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poesie

niyi osundare

La poesia di Niyi Osundare

Cura e traduzione di Pietro Deandrea
Università di Torino, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere

Niyi Osundare (1947) è riconosciuto come una delle voci più importanti ed originali della poesia anglofona contemporanea. Cresciuto con un nonno guaritore e un padre agricoltore-compositore, ha potuto sviluppare sin dall'infanzia un rapporto diretto con la poesia tipico delle culture orali, che si rivelerà la principale fonte d'ispirazione per i suoi versi in inglese.
Osundare è uno degli esponenti più noti della 'Alter-Native Tradition', termine usato per indicare la seconda generazione di poeti nigeriani tra cui Odia Ofeimun, Funso Aiyejina e Tanure Ojaide. Pur riconoscendo il loro debito verso pionieri come Wole Soyinka e Christopher Okigbo, a partire dagli anni '80 gli Alter-Natives ne rifiutano l'oscurità estetizzante di stampo modernista per proporre opere più dirette ed accessibili, caratterizzate da un impegno socio-politico d'impronta marxista. Tali caratteristiche contraddistinguono le prime tre raccolte di Osundare: Songs of the Marketplace (Canti del mercato, 1983), Village Voices (Voci del villaggio, 1984) e A Nib in the Pond (Un pennino nel lago, 1986).

Una svolta decisiva è rappresentata dalla raccolta The Eye of the Earth (L'occhio della terra, 1986), dove la rilevanza dei temi è sorretta da una sorprendente ricchezza linguistica e maturità lirica, da un gusto irrispettoso nel giocare con le possibilità espressive offerte dall'inglese; si veda ad esempio il neologismo 'hueman', omofono di 'human' ma letteralmente 'l'uomo del colore', o il termine 'preyers'. Osundare opera una fusione di politica e poetica che diventerà caratteristica di molti dei suoi lavori seguenti, e il cui linguaggio figurativo attinge soprattutto a una natura antropomorfizzata, come nell'invocazione al camaleonte qui tradotta.

Da L'occhio della terra (1986)
Da "Echi della foresta":

[...]
Conta i tuoi colori, oh camaleonte,
aborigeno del vento e del bosco
conta i tuoi colori
nell'arcobaleno della felce
nella corteccia spessa e cinerea
dell'alberello.
Conta i tuoi colori,
oh principe dal semplice corredo
vivace damerino che passeggia
così naturalmente nudo, poiché possiede
una foresta dai mille costumi.

Vesti la terra
con l'accurata cautela
dei tuoi occhi globali.
Vesti la terra,
non con l'inerzia millenaria
delle zampe di millepiedi,
non con l'incendio inferocito
della coda di scorpione
e neanche con l'avarizia calcolatrice
della lumaca che si trascina la casa
ad ogni viaggio.

Vesti questa mantide religiosa
nel suo tabernacolo eterno,
le verdi mani serrate
davanti a un dio assente
Vesti la foresta indifferente
che invece s'inchina dinanzi
all'austero muezzin
di un vento forte e insistente.
Vesti questa prole in preghiera,
questa scuola di rametti ballerini
[...]
Osserva, inoltre, questi predatori che pregano
nel calvario cannibale
della foresta:
l'iroko* che divora il cespuglio,
la iena che dilania il coniglio,
l'elefante che calpesta l'erba
con le gambe snervate dalla cancrena
del potere insensato
Racconta a tutti loro della pace oltre l'artiglio
Raccontagli del sole
che succede alla notte.
[...]

* iroko (chlorophora excelsa) = grande albero tropicale dal legno duro e pregiato, detto anche 'quercia africana'.




L'opera seguente, Moonsongs (Canti della luna, 1988) è ispirata da un agguato criminale e quasi fatale contro Osundare, poi costretto a una lunga degenza in ospedale. I temi sociali sono meno espliciti, con un immaginario più criptico che ha provocato alcune accuse di disimpegno; l'atmosfera di queste invocazioni lunari è comunque pervasa di sofferenza.

Da Canti della luna (1988):
"vi"

Notte dopo notte
il vento spande l'orizzonte

E la luna, troppo piena per dormire
afferra sogni effimeri tra tunnel
di nuvole sonnolente,
oscillando così solenne al richiamo

del tamburo

del tamburo

così forte adesso, con la membrana del sole

E con ritmo di rocce
ricordo di prati
geroglifico di poggi
col suo din-don d'albe e tramonti
la luna ride a tempo
e una lacrima millenaria le arde
nell'occhio ampio

La lacrima sgorga in ruscello
matura in fiume
poi galoppa come liquida puledra
verso il mare

Tutto all'alba
quando la luna è un ombelico attempato
nella pancia del cielo.




Di tutt'altra natura è la raccolta Songs of the Season (Canti di stagione, 1990), che raccoglie le poesie pubblicate per il quotidiano Nigerian Tribune; come nella fiaba sul Fondo Monetario Internazionale tradotta sotto, si tratta di versi dal linguaggio più semplice, destinati al grande pubblico e riferiti ai grandi eventi della cronaca o politica locale.

Da Canti di stagione (1990):
"Il maltolto in prestito"

C'era una volta,
Quando gli uomini avevano sette bocche
E dodici dita spuntavano da ogni mano,
Un paese ricchissimo in tutto:
Oro e argento facevano a pugni nella pancia della terra
I fiumi guizzavano di pesci
E le pianure si stendevano fertili come vergini ondulate.

Poi venne una stirpe di baroni, tronfi come
Larve sulla carcassa rattoppata dell'eccesso;
Arraffarono l'oro, accaparrarono il rame,
Pescarono tutti i pesci e obbligarono fiumi leggiadri
A cambiare il proprio corso.

Trovarono una terra di grazia e ricchezze
Ma lasciarono un deserto di teschi e stridore.

La gente gridava e rispondeva il cannone,
I profeti protestavano e la fanfara reale
Annegava le loro visioni con rumori di metallo
Le folle morivano di fame e i baroni si riempivano
Il nido di uova d'oro.

E poi una miniera esaurita vomitò
Un futuro d'indebitamento cronico...
Oh, tempi sventurati!
Alla fine l'uccello covò una meraviglia
Troppo grande per il suo nido pericolante.

Il capovillaggio iniziò un ritiro
Di meditazione impetuosa,
Convocò i condottieri e affrontò gli anziani carichi di perline:
"Come potremo mai schiacciare questa mosca appollaiata
Così pericolosamente sui testicoli della nostra terra?"

L'assemblea diede origine
A un fermento di saggezza:
Il capovillaggio guidò la folla cenciosa
Dai baroni del saccheggio;
Umile davanti allo splendore della loro presenza,
Rantolò con voce così precaria, così spezzata:

"Siamo venuti a prendere in prestito un po' della ricchezza
Che trabocca dalle vostre banche,
Fateci questo favore e vi ripagheremo
Con tutti gli interessi stabiliti."

Dalla cima di un albero scaltro
La civetta canta una melodia:
"Il mondo è alla rovescia come il pipistrello della notte;
Come può un popolo prendere in prestito adesso
Ciò che una volta possedeva?"




L'interesse per le tecniche dell'oralità, che contraddistingue Osundare sia come poeta che come critico e docente universitario, è preponderante nel lungo poema Waiting Laughters (Risate in attesa, 1990), concepito per una performance dal vivo come coro a più voci con accompagnamento orchestrale; gli AlterNatives, d'altronde, hanno sempre promosso attività di recital dal vivo per stimolare le reazioni del pubblico.

Da Risate in attesa (1990):

In attesa

sugli scalini della luna

cigolando su e giù

per vielattee di comete esigenti

dissanguate dalla velocità, strappate al vortice

di fiammate cadenti

il mio piede conosce la tempra di cieli infuocati

dove canti che ancora stillano

linfa del vento

si asciugano le membra in fornaci

di proverbi roventi


Il mio canto è spazio

oltre le lacrime, oltre le mura

oltre gretti geroglifici

che anelano al crinale

di onde stampate.




Nel poema seguente Midlife (Mezzavita, 1993) Osundare ritorna alla natura dei suoi luoghi d'origine per costruire un'opera di respiro dichiaratamente whitmaniano; l'anelito di libertà è unito a un senso di comunione panteistica con l'universo, come nel brano qui selezionato, dedicato agli scrittori africani imprigionati e soprattutto a Ken Saro-Wiwa.

Da Mezzavita (1993)
Parte V, "Diario del sole", poesia "i"

Io desidero spazi aperti
Dopo così tante stagioni nel ventre di un mito,
Incolto da oscure leggende, perduto nell'
Intricata sintassi di proverbi impronunciabili

Desidero spazi aperti
Dopo i deliri inesprimibili della lingua
Nella grotta della bocca, e labbra
Dolenti per lo sfregio di serrature senza chiavi

Desidero spazi aperti
Lontano da editti folti come giungle medievali
E da strade dove i giorni inciampano
In notti di ordini adamantini

Desidero spazi aperti
Come una radura nella foresta
Come una passeggiata sulla spiaggia
Come l'azzurro librarsi dell'uccello nel cielo ampio
Come montagne, come fiumi,
Come echi di colline loquaci

Desidero spazi aperti
Via dalle mura che stritolano la stanza con artigli di cemento
E da porte che rinsaldano i cardini
Come sentinelle d'altri tempi

Desidero spazi aperti
Lontano da sorrisi che pungono come scorpioni traditi
Dalla trappola nascosta nella traccia dai cacciatori del potere
Dalla collera rossosangue nel festival del coltello

Desidero spazi aperti
Un sole che sorga da un mare d'ombre
Un occhio che sciolga il cielo
In visioni senza fine

Io desidero spazi aperti

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Anno 1, Numero 4
June 2004

 

 

 

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