Il titolo e la stessa copertina, quest'ultimo come elemento quindi al
di fuori del testo, stanno a indicare, a suggerire i significati del
romanzo.
Tema dominante è la descrizione del rito che avviene
attraverso l'accensione di un grande falò, residuo religioso pagano,
rivitalizzato in rituale popolare cristiano, perché attraverso il caldo
del fuoco del falò "il bambinello" possa scaldarsi. E' tutta una
comunità che per settimane è coinvolta nella preparazione della legna
che poi servirà all'accensione, nella festa del Natale, del grande falò
le cui fiamme possono essere alte come quelle del campanile.
E' una
festa che unifica la comunità, che ritrova la sua solidarietà e il suo
stesso significato di esistenza.
La festa con il suo falò però fa da
cornice. E' un contenitore nel quale si struttura la narrazione i cui
ingredienti sono altri e che riguardano le vicende di una famiglia.
La
copertina del libro, che mostra un uomo di spalla, piuttosto giovanile,
e un ragazzo, preso per mano dall'adulto, veicola e suggerisce con forza
un altro dei possibili significati del romanzo. Prima di iniziare a
leggere, siamo indotti a pensare che la storia riguarderà la vicenda di
un adulto e di un ragazzo.
Tuttavia questo bel libro di Carmine si
sviluppa attraverso incroci di storie di più personaggi pur appartenenti
alla stessa famiglia. E' la storia della emigrazione di Tullio (il
padre), è la storia del segreto amore di Elisa, figlia di Tullio, è la
storia di Marco, anch'egli figlio di Tullio.
Il nucleo centrale del
romanzo sta nella crescita dalla fanciullezza alla pubertà del ragazzo.
Sotto questo aspetto siamo di fronte a un romanzo di formazione in cui
tutti gli aspetti educativi vengono posti in essere da quello
dell'approccio alla natura e al non conosciuto, dal rapporto
socializzante con i coetanei, all'apprendimento scolastico.
E' una
maturazione che non viene descritta, ma che viene appuntata attraverso
fatti, emozioni che si innestano al succedersi degli eventi.
L'evoluzione della maturazione viene percepita dai comportamenti diversi
che Marco ha man mano di fronte agli avvenimenti della realtà.
L'elemento più significativo è contrassegnato dal rapporto intenso,
dominante del ragazzo con la natura.
Lo schema narrativo è quella del
flash back.
La storia di Tullio, si organizza in riferimento alla sua
necessaria emigrazione e alle avventure e/o disavventure incontrate.
Le vicende, invece di Elisa riguardano un suo rapporto amoroso con un
uomo adulto e lo scioglimento da questo mediante l'aiuto del padre e di
Marco.
Importante in questo quadro è la scelta della voce narrante fatta
dall'autore. E' quella del ragazzo Marco. Questa scelta permette a
Carmine Abate di sostenere la struttura narrativa nell'atmosfera mitica.
Tutto il mondo adulto risulta intriso di atmosfera mitica. Anche i
personaggi negativi acquistano questa caratteristica.
E' una storia che
si snoda in un alone di mistero, di grandiosità, contenuta com'è da quel
contenitore che è la festa del falò e che esalta questa caratteristica.
E tuttavia non è solo la storia raccontata da un ragazzo, della sua
maturazione, della sua crescita, perché spesso chi racconta è l'adulto,
il padre di Marco, anch'egli attraverso il flash back. Il narratore
ragazzo riporta la narrazione del padre. La comunicazione, le parole,
però, vengono percepite dall'orecchio di un ragazzo, cioè la narrazione
dell'adulto è filtrata dal fatto che chi ascolta è essenzialmente un
piccolo.
La storia, la modalità con cui si snoda, la scelta linguistica
si inseriscono in questo schema.
Si avverte una doppia caratteristica:
la percezione del minorenne che è quella della trasposizione
mitico-fantastica, e dall'altra l'attenzione da parte dell'adulto a una
comunicazione che sia essenzialmente educativo-formativa.
Il senso del mistero è un aspetto che spesso accompagna i personaggi,
il padre è personaggio mitico, la nonna è una specie di "deus ex
machina", come lo è misterioso anche l'amante di Elisa. Non si dice chi
è, che cosa fa e si continua a lasciarlo in un'atmosfera vaga che man
mano sarà svelata.
Si rivelerà un essere negativo, che manifesta, però,
sempre qualcosa di grandioso anche per come si propone nella formazione
di Marco. Tutto cioè viene giocato in un'aria che sa sempre d'altri
tempi, lontani da ogni elemento di modernità, e contenuti in dimensioni
che mantengono la struttura di valori che la modernità ha cancellato.
Un altro elemento significativo di questo romanzo, costante dei
romanzi di Abate, è che tutte le azioni dei personaggi adulti sono
finalizzate al riordino valoriale, morale, a causa di una infrazione che
vi è stata. In questo romanzo l'infrazione è data dalla necessità
dell'espatrio.
La fuoruscita dalla propria comunità, dal proprio
territorio d'origine è vissuta come una qualcosa che non bisognava fare,
una reale trasgressione a leggi non scritte, ma scolpite nei valori
della comunità.
L'allontanamento è delle funzioni principali indicate
da Propp nel suo libro La fiaba di magia; non sempre è considerata come
infrazione in sé, spesso è a seguito di un'infrazione che è necessario
allontanarsi; in questo caso infrazione e allontanamento sono
assimilati. L'allontanamento visto come infrazione ripropone l'eterno e
storico conflitto fra nomadismo e stanzialità, topos letterario
dominante anche nella Bibbia.
E' pur vero che sono in tanti a
commettere la stessa disobbedienza, e quindi dovrebbe essere considerata
come qualcosa di accettato, ma la storia di Tullio diventa esemplare per
l'intera comunità.
A causa dell'infrazione, la famiglia rischia di
distruggersi, affronta diversi pericoli, prove e perciò si pone la
necessità della ricomposizione, che è determinata dal ritorno. Un
ritorno necessario, anche se in un primo momento temporaneo e poi
definitivo.
Nel testo di Abate non viene esaltato l'ideale
dell'ostrica, di verghiana memoria, perché gli elementi di
modificazione, di progresso, di modernità, se non sono visti in maniera
totalmente positiva, non sono però neppure rifiutati. Ciò che viene
affermato è il torto, l'ingiustizia che si subisce perché si è costretti
ad andar via ponendo in pericolo specialmente la relazione familiare, la
funzione paterna e la possibilità di maturazione, di crescita sana,
corretta degli stessi figli.
Tutto il romanzo in fondo sembra un
decalogo di istruzioni sul come costruire l'educazione dei figli pur
nella necessità della emigrazione, su come ricomporre i pezzi frantumati
a causa dell'espatrio forzato per cause economiche.
Nella copertina si legge che Vincenzo Consolo ha considerato
originale il linguaggio usato nel romanzo.
Nella storia della
letteratura italiana il problema della lingua letteraria ha avuto
diverse vicende. Una tradizione, risalente al 1500, ha fatto sì che i
letterati da quell'epoca abbiano incominciato ad utilizzare solo codici
linguistici elevati, incapaci poi di dare voce ed espressione alla vita
della gente comune. Non è un caso che si svilupperà una letteratura
tutta dialettale, antagonista e parallela a quella elevata, che
diventerà voce della gente emarginata, della gente che soffriva. Goldoni
si servirà del doppio registro, cioè di un linguaggio mediamente elevato
quando le tematiche riguardavano la media o ricca borghesia veneta, di
un dialetto, anche molto stretto, quando le tematiche erano attinenti al
popolo, alla classe dei pescatori.
Verga nel momento in cui vorrà dare
struttura di realismo ai suoi romanzi farà una operazione che gli
permetterà comunque di presentare il modo di pensare della povera gente
pur non usufruendo, se non per i proverbi, del dialetto. La terminologia
che utilizza Verga è italiana all'interno di una sintassi prettamente
dialettale.
Le opere di Verga, di Pasolini poi, di Calvino hanno
permesso l'avvicinamento, la commistione dei due codici linguistici, il
letterario e il dialettale ( dico per semplicità dialetto anche se
qualche volta si tratta di una lingua vera e propria), e hanno fatto
affermare che ormai in Italia l'unità linguistica si era compiuta, cioè
era possibile una espressione adeguata anche per i problemi delle classi
inferiori facendo ricorso alla lingua italiana maturata alla fine degli
anni '60 del secolo scorso. (Marcovaldo è un esempio significativo di
questo processo).
Tuttavia, proprio romanzi come quelli di Carmine
Abate o Silvia Ballestra, con il ciclo degli Antò, e il successo che
conseguono, rimettono in discussione queste conclusioni teoriche, o
almeno denotano una forte esigenza di mantenere vivi modi di dire,
lingue appartenenti a piccole comunità perché ancora una volta sono più
aderenti alla realtà e non si riesce a esprimere valori, sensi di quelle
realtà se non facendo ricorso ad esse.
Se però Silvia Ballestra usa
forme dialettali come gergo giovanile, quindi come una lingua
antagonista alla lingua degli adulti, Carmine Abate si serve dello
strumento di frasi dialettali o di altra lingua (l'arbëresh) usandole da
una parte come rafforzamento di identità o di appartenenza ad una
comunità, perché il patrimonio del passato, delle tradizioni, dei valori
ad essa appartenenti non si diluisca in una modernità fino a scomparire,
dall'altra come mezzo educativo ai fini del perpetuazione di quel
patrimonio.