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1982: fuga da casa

kaha mohamed aden

O Dio Santo, ecco davanti a me il Rettore del collegio. Ogni volta che quest'uomo si materializza sulla mia strada cambio percorso, ma questa volta non è possibile. Sono in un corridoio che mi conduce dritta a lui, che sta arrivando dall'altra parte con la sua solita aria compiaciuta, non chiedetemi per che cosa.
Mi parlerà e mi toccherà rispondergli. Bisogna che mi prepari a immaginare quella terza persona a cui tutti i verbi devono riferirsi. Di solito mi concentro sulla mia vicina di stanza e parlo di lei: "Lei" come sta, cosa fa, ecc. ecc. Ma la faccenda si complica quando si arriva ai congiuntivi. Questa formula - aggiustare i congiuntivi su un'amica immaginaria - il più delle volte strappa il vestito linguistico e non si capisce niente, non funziona. Con lui, tra l'altro, esiste un solo argomento. È capace di iniziare il discorso non con un "Buongiorno signorina", ma bensì con fare militaresco: "Signorina, gli esami di quest'anno li ha sostenuti tutti? Guardi che altrimenti deve cercarsi un altro alloggio, non può rimanere in collegio se non è in regola con gli esami".
Questo collegio è il primo posto che abbia un capo e una coda in cui sono approdata per abitare. Ha un capo, perché iniziare a stare qui era legato a un motivo specifico. Nei collegi si alloggia per studiare, anche se le mie motivazioni personali sono più ampie. Sì, mi interessa tantissimo studiare, ma sono contenta anche di lasciare la Somalia. Lasciare il paese e continuare a studiare: due esigenze che il collegio combina bene, dandomi una sicurezza fatta di mattoni.
Il collegio ha anche una coda. Sin da quando si entra si sa il tempo massimo in cui vi si potrà abitare, e non tutti vorranno, sapranno, avranno la capacità di rimanere per tutti gli anni richiesti dal loro corso di laurea. Comunque è un luogo in cui il rimanere è pre-limitato, va bene soprattutto per chi non ha casa in nessuna parte al mondo. Ma non lo si può "sentire" casa : si chiama collegio. L'ultima notte che sono stata in un posto che mi veniva naturale chiamare casa, ero in Somalia, agitata, perché il mattino dopo avevo l'interrogazione di arabo. Il mio prof di arabo era anche quello di religione, le sue domande non si limitavano alla lingua e a tutte le sue implicazioni, che non è poco, ma toccavano anche la sfera della fede.
Ah! mi dicevo, stanotte posso stare sveglia finché non imparo, ovviamente a memoria, due poesie e almeno una Sura del Corano. Mio padre non c'era e, per un motivo diverso, neanche mia madre. E per fortuna, tra quelli presenti in casa - cioè mio fratello, mia sorella, mio cugino, una zia e uno zio - nessuno aveva l'autorità per rimproverarmi dicendomi: "Perché non hai studiato prima, a quest'ora dovresti essere a letto!"
Con Guernica alle spalle e il Corano davanti, sdraiata bocconi su un divano molto scomodo, ho sentito uno sparo. La prima cosa che ho pensato è stata: sveglio tutti. Poi ho cambiato idea. Qual è la prima cosa che si fa quando si sentono rumori pericolosi, nel cortile intorno alla casa? Risposta: si spengono le luci. Chiunque sia, là fuori tu lo potrai vedere, mentre non si può dire altrettanto per lui. Troppi film gialli... la realtà è leggermente diversa. A quelli che quella notte avevano violato casa mia non importava vedere, sapevano già chi c'era e chi no, chi eravamo, cosa facevamo, e non erano interessati a nascondersi; anzi, il loro esibizionismo acrobatico doveva sbalordire, come minimo, i civili le cui case invadevano, perché quello era il loro pubblico per eccellenza. La debolezza dei civili era un punto di forza per i militari.
I berretti rossi: così si chiamavano quei bravi ragazzi che tenevano il Kalashnikov in modo così familiare che si sarebbe detto fossero tutt'uno con quell'aggeggio.
"Aprite subito la porta!", ha urlato uno di loro mentre un altro batteva contro la porta con il calcio del fucile.
In quel momento mi trovavo esattamente dall'altra parte della porta. Mi sono spostata di lì, mi sono appoggiata contro la parete. Dalla porta le pallottole possono passare, dal muro no: istruzioni fornitami sempre dai gialli di Hollywood. Quel pazzo non smetteva di urlare:"Aprite la porta!". Ho deciso di aprirla prima che la sfondassero, e anche di informarli di quello che facevo passo per passo: "Sono davanti alla porta, adesso la apro, per favore state calmi." Dovevano sapere che ero disponibile a collaborare. Questa ultima mossa non l'avevo ricavata dai gialli di Hollywood, secondo i quali avrei dovuto prendere la mia pistola, che non avevo, e saltare della finestra, oppure prendere la pistola, ripeto che non avevo, e iniziare a sparare contro i miei nemici.
Dal momento che la realtà si faceva dura ho lasciato perdere i protocolli del cinema hollywoodiano che poco si adattavano a una dinamica in cui erano coinvolti i ragazzi con i berretti rossi.

Ho aperto la porta. Il tizio che ho trovato davanti a me si è avvicinato e mi ha urlato: "Fuori!" Nel cortile erano una decina, e sono entrati tutti in casa tranne uno, che senza dirmi niente mi ha spinta con la punta di quel fucile che, assecondando le sue movenze, sembrava un prolungamento del suo braccio, per farmi sedere su una sedia che si trovava nel cortile.
Io e il soldatino siamo rimasti soli nel giardino che circondava la casa. Fissavo quei pantaloni kaki portati con cura, che gli stavano proprio bene: un ottimo prodotto dell'unica industria tessile pubblica che la Somalia abbia mai avuto. Mi venivano in mente i discorsi di mio padre sul bisogno di favorire alcuni settori, come il tessile, che hanno una domanda interna robusta a discapito dell'importazione: una protezione che non sarebbe durata in eterno. Il cordone ombelicale veniva tagliato appena si realizzavano i presupposti per avviare altri settori che sarebbero stati protetti finché non diventavano maggiorenni, e allora bisognava lasciarli soli a concorrere nella vita con i loro simili, come tutti i figli. Non era mai chiaro se mio padre parlasse dell'industria tessile oppure di noi, suoi figli. Anche lui si vestiva con pantaloni e camicie kaki, oppure bianche. Camicie semplici, dritte e a maniche corte. Quello che avevo davanti invece aveva pantaloni tirati e chiusi con una bella cintura di pelle. Non vi dico come questi elementi esaltassero il fondo schiena di un ragazzo che non ne aveva bisogno. Per salire verso la sua testa mi sono arrampicata su quei bottoni dorati segnati dallo stemma dell' esercito: un leopardo nelle sue vesti cattive. Non era per niente male neanche il panorama che offriva il suo pendente "tira baci" berretto rosso, ma quegli anfibi rudi e decisi e quel suo sguardo di chi sa solo prendere ordini erano indice che il nostro angelo seduttore aveva confidenza solo con la morte.

A un certo punto la mia attenzione è stata attirata dall'arrivo del mio cane, tutto sanguinante. Ora capivo dove era finito il primo sparo che avevo sentito: nel suo collo. Mi sono alzata d'istinto per vedere come era messo il cane. Di nuovo quell' essere che mi faceva la guardia mi ha spinta con la punta del fucile per rimettermi al mio posto sulla sedia. Con la bava alla bocca e una gustosissima cattiveria nei verbi, mi ha detto: "Preoccupati piuttosto di tuo padre che è stato buttato in un buco di carcere, al posto di questo schifoso cane". Miracolo! Ha la parola, sa parlare, è umano! Zitta, zitta, questa bella notizia su mio padre non doveva indurmi a manifestare il mio dolore che avrebbe stuzzicato la sua parte umana, negata con forza che, se imposta, rischiava forse di tirare fuori, cosa che l'avrebbe sicuramente innervosito. Passavano davanti a me con casse piene dei libri di mio padre: dalla libreria a un furgone fuori casa, dalla libreria a un furgone fuori casa, così per tutta la sera. Deve essere stato molto interessante come esercizio fisico. Faceva molto caldo, si erano tirati su le maniche delle camicie ed ecco un altro segno, come i vestiti kaki portati con disinvoltura, che li collegava con mio padre. Il vaccino anti-colera. Il ministero della sanità, il primo che mio padre aveva diretto. Sapevo a memoria come si erano svolte le trattative per procurarsi il vaccino, quanto erano fantasiose le strategie per raggiungere l'applicazione del vaccino su tutta la popolazione, quella stanziale e quella transumante.
Era il lavoro di cui mio padre andava più fiero.

Il potere su di noi dei loro mandanti, il dittatore e i suoi amici, era totale; non capivo perché dovessero trovare una scusa per fare il bello e il cattivo tempo. Quale era il fine ultimo di mandare nelle case dei dissidenti quei giovani cazzoni? Ce n'erano di tutti i tipi: da quelli che portavano semplicemente le casse, a quelli che "non mi piace quello che sto facendo ma tengo famiglia", a quelli invasati da un astio di cui ignoravo le origini remote e avevano un atteggiamento accusatorio, che diceva: " ve lo siete cercato ", fino a quello lì....che non faceva nulla, a parte ciondolare dentro e fuori casa tutta la sera. Doveva essere stato lui quello che aveva rubato i 50 scellini della spesa da sotto il cuscino della zia, sicuramente per fare una bella figura con i suoi amici offrendo il tè durante la seduta del Jaad. A un certo punto il ciondolone si era avvicinato a quello che mi faceva la guardia, e gli aveva farfugliato qualcosa nelle orecchie, probabilmente il tè rimediato sotto il cuscino. Poi i due se ne erano andati. E proprio in quel momento mi faceva visita la bertuccia di mia sorella.
"Ma tu non sei stata uccisa dai militari?", le ho chiesto.
Era stata la bertuccia più monella che io avessi mai conosciuto. Aveva amato mia sorella tanto da rubare i panni stesi dei nostri vicini di casa per portarglieli in dono. Mia sorella tutte le volte era costretta a scoprire a quale famiglia appartenessero per riportarli indietro, e quando finalmente era sembrato che fosse riuscita a farle capire che quel tipo di regalo non le interessava, ecco che era arrivata con un nuovo genere: un casco militare. Ma la volta successiva che aveva provato a rubare qualcosa ai militari non era riuscita a farla franca: il loro orgoglio non poteva permettere nemmeno a una bertuccia cittadina di farsi beffe di loro.
"Sì", mi ha risposto.
"Cosa ci fai qui?", le ho chiesto. "Sono qui per portarti un racconto regalo."
"Spero che non sia un regalo che crea guai come quelli che portavi a mia sorella." "Stai a sentire: i regali non devono sempre essere giustificati. Sei bloccata, qua non ti è permesso fare altro, un raccontino non ti farebbe male. E poi è un dono, se non ti piace puoi sempre dimenticarlo."
"Ok, ascolto."
"Un mio antenato che ho incontrato nell'aldilà , mi ha raccontato che tanto tempo fa il re Leone ha invitato tutti gli animali a un banchetto offerto dalle sue amate leonesse. C'erano tutti tranne lo struzzo, sai com'è, all'appello avrà avuto la testa sotto la sabbia, ma comunque al suo posto si era presentato dhebed, un uccello sconosciuto nell'emisfero occidentale, dicendo: l'eredità dello struzzo mi spetta di diritto in quanto suo parente prossimo."
"Ah!" ho fatto io.
"Questo te lo dico perché il mio antenato ha perso il suo posto di organizzatore di raduni di animali quando quell'uccellaccio ha cominciato a parlare di cose come eredità e parentela, che evidentemente non erano il motivo per cui il re aveva voluto incontrare tutti insieme", continuò la bertuccia, e poi riprese: "La volpe con il suo pelo perfetto e luccicante, senza tener conto dei protocolli di corte, si era rivolta direttamente al re: 'Mio Sire, tutti gli animali sono presenti al vostro cospetto. Aspettiamo quello che avete da dirci.' Il leone fece finta di non sentire quella autocandidatura come gestore degli affari della corte da parte della volpe, e tuonò: 'Iena, vieni qua e dividi la carne.'
La Iena fu felice di questo incarico, glielo si vedeva in volto. Purtroppo prese la cosa molto seriamente.
L'antenato della bertuccia, avvicinatosi alla iena, le consigliò di stare attenta e di essere furba per evitare una tragedia.
La iena rispose: 'Sarò quello che sarò, d'altronde dividere è sempre una tragedia.'
La iena contò tutti gli animali, prese la carne, la fece a pezzi uguali tra di loro e corrispondenti al numero degli animali presenti. Poi si girò verso il Re dicendo: 'Ho diviso la carne, mio sire: credo che si possa procedere alla consegna.'
'La vostra porzione, mio sire, è uguale a quanto riceverebbe qualunque stupido animale presente in questa savana, se voi accettate che questo scempio venga chiamato divisione', disse la volpe con voce sibillina e insinuante.
'È così?', il leone chiese alla iena.
'Sì', rispose la iena .
' È posseduta da un demone chiamato giustizia. È quella l'unica sua guida', intervenne ancora la volpe.
Il leone si lanciò con tutta la sua forza contro la iena dandole la più memorabile sberla della savana, con tanto di unghie. La iena, rimasta ferita gravemente, porta ancor oggi i segni di quell'episodio. È per quello che è brutta e tutta malmessa, e viene chiamata iena tigrata... .
Il leone non amava tanto la furba volpe ma disse lo stesso: 'Volpe, dividi tu, vediamo cosa sai fare.' La volpe collocò tutta la carne davanti al leone e al contrario della iena voltò le spalle a tutti gli animali rivolgendosi al suo unico sovrano. Poi divise tutta la carne in due parti, una per il leone e una da dividere ancora. Quest'ultima, la divise ulteriormente in due parti uguali dove una parte toccava a lei medesima, la signora volpe, la parte rimanente era da dividere tra tutti gli altri animali. Poi ordinò all'asino di portare al re la sua parte e intanto mi cercava con gli occhi. Quando mi trovò mi ordinò, muovendo solo le labbra senza far uscire dalla bocca neanche un suono, di occuparmi della divisione del resto della carne fra tutti gli altri animali. 'Il re non può aspettare che a ogni animale venga consegnata la sua porzione', questa frase però la volpe la disse ad alta voce. 'Dove hai imparato a dividere cosi bene?', chiese il leone
' Mi sono servite di lezione le ferite appena inferte alla iena, mio sire', rispose la volpe." Interrompendo la bertuccina dissi: "Certo! Tutto questo potrebbe avere un senso. Se a questi uomini pieni di strumenti di distruzione, con l'occhio fisso e con arnesi che suscitano terrore, si aggiunge anche l'annuncio della prigionia di mio padre e il dolore che ne segue, si può pensare che serva almeno a qualcosa: dare una lezione a chiunque voglia riflettere sulla divisione. Ho capito. Infatti mi chiedevo perché costoro abbiano bisogno delle prove per fare danni: essendo una minoranza necessitano terribilmente della paura della maggioranza oppure del suo consenso. Sono stanca. "Non ti voltare, mi disse la bertuccia, vedo la mia amica, cioè tua sorella Idil, che ha appena vinto una piccola battaglia."
"Cosa vuol dire? "
"Le stavano portando via i libri di scuola e lei è riuscita a non farseli prendere, dicendo in maniera per niente gentile che non ha capito esattamente cosa stavano cercando, ma quei libri erano suoi e rimanevano lì con lei."
" Sono i libri della scuola dell'obbligo " guardandoli uno per uno.
Il capo dei bipedi glieli ha lasciati.
"Dovevi raccontare a lei la storia della iena, stasera", ho detto alla scimmia.
"La sa già. Una volta tuo/suo padre gliela ha raccontata, però in modo un po' diverso". Sentiamo come l'ha rimaneggiata mio padre.
Prima di tutto la iena non diceva: 'Ho diviso la carne' soltanto ma 'Ho diviso la carne nella maniera più semplicistica'. E quando le veniva chiesto cosa intendesse per maniera semplicistica, rispondeva che nel dividere bisognava tenere conto della stazza e della salute di ciascun animale per non parlare della necessità alimentare degli erbivori, dato che loro della carne non se ne facevano proprio un bel niente.
Poi, se non mi ricordo male, il finale era diverso, anzi, non aveva un finale. Dopo la sberla data alla iena, il mio antenato bertuccia prendeva la parola. Da perfetto oratore si rivolgeva al leone e a tutti gli animali della savana, ovviamente tranne lo struzzo(nel rifiuto della realtà da parte dello struzzo le due versioni concordano), e spiegava che in fondo cercare una soluzione che soddisfasse tutti era un bene. Poi diceva: "Mio sire, la Iena voleva che voi veniste sentito, e ricordato come un sovrano intelligente e coraggioso. E badate bene, mio sovrano, ci vuole molto più coraggio a intraprendere la ricerca di quale sia la giusta condivisone del bene e del male con i propri sudditi che tirannicamente badare soltanto al proprio piacere."
Dopo quella frase tutti gli animali insieme si prendevano il potere di imporre al loro re la caratteristica del coraggioso, non dandogli il tempo di riflettere se gli andasse o meno di essere coraggioso. Intonavano una canzone con un ritmo del tipo: il nostro re è coraggioso e la carne a fette uguali ci sta proprio bene. Si buttavano sulla carne, e ognuno prendeva una fetta.
"Già! poi vissero tutti felici e contenti" conclusi io.
No, disse la bertuccia, perché proprio in quel momento tua sorella ha fatto una domanda: "E gli erbivori, papà?". Tuo padre si è tolto gli occhiali, ha cominciato a grattarsi la testa, e ha detto: "E' un problema. Ci sono gli animali piccoli, quelli grossi, i carnivori e gli erbivori, e Dio solo sa quante altre differenze si possono trovare soltanto nella famiglia degli animali".
"Perché, ci sono anche altre famiglie?" ha chiesto ancora tua sorella.
"Altro ché se ci sono altre famiglie nel mondo dei viventi! e purtroppo, guardare le cose soltanto attraverso le lenti dell'uguaglianza assoluta delle porzioni non va bene e per alcuni può essere dannoso. Nel presente caso non solo per gli erbivori bisogna trovare una porzione di erbe equivalente alla quota di carne che spetta loro, ma non credo neanche sia giusto dare la stessa quantità di carne a un gatto e a un leopardo. Sai cosa ti dico: per adesso il racconto lo fermiamo qui, quando sarai più grande lo riprendiamo e ci incammineremo sulla strada della ricerca della giusta porzione".
"Comunque - ha aggiunto la bertuccina - il mio antenato era presente il giorno della sberla e mi ha assicurato che vi era una finale che suonava così: al calar del sole tutti gli animali erano tornati nelle loro tane, tuguri e grotte, ma non tutti avevano fatto ritorno a stomaco pieno."
" Quindi mio padre ha manipolato il racconto", ho detto io, critica.
"Guarda, si sta avvicinando il bipede che ti teneva d'occhio, devo scappare", lei frettolosa... E così la bertuccina scivolava via fra gli alberi mentre diceva: "Cambiare i racconti è una possibilità pesante (a volte piacevolmente) presente nelle tradizioni orali".

Il giorno dopo, nel lontano 1982, ci hanno cacciati dalla casa in cui abitavamo e hanno condannato mio padre a un isolamento totale che è durato sei anni. Ho aspettato e aspettato che la maggioranza delle persone che abitava in quel paese imponesse un cambiamento anche piccolo, che mi piaccesse o in qualche modo mi ripagasse. Questo non è accaduto e francamente non mi importava più il motivo che li aveva indotti a non cambiare le cose. Forse ognuno di loro era isolato e aveva paura, forse reputavano giusto quello che combinava il nostro fantastico dittatorello. Comunque io mi ero innamorata dell'idea di scappare dalla Somalia, dalla casa, di vedere cosa succedeva negli altri meandri della terra.

Una borsa di studio con collegio allegato mi era piovuta addosso a fagiolo. Che bello. Stavo pensando come era bello mio zio Abdiueli, quello che si era incaricato di realizzare il mio desiderio Stavo pensando che era lo zio più bello del mondo, e contemporaneamente pensavo anche che erano i canini il motivo per cui sull'agenda dei problemi venivano posti per prime le questioni che riguardano i carnivori piuttosto che quelli che riguardavano gli erbivori; e mentre viaggiavo su quella trina azzurra, qualcuno mi ha urtato spostandomi all'indietro:
"Stia attenta, signorina, a momenti mi viene addosso."
"Scusami direttore, avevo la testa altrove."
"Non so per quale ragione mi dà del tu! e poi non sono signor direttore bensì il rettore di questo collegio."
" Oh! Mi scusi, non capiterà più."
"A proposito: ha dato gli esami necessari per rinnovare il suo soggiorno in collegio?"
"No."
"Non può rimanere qui, e non ha tempo sufficiente per trovare un alloggio prima che inizino i corsi, come farà?" Proseguiva: "Guardi che noi siamo obbligati a tenere solo quelli che danno gli esami. Deve sapere che i bravi sono sempre premiati, e lei non rientra in questa categoria."
Un sorriso era d'obbligo prima di aggiungere: "Non sempre i bravi sono premiati, inoltre non ho dato tutti gli esami perché non domino come gli altri l'italiano, oppure sono malata di depressione, visto che mio padre e il mio paese sono nelle mani di un tiranno oppure è vero non sono brava ecc.ecc. ma mi dica: come fa a essere certo che l'unico motivo per cui non ho dato tutti gli esami è esattamente perché non sono brava? Caro rettore, deve sapere bene che è un capitolo aperto la questione di che metro utilizzare per far corrispondere a ogni persona un suo giusto premio o punizione; comunque non si preoccupi, signor rettore, una casa prima dell' inizio dei corsi la troverò. Ah, rettore, mi è venuto in mente un motivo senz'altro esotico per il quale potrei non aver dato tutti gli esami: forse non ho i canini giusti.

Adesso ho diverse case indipendenti dalla bravura come variabile. Sono fatte di mattoni rari chiamati "asilo politico". Quella in cui passo più tempo è caratteristica, appena si entra si vede un arco di mattoni loquace di antichità. È bellina, e ci vivo con il mio compagno di sorte. Poi ci sono la casa di mio fratello, quella di mia sorella... anche quella di mio padre, sì, per lui, dopo tante traversie e isolamenti e anni di desaparecidos, la prigione non è più il suo habitat transennato, ma abita in una vera e propria casa; poi ci sono i cugini... insomma, sto bene per quanto riguarda le case... .

Perché vi sto annoiando con questo racconto di case? Ah sì! Perché ho deciso di costruirne una da me e potenzialmente insieme a tutte le persone provviste di un paio di orecchie. Non ho tutti i materiali, ma l'importante è incominciare. Voglio iniziare da un balcone enorme sospeso in aria. Che bello se potesse essere proteso sull' Oceano Indiano e assorbire le favole insieme allo iodio, oppure...basta! Una cosa alla volta, dunque cosa ho per costruire il balcone sospeso? Per adesso soltanto il racconto 1982 fuga da casa. Mancano orecchie che abbiano voglia di ascoltare. Se trovassi queste, la casa costruita con i racconti avrà inizio. Per avere l'Oceano Indiano su cui affacciarsi bisogna fabbricare un racconto suggestivo. In questo momento non ho niente di così alto.

Però non si sa mai, si può sperare, sono posseduta da demoni ambiziosi.
Non è vero?

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Anno 1, Numero 5
September 2004

 

 

 

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