un sito di scavi intellettuali. Lavorando dall'interno degli scavi chiamati Gran Bretagna, gli studiosi (...) convertono il segno 'Gran Bretagna' in una metonimia per territori teoretici internazionali di dibattito su argomenti quali egemonia e soggettività, essenzialismo e rappresentazione, diaspora e casa."
(Baker 1996:15).
Gli anni ottanta hanno visto la nascita del teatro e del cinema nero e l'esplosione della narrativa (post-coloniale o, forse, della Gran Bretagna nera) non da ultimo riconosciuta da importanti premi letterari. Nel 1981 Hanif Kureishi ha scritto il lavoro Sobborghi (Outskirts) e Linea di Confine (Borderline) per il Royal Court Theatre e nel 1985 Stephen Frears ha curato la regia de La mia bella Lavanderia Automatica (My Beautiful Laundrette), basato sul testo di Kureishi che in seguito ha ricevuto una nomina per l'Oscar. Il film diventò enormemente popolare e fu acclamato come un importante manifesto della cultura nera della Gran Bretagna. La stessa decade vide anche l'aumento della fama di Salman Rushdie, da I Bambini della Mezzanotte (Midnight's Children) a I Versetti Satanici (Satanic Verses), il primo omaggiato dal Premio Booker ed il secondo stigmatizzato dalla fatwa dell'ayatollah. I classici scrittori neri britannici della generazione precedenti, come Wilson Harris o V.S. Naipaul, vennero affiancati da diversi nuovi scrittori di recente immigrazione - David Dabydeen, Ben Okri - e dalla discendenza della Gran Bretagna nera, gente giovane nata e cresciuta in Gran Bretagna, come Caryl Phillips, Zadie Smith, Kureishi stesso ed altri i quali
"scrivendo dall'interno della dialettica 'razziale', diedero voce a quanto essere 'britannico' era giunto a significare, non più da un'angolazione di periferia d'immigrazione ma dalla prima linea post-immigrazione ed oltre".
(Lee 1995:74).
Gli anni novanta portarono una sensazionale penetrazione del discorso degli studi culturali neri e del post-colonialismo in Gran Bretagna, dove sia l'Irlanda che la Scozia proclamarono il proprio status di entità post-coloniali e ridiressero i propri intenti verso una nuova collocazione culturale ma anche politica. Il risultato di tutto ciò fu, tra le altre cose, il conferimento del decentramento amministrativo (la devolution) alla Scozia ed al Galles da parte del nuovo governo laburista sotto la guida di Tony Blair. Tali eventi erano chiari segnali di un certo grado di frammentazione nel fronte, un tempo apparentemente compatto, della cultura dominante, l'inglesità della 'tradizione', ed un sintomo della rilevanza delle etnicità nel panorama nazionale. L'appropriazione di ciò che era il centro dell'impero era entrata in una nuova fase ed aveva sviluppato un nuovo concetto di centralità, una centralità multipla, per usare la definizione di Stuart Hall, offrendo un'immagine migliore della realtà rispetto al concetto di cultura marginale.
Non appare possibile cercare di tracciare neppure una storia abbozzata della cultura e letteratura nere britanniche in questo breve scritto. Per altro, può darsi che tale storia non possa ancora essere scritta, visto che si tratta di un processo in fieri, un movimento verso, piuttosto che un fenomeno definito, per quanto si identifichi con la questione dell'identità britannica nera. Stuart Hall pone bene la questione:
Forse, anziché pensare all'identità come a qualcosa di compiuto, che le nuove pratiche culturali, quindi, rappresentano, dovremmo pensare, invece, all'identità come ad una 'produzione' mai completa, sempre in divenire e sempre composta con, e non esterna a, la rappresentazione.
(Stuart Hall citato da Hebdige, Baker 1996:120).
Potrebbe quindi essere più interessante ritornare al profilo di Karim Amir in attesa, come un'immagine ferma sul nostro schermo immaginario ed interrogarla sulle ipotesi artistiche ed estetiche del discorso dello scrittore nero britannico per seguire ed analizzare l'itinerario di Kureishi da Il Budda di Periferia a L'Album Nero.
In un testo autobiografico dal significativo titolo di "Il Segno dell'Arcobaleno", del 1986, Hanif Kureishi osserva che:
È il britannico, il britannico bianco, a dover imparare che essere britannico non è più quello che era. Adesso si tratta di qualcosa di più complesso che comprende elementi nuovi. Di modo che deve esservi un modo nuovo di vedere la Gran Bretagna e le scelte che le si parano d'innanzi; ed un modo nuovo di essere britannico dopo tutto questo tempo. Tuttavia, la discussione e l'auto-esame devono approfondirne la necessità, che cosa questo 'nuovo modo di essere britannico' comporti e quanto possa essere difficile da ottenere.
Il fallimento nell'afferrare questa opportunità per una rivitalizzata e più ampia auto-definizione di fronte al fallimento ad essere umano, si tradurrebbe in maggiore insularità, scisma, amarezza e catastrofe.
(Kureishi 1996:101-2)
L'eroe di Kureishi, sia nel Budda che nell'Album Nero, parte da una inquietante consapevolezza della propria inadeguatezza e confusione, dal suo desiderio di una ricerca più profonda. I romanzi sono entrambi organizzati come bildungsroman ed appaiono carnevaleschi nella struttura, nel presentare un personaggio principale che sembra ricopra molti ruoli diversi, passando dall'uno all'altro, come se stesse esplorando acrobaticamente le molte sfaccettature del contesto britannico in termini di razza, politica e sesso. L'eroe di Kureishi ricorda, per certi versi, la natura avventurosa ed i modi burleschi di Tom Jones, ma non passa attraverso classi sociali, né corre il rischio di perdersi, perché non ha un luogo dove andare. La qualità picaresca di questo personaggio deriva da una necessità post-coloniale e fa luce sulle condizioni magmatiche di un'intera società. L'architettura dell'avventura è come minimo spettacolare per Karim Amir nel Budda, mentre in Album Nero l'eroe Shahid è un filosofo meditativo ed ironico più che un attore che impersona un ruoli acrobatici. Ma anche per Shahid ci sono cambi drammatici di posizione e fedeltà che lo portano a schierarsi con fondamentalisti islamici fanatici, britannici bianchi di sinistra reduci dagli anni sessanta, membri della sua famiglia pakistana, sia morti (il padre, il fratello, la cognata) che vivi, giovani spacciatori destinati alla catastrofe ed un intero caleidoscopio di figure minori. Entrambi gli eroi dirigono una complessa trama di discorsi ed azioni con sullo sfondo una Londra multiculturale, una sorta di parco giochi, giorno e notte. (Karim fa anche un viaggio nella vistosa New York, insieme al fratellastro Charlie).
Karim e Shahid portano avanti ricerche simili e parlano autobiograficamente, ad evocare il complesso mondo della famiglia di un immigrante pakistano ed il dilemma con cui il figlio maschio deve fare i conti in tale famiglia, perseguitato da una figura paterna onnipresente. Dal passato dei loro padri proviene l'immagine di quell'Inghilterra con cui si è confrontato l'immigrante nero indiano negli anni cinquanta, come descritto nel Budda:
Londra, Old Kent Road, fu uno shock congelante per entrambi (Papà ed il suo amico Anwar). Era bagnato e nebbioso; la gente ti chiamava 'Jim Soleggiato'; non c'era mai abbastanza da mangiare, e papà non si sgocciolò mai con un toast. 'Il naso sgocciola meglio', disse, respingendo la dieta base della classe lavoratrice . 'Pensavo che ci sarebbe stato sempre roast-beef e pudding dello yorkshire'. Ma c'era ancora il razionamento e l'area venne abbandonata dopo essere stata bombardata e ridotta in macerie durante la guerra. Tuttavia papà era sbalordito e rincuorato alla vista dei britannici in Inghilterra. Non aveva mai visto l'inglese in povertà, come spazzino, uomo delle pulizie, negoziante e barista. Non aveva mai visto un inglese riempirsi la bocca di pane con le dita e nessuno gli aveva detto che gli inglesi non si lavano con regolarità perché l'acqua è così fredda - sempre che avessero l'acqua. E quando papà provò a discutere di Byron nei pub di quartiere nessuno lo mise in guardia sul fatto che non tutti gli inglesi sapevano leggere o che non desideravano necessariamente essere indottrinati da un indiano sulla poesia di un pazzo perverso.
(Kureishi 1990:24-25)
La ricerca dell'eroe di un nuovo equilibrio ed un nuovo significato non conosce soste in tutti e due i romanzi. Nel Budda, Karim è più ferventemente autobiografico ed instancabile nella ricerca, rivelando maggiormente la brutalità dell'esperienza che l'immigrazione comporta e la rabbia compressa che crea. Ma è in Album Nero che il folle guazzabuglio si calma, scivola in una ricerca introspettiva ed attraversa un mondo più frammentato, con inglesi bianchi marginalizzati nella loro nostalgia politica, inefficace seduttività (Brownslow e soprattutto Deedee Osgood) ed amici neri profondamente coinvolti in azioni fondamentaliste che dividono drammaticamente la comunità asiatica. Il romanzo è ambientato all'epoca della fatwa contro i Versetti Satanici di Rusdie con il libro che veniva bruciato nelle strade di Londra e nei dintorni dell'univerisità dove Shahid è iscritto come studente. L'avvenimento è centrale per la storia e contribuisce a dipanare l'impasse intellettuale che blocca la psiche di Shahid. Alla fine accetta la propria posizione come quella di un uomo alla ricerca, impegnato in una ricerca per un'identità impossibile, ma senza isteria o fanatismo:
Doveva trovare un senso alle sue esperienze recenti; voleva sapere e capire. Come era possibile confinarsi in un sistema o in un credo? Perché mai dovevano sentire di doverlo fare? Non c'era un sé fisso; di certo i nostri molteplici sé si mescolavano e mutavano quotidianamente? Dovevano esistere innumerevoli modi di essere al mondo. Si sarebbe espanso, nel suo lavoro e in amore, seguendo la propria curiosità.
(Kureishi 1995:274)
La conclusione finale di Shahid fa eco alle riflessioni di Stuart Hall sull'identità ed etnicità mettendoli in scena e facendoli divenire una rappresentazione, traendone una narrazione. L'ibridità e mutevolezza del giovane uomo non compromette il suo equilibrio poiché li accetta come parte della sua natura culturale. Ma nell'Album Nero c'è un altro personaggio - che in origine si chiama Trevor Buss ma cambia il proprio nome in Muhammad Shahabuddin Ali-Sha, abbreviato in Chad - che non riesce ad adeguarsi. La sua infelicità tocca i temi principali del disadattamento di un immigrato e viene anche paragonato alla stabilità localizzata espressa nel saggio canonico di George Orwell Inghilterra, la tua Inghilterra (England your England) datato 1941.
"Aveva visto case di campagna inglesi e gente inglese sicura, che apparteneva senza sforzo", commenta Deedee. "Sai, l'idea orwelliana d'Inghilterra (...) il senso d'esclusione lo fece impazzire. Voleva bombardarli (...)Divenuto adolescente vide di non avere radici, legami con il Pakistan, non sapeva neanche parlarne la lingua. Allora, frequentò lezioni di urdu. Ma quando cercò di domandare il sale a Southall tutti sentirono il suo accento. In Inghilterra la gente bianca lo guardava come stesse per rubargli l'auto o la borsa (...). "Deedee proseguì: "l'anima di Trevor Buss si è persa nella traduzione (...) "una volta mi disse, 'sono senza casa' gli chiesi 'Non hai un posto dove vivere?' 'No' rispose lui. 'Non ho un paese' gli dissi 'non ti perdi molto' 'Ma non so cosa significhi sentirsi un cittadino normale'"
(Kureishi 1995:107-108)
Chad rappresenta l'altro lato della medaglia della post-colonizzazione, colui che non vi prese parte e che perirà nel processo, distrutto dai condizionamenti dell'immigrazione. Sembra anni luce distante dalla caraibica ibridità esplosiva che Jo Jo, un fan bianco del reggae, esprime in un'intervista rilasciata negli anni ottanta nel Balsall Heath di Birmingham, una delle aree più antiche d'insediamento dei neri in Gran Bretagna:
Non esiste più qualcosa come 'l'Inghilterra'... benvenuti in India fratelli! Questi sono i Caraibi!...La Nigeria! Non c'è Inghilterra, amico. Questo è ciò che avanza. Balsal Heath è il centro del melting pot 'perché tutto quello che vedo quando esco sono mezzi arabi, mezzi pakistani, mezzi giamaicani, mezzi scozzesi, mezzi irlandesi, lo so perché sono mezzo scozzese e mezzo irlandese... chi sono? Dimmi, a chi appartengo? Mi criticano, la buona vecchia Inghilterra. Beeene, a chi appartengo? Sai sono cresciuto con neri, pakistani, africani, asiatici, tutto quello che ti viene in mente... a chi appartengo? Sono una persona espansa. La terra mi appartiene... Sai, non siamo nati in Jamaica, siamo nati in 'Inghilterra'. Siamo nati qui, amico. Siamo in pieno diritto. Io la vedo così. La metto così.
(S. Jones, Gioventù bianca e cultura popolare giamaicana, 1987, citato in Baker 1996:142)
Salman Rushdie applica lo stesso principio allo scrittore indiano, necessariamente ibrido ed indica lo speciale valore extra che ha immesso nella cultura britannica:
gli scrittori indiani in queste isole, come altri che sono immigrati nel nord dal sud, sono capaci di scrivere da una specie di doppia prospettiva, perché loro sono, noi siamo, al tempo stesso dentro e fuori in questa società. Questa visione stereoscopica è forse quanto possiamo offrire al posto di una ' visione d'insieme'.
(Rushdie 1991:19)
Sembra che solo ricoprendo il ruolo ibrido sul palcoscenico della modernità l'immigrato possa sopravvivere e trovare la propria salvezza. Gli eroi di Kureishi, Karim e Shahid, perseguono la loro ricerca mentre impersonano un centinaio di ruoli, correndo da un posto all'altro, dentro e fuori da bar e pub, locali notturni, ristoranti, discoteche, stazioni della metro ed autobus, aule universitarie - ogni sorta di posti, di case, eventi e situazioni. Non sono 'cittadini normali', ma è per questo che sopravvivono e trovano una via d'uscita dal caos verso la vita, pur non trovando mai il sé che stanno cercando, perché una cosa simile non esiste o, piuttosto, si può identificare con il movimento, il processo che porta al futuro.
Shahid è sul primo gradino della scala come scrittore (come il giovane Kureishi) e parla sempre di narrativa, arte ed estetica. È un grande ammiratore di musica ed è un appassionato del cantante pop Prince di cui colleziona i dischi. L'Album Nero, è, di fatti, il titolo di un disco leggendario di Prince, che lui ha. La sua biblioteca, una selezione ibrida, comprende Joad, Laski e Popper, Freud, Maupassant, Herry Miller ed i russi, tra gli altri:
Rivolse uno sguardo intenso alla pila di libri sulla sua scrivania. Aprine uno e ti librerai in volo, come se intrappolato dentro, c'era-una-volta, apritevi-sesami, matrimoni come quello di Swann e Odette o Levin e Kitty, persino Sheherazade e re Shahriya. I più fantastici personaggi Raskolnikov, Joseph K., Boule de Suif, Ali Baba, fatti di inchiostro ma sempre vivi, erano imprigionati nei più profondi dilemmi del vivere.
(Kureishi 1995:20)
Non solo i suoi gusti letterari ma anche quelli alimentari sono onnivori. Nel mondo multiculturale di Londra mangia ogni tipo di cibo e va in ogni specie di ristorante. Lo stesso vale per le lingue. Il romanzo è intessuto di centinai di voci ed idiomi, una cacofonia di suoni che gorgogliano dentro e fuori la stanza e la vita di Shahid.
Il suo obiettivo, divenire uno scrittore, lo porta a provare tutti i tipi di esperienze, ma lo induce anche a giocare un tiro al leader fondamentalista Riaz, il quale gli ha affidato la scrittura di un testo al computer. Shahid non sa resistere alla tentazione e nel copiare il manoscritto, lo trasforma gradualmente in qualcosa di completamente diverso., un lungo poema ibrido che scandalizza tutto il gruppo di fanatici. L'episodio, che suscita la collera dei suoi ex-amici, è un ulteriore esempio della necessaria ibridità nel romanzo, ed indica che l'arte può essere solo ibrida nel mondo britannico nero il mondo della modernità e del cambiamento, della translazione e transmutazione. La rigidità del fanatismo, gli eccessi d'isteria, non consentono ai discorsi artistici di germogliare e fiorire. Come Rushdie, Kureishi crede nella serietà dell'arte e del mestiere, ma asserisce la necessità, per un artista, di scegliere il proprio stile in completa libertà. Il dibattito sul rogo dei Versetti Satanici è una forte difesa a favore del diritto di Rushdie di scrivere come preferisce; è, tuttavia, risaputo che gli eventi del 1989 crearono una spaccatura tra gli asiatici in Gran Bretagna, opponendoli gli uni agli altri.
La scrittura di Salman Rushdie viene in qualche modo innestata ne L'Album Nero, quasi in modo intertestuale, adottando personaggi e situazioni da I Versetti Satanici, citando affermazioni dal libro, sviluppando un dibattito su traduzione/immigrazione/ibridizzazione e mettendo apertamente in discussione il diritto di un gruppo di estremisti di bruciare un libro. Se un libro - un lavoro artistico e di maestria - richiede un palcoscenico, non sta al pubblico, o a parte di questo, mettere a tacere la voce dello scrittore e rapirlo da tale palcoscenico. L'Album Nero restituisce, metaforicamente, il libro bruciato ai suoi lettori e riesce a darvi vita nuova facendolo risorgere tra le proprie pagine.
La voce di Hanif Kureishi continua a dare vita a personaggi che perseguono una seria ricerca di soluzioni individuali e diverse nell'ambito della griglia culturale della Gran Bretagna nera. Come conclude Karim Amir alla fine di Budda, confessando il suo modo unico di essere britannico e londinese, ma parlando da un centro:
così mi sono seduto nel centro della vecchia città che amavo, essa stessa seduta al fondo di un'isola minuscola. Ero circondato da gente che amavo e mi sentivo felice e sventurato allo stesso tempo. Pensavo a che caos era stato tutto, ma non sarebbe andata in quel modo.
(Kureishi 1990: 284)
la Gran Bretagna nera - o, piuttosto, la Gran Bretagna tout court - esce con un'altra manifestazione narrativa nel lavoro della nuova affascinante scrittrice ibrida Zadie Smith, la quale nel 2000 sorprese la scena letteraria con il suo immenso romanzo Denti Bianchi (White Theeth), scritto a soli ventun anni.
Denti Bianchi ha una trama complessa e travolgente basata sulla storia di due famiglie, i loro figli ed amici e si sintonizza su una Babele di voci, registrando i cambiamenti impressi nella lingua e nel paesaggio dall'epica rivelata della migrazione post-bellica. Lo sfondo è la zona nord-ovest di Londra, la metropoli inglese, dove le due famiglie - una, i Joneses, bianchi e giamaicani, l'altra, gli Iqbals, del Bangladesh - rappresentano il loro dramma esistenziale e continuano a discutere la questione della loro britannicità:
Questo è stato il secolo degli stranieri, marroni, gialli e bianchi. Questo è stato il secolo del grande esperimento di immigrazione. Ti può solo capitare che alla fine della giornata, a passeggio in un giardino, tu possa incontrare Isaac Leung al laghetto dei pesci, Danny Rahman nel recinto del calcio, Quang O'Rourke che palleggia con un pallone da pallacanestro e Irie Jones che canticchia una canzoncina. Bambini il cui nome e cognome sono in collisione diretta. Nomi che nascondono esodi di massa, navi ed aerei stracarichi, arrivi freddi, controlli medici. È solo verso la fine della giornata e forse solo a Willesden che si possono trovare Sita e Sharon, amiche per la pelle, le confondono sempre l'una con l'altra perché Sita è bianca (a sua madre piaceva il nome) e Sharon è pakistana (sua madre ha pensato che fosse meglio - meno problemi). Sì, nonostante tutta la mescolanza, nonostante il fatto che siamo scivolati gli uni nelle vite degli altri con ragionevole comodità (come un uomo che torna al letto dell'amante dopo una passeggiata di mezzanotte), nonostante tutto ciò, è ancora difficile ammettere che non c'è altro inglese che l'indiano, non altro indiano dell'inglese. Ci sono ancora giovani uomini arrabbiati su questo; che all'orario di chiusura usciranno in strade poco illuminate con un coltello da cucina avvolto in un pugno.
Ma fa ridere un immigrante sentire le paure del nazionalista, spaventato da infezioni, penetrazione, mescolanza di geni, non sono che piccola frittura, noccioline , paragonate a quello di cui ha paura l'immigrato - dissoluzione, scomparsa
(Smith: 326-327)
Il dibattito sull'identità si colloca nello spazio ma anche nel tempo ed appare trasversale nella storia, fa da eco agli sviluppi del concetto di inglesità che prese piede nel ventesimo secolo. La narrativa di Smith riporta il lettore al 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, quando una coppia di compagni ed amici, Alfred Archibald Jones e Samad Miah Iqbal, complottano per l'esecuzione del nazista Dottor Sick in un villaggio francese. Archie pensa che l'uomo debba essere ucciso, ma al contempo trema al pensiero di farlo lui stesso:
(Archie) 'E' per il futuro dell'Inghilterra che stiamo combattendo. Per l'Inghilterra. Sai (...), democrazia e cene domenicali e... e... passeggiate e pontili, salsicce e purè - e le cose che sono nostre. Non vostre (...) (Samad) 'Non hai niente a cuore, Jones (...) Non una fede, non una politica. Neppure la tua patria. Come la tua gente abbia conquistato la mia è un dannato mistero. (...) Cosa racconterai ai tuoi bambini quando ti domanderanno chi sei, cosa sei? Lo saprai? Lo saprai mai? (...) Io sono un Musulmano, un Uomo, un Figlio ed un Credente. Sopravviverò agli ultimi giorni', ripeté Samad come una cantilena.
(Smith: 120-121)
Anche qui il saggio di George Orwell Inghilterra la tua Inghilterra (un testo seminale per i britannici neri di oggi non meno che per il nativo inglese del passato) costituisce il fattore intertestuale nella conversazione tra i due uomini, quando l'indiano Samad accusa il britannico di essere un codardo, incapace di 'difendere' il suo paese in una situazione di guerra, un'emergenza in cui, come disse Churchill
"senza vittoria, non c'è sopravvivenza (...) nessuna sopravvivenza per l'Impero Britannico, nessuna sopravvivenza per tutto quanto l'Impero Britannico ha significato"
(Churchill 1941:208).
Si evidenzia che l'immigrante Samad ha un senso d'identità più forte dell'inglese nativo Archie e lo mostra. I problemi cominciano molto più tardi per lui, quando comprende che nessuno dei suoi figli gemelli, cresciuti uno in Bangladesh (Magid) e l'altro in Inghilterra (Millat) se la cavano bene nella vita. A quel punto Samad inveirà contro i lunghi anni della sua vita trascorsi a Londra, il nascosto ricatto imposto dall'Inghilterra ai propri immiganti e l'irrimediabile perdita della sua identità perduta:
Non vi sono parole. Quello che ho mandato a casa (Magid) viene fuori un vero inglese, bianco adattato, avvocato dalla sciocca parrucca. Quello che tengo qui (Millat) è del tutto regolare, indossa il farfallino verde, terrorista fondamentalista. A volte mi domando perché mi lamento' dice amaramente Samad, tradendo l'inflessione inglese di vent'anni nel paese, 'davvero, in questi giorni mi sembra che si stringa un patto con il diavolo quando si entra in questo paese. Consegni il passaporto al controllo, te lo timbrano, vuoi fare un po' di soldi, iniziare... ma hai intenzione di tornare indietro! Chi vorrebbe rimanere? Freddo, bagnato, miserevole, cibo pessimo, orribili giornali - chi vorrebbe rimanere? In un luogo in cui non sei mai benvenuto, solo tollerato. Come se fossi un animale in fine trainato a casa. Chi vorrebbe rimanere? Ma hai fatto un patto con il diavolo... ti ha trascinato dentro ed all'improvviso non ti senti a tuo agio nel tornare, i tuoi bambini sono irriconoscibili, non appartieni a niente. (...) Poi, inizi ad abbandonare l'idea stessa di appartenenza. D'improvviso questa cosa, questa appartenenza, sembra una lunga, sporca bugia... ed inizio a credere che i luoghi di nascita siano casuali, che tutto è casuale. Ma se credi a questo, dove vai? Cosa fai? Che cosa ha un senso?'
Mentre Samad descriveva questa disutopia con uno sguardo d'orrore, Irie si vergognava nel rendersi conto che la terra degli incidenti casuali le sembrava il paradiso. La libertà
'Capisci, bambino? So che capisci.'
E ciò che veramente lui intendeva era: parliamo la stessa lingua? Veniamo dallo stesso posto? Ci somigliamo?
(Smith:407-408)
Irie Jones, la figlia giovane di Archibald e di sua moglie Clara di discendenze caraibiche, è una rappresentante della nuova generazione e si sente perfettamente a proprio agio nella sua ibridità. Un nuovo tipo di etnicità si è sviluppato in Gran Bretagna, trasformandola in Gran Bretagna nera e posizionandola nell'interstizio, nell'essere in mezzo. Lei ed i suoi contemporanei sono felici di essere ciò che sono "qualcosa di ibrido":
si trattava di una nuova razza, che solo di recente si era unita ai ranghi dell'altro gruppo di strada: Becks, B-boys, bambini indiani, ragazzi-ampi (wide-boys), partecipanti ai raves, ragazzi rudi, teste d'acido, Sjarons, Tracies, Kevs, Fratelli della Nazione, amanti reggae e pakistani; manifestandosi come una sorta d'incrocio culturale delle ultime tre categorie. I regghisti parlano uno strano miscuglio di patois giamaicano, bengalese, guajarati ed inglese. Il loro ethos, il loro manifesto, se così si può definire, era qualcosa di ugualmente ibrido: Allah in evidenza, ma più come un grande fratello collettivo che un essere supremo, un vecchio tosto che avrebbe combattuto nel loro angolo se necessario; anche il Kung Fu ed i lavori di Bruce Lee erano centrali alla filosofia; a ciò si aggiungeva un'infarinatura di Potere Nero (...). Dieci anni prima, mentre le felici teste d'acido danzavano durante l'Estate dell'Amore, il gruppo di Millat avanzava dinoccolato verso Bradford.
(Smith: 231)
Sembra che Zadie Smith stessa condivida i sentimenti e stati d'animo di questa nuova generazione, della quale ci offre una rappresentazione nel romanzo. C'è molta leggerezza e sfrontatezza nella trama, velocità nel ritmo e nel linguaggio, abilità nell'occuparsi di un grosso numero di personaggi fortemente diversi, ambientazioni ed approcci culturali da cui il lettore viene abbagliato ed adescato da questa travolgente narrativa di dislocazione, ibridazione, rimozione. I diversi elementi - linguaggio, stile, caratterizzazione, ambientazione - testimoniano gli enormi cambiamenti avvenuti in Gran Bretagna. Le sequenze temporali sono organizzate in cronicismi che dividono la storia in quattro parti, dove ogni sezione fa un passo avanti nella contemporaneità ed un passo indietro nel passato, di modo da coprire un secolo e mezzo di storia, tornando indietro al Grosso Ammutinamento del 1857 in India e terminando nel nuovo millennio. Questa strategia è simile a quella adottata da Don De Lillo in Mondo Sotterraneo (Underworld), anch'esso un libro in cui l'immigrazione, e le sue conseguenze e questioni culturali svolgono un ruolo principale.
Allo stesso tempo, non si potrebbe dire che ci sono 'influenze' visibili in Denti Bianchi, ma solo presenze. Un'altra presenza importante è Salman Rushdie, la cui voce intrusiva fa eco qui, insieme ad un impeto dinamico e fluidità nel narrare il racconto. Il romanzo di Smith è un caldo omaggio al maestro della letteratura nera britannica, ma paga anche un tributo a scrittori immigranti quali Sam Selvon, Hanif Kureishi e Caryl Phyllips, includendoli ed abbracciandoli tutti nell'irriverente polifonia della sua Londra postocoloniale.
Molti critici hanno, tuttavia, indicato un'influenza come predominante in questo romanzo cioè quella di Charles Dickens. Sono sue le folle di personaggi e l'approccio caricaturale verso di loro, e suoi, naturalmente, sono l'amore e la curiosità infiniti per Londra, la metropoli ed le periferie che nell'era di Zadie Smith sono divenute multietniche e multiculturali. Zadie Smith concorda implicitamente con l'affermazione su citata di Rushdie, e vanta come antenati letterari tutti gli scrittori che le piacciono, "un albero genealogico poliglotta" che costituisce il suo circolo di amici cosmopoliti.
Il titolo del romanzo allude ad un episodio poco piacevole in cui il vecchio signor Hamilton dice ai figli chi viene a casa sua per aiutarlo nella sua vecchiaia per gentilezza e come atto di carità:
quando ero in Congo, l'unico modo che avevo per identificare il negro era il biancore dei suoi denti, non so se mi spiego. Una faccenda orribile. Scuro come la sodomia, era. E morivano per questo, sapete? Poveri bastardi. (...) queste sono le decisioni laceranti che prendi in una guerra. Vedi un flash di bianco e bang! Così... Scuro come la sodomia. Momenti terribili. Tutti quei bei ragazzi lì per terra (...) arruolati dai crucchi, neri come l'asso di spada; poveri scemi non sapevano neppure il motivo per cui si trovavano lì, contro chi combattessero, a chi sparassero.
(Smith: 171-172)
Il raccapricciante racconto di guerra e crudeltà del signor Hamilton collega il presente della Gran Bretagna al suo passato imperiale, ma per il modo in cui è strutturato ci porta piuttosto in un film di guerra e di avventura, kiplinghesco con una punta di Bollyhood. Tutto questo è, però, adagiato sull'ironia e reso divertente dalle combinazioni nel linguaggio e nello stile così come dalla scelta dei personaggi.
Alcune situazioni e personaggi richiamano l'Album Nero di Hanif Kureishi, soprattutto quando vengono ritratti i fondamentalisti musulmani e quando entriamo nella casa di un certo tipo di famiglia bianca intellettuale ed in qualche misura marginale, i Chalfens, che prima 'adottano' Magid e poi Irie. Questi personaggi teneri appartengono tutti ad uno stesso tipo di persone e rivelano lo sguardo sarcastico di un'osservatrice che non si considera una al di fuori, e di fatto non lo è.
Il libro è uno splendido esercizio nel formare un'identità e tradisce una familiarità con le idee esposte da Stuart Hall, i pensieri di Homi Bhabha sulla dislocazione ed ibridità e l'analisi dell'orientalismo di Edward Said. Mostra quanto sia forte la connessione esistente tra studi culturali da una parte e scrittura creativa letteraria dall'altra nella Gran Bretagna contemporanea, dove, in fatti, iniziò il movimento degli studi culturali e dove oggi ha pervaso così tante aree di espressione culturale. Ma prova anche che il potere della rappresentazione può essere molto forte quando catturato dalle mani di una giovane scrittrice intelligente, divertente, irriverente dove l'ibridità è una bellezza da esibire e non un peccato da nascondere, un giocattolo di cui godere e non un fardello da espiare.
(Traduzione di Giulia Romano)

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Anno 1, Numero 5
September 2004

 

 

 

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