"Ho voluto dare ad un atleta i problemi, le riflessioni, la dignità
di un intellettuale. È come se, che so, avessi scritto un romanzo ambientato
in Italia, in cui fra i protagonisti costretti in prigione in quanto oppositore
politico ci fosse uno come Maldini". Ridendo, Abdourahman Waberi, il più
importante scrittore di Gibuti e fra i maggiori esponenti della giovane letteratura
africana, sintetizzava così "Balbala" un suo romanzo
pubblicato in Francia sette anni fa e finalmente tradotto in Italia per Edizioni
Lavoro. La trama è semplice: ad intrecciarsi, in colloqui che non avvengono,
in riflessioni rinchiuse nello spazio di una cella, sono quattro voci, persone
che hanno provato ad opporsi alla dittatura e che hanno perso la loro battaglia.
Wais è un eroe nazionale, ha vinto le olimpiadi come maratoneta, ma ha
cominciato a pensare oltre che a correre e la sua fama non gli ha risparmiato
la condanna. A condividere il suo destino ci sono Anab, sua sorella, Dilleyta,
un poeta, e Younis, medico. Le voci si incontrano e si confondono in un raffinato
alternarsi di ritmi e stili narrativi, a tratti prevale il ruvido linguaggio
giornalistico, un attimo dopo minuziose descrizioni di stati d'animo, il dramma
cupo si dissolve anche in momenti di ironia.
Balbala è sullo sfondo, polverosa periferia della capitale di questo
stato minuscolo incuneato fra Etiopia, Somalia e Mar Rosso che solo dal 1977
ha acquistato ufficialmente l'indipendenza, ma che continua ad essere, dal punto
di vista della geopolitica, strategicamente importantissimo per gli equilibri
internazionali. Ma è la stessa vicenda dell'autore a rendere ancora più
significativo il valore di questo testo. Waberi, si era affermato in patria
come poeta, mandato a studiare in Francia era divenuto ben presto conosciuto
anche nell'intellettualità francofona in formazione. Ma quando, smessi
i panni del poeta che ama Baudelaire e Rimbaud, ha cominciato a scrivere testi
che ponevano critiche al potere costituito, si è ritrovato costretto
all'esilio. Da 16 anni Waberi vive in Francia e non può rientrare in
patria, anche se alcuni suoi libri continuano per paradosso ad essere diffusi
e utilizzati nelle scuole di Gibuti. Balbala è il secondo dei
sette romanzi che Waberi ha scritto ad essere tradotto in Italia, l'altro "Mietitori
di teste", sempre per Edizioni Lavoro, racconta le atrocità
di quanto accaduto in Ruanda oramai dieci anni fa, un genocidio dimenticato.
La traduzione dal francese è di Marie-José Hoyet, come è
sua l'introduzione. Un suo passaggio è illuminante per illustrare la
complessità e la modernità dello scrivere dell'autore:
"Wais, il maratoneta, simboleggia l'uomo in cammino a cui è stato
reciso ogni slancio e rappresenta oltre alla considerazione delle popolazioni
nomadi costrette alla sedenterizzazione, anche lo stato di letargo di un paese
perennemente assediato dalla paura".
Chi sembra non accettare questo letargo, nonostante la sconfitta subita, nonostante
la disillusione dai sogni è l'unico personaggio femminile, quella sorella
Anab, per cui un futuro è ancora possibile.
Giustamente una donna.