Nota biografica | Versione lettura |
Innalza, innalza bellezze
palazzi e poi coi razzi
li butti giù, tu vuoi ruderi,
ti piace la protostoria,
la cicoria intorno al museo,
le città rase al suolo
più turistiche che puoi.
Salva la memoria
questa pietra è papà,
questa è mamma.
La protostoria la devi fare
come piace a me,
un dono che mi fai,
fai a Cleopatra, questione di naso,
nel Peloponneso cercavano
il pelo nel naso.
Ma a Kabul quando
nasce un grattacielo
è polvere, era e sarà,
Kabul pasta e fasul,
paleolitica per colpa della politica,
altrimenti sarebbe fiorita
a tre piani, a quattro
i peperoni sui tetti
che prendono il sole,
a Canosa lo stesso
peperone a forma di rosa.
Io che faccio
notte in verità
non ne sono capace,
fabbricare una notte
riuscì a qualche artigiano del medioevo,
bisogna avere due torri in faccia
una lancia alle spalle
e vino nero, un mare nero
come prospettiva esaltante,
aver visto i morti morire,
io che faccio notte su notte
produco insonnia, sogni
ma chi fabbrica le notti
ha visto il giorno calmarsi,
con la calma dei forti.
Nella mutazione dei sogni,
si sviluppa il reale.
Le orme delicate d'ombre
rivelano l'intera sostanza
da cui nascono acqua,
fiori di temporale
segni in fuga per l'universo.
Hai atteso con pazienza
l'arrivo delle parole,
le rondini portanti al centro
i fili dell'orizzonte, la resa plausibile
agli azzurri innalzanti.
Lo scritto appare terso,
unitario e totemico,
gesti e sogni compenetrati.
La forma è difforme,
la leggibilità più chiara non è nella norma
ma nella misura ondivaga
del richiamo dei segni.
E' solo quello che è:
un'impronta totale.