Versione Originale | Nota biografica | Versione lettura |
(per Svati Mariam nell'anno 2000)
1.
Dolce bocciolo di carne e capelli
quattordici anni fa
fosti così rapida a lacerarmi:
paonazza strillavi attaccata
al mio seno sinistro.
Più tardi, affamata ancora, ti sistemavo
tra gomito e polso.
Sognavo di te e di me, costola a costola
nel cesellato scrigno d'avorio
che la tua bisnonna
si è portata con sé a nord oltre le colline rosse
parte della sua dote nuziale.
2.
Nello studio sulla 61esima
guardo la netta torsione
di inguine e coscia
la fatica di una ballerina
le dita dei piedi legate al pavimento lucido
ginocchia che frullano in una piroetta precisa.
Poi ti incurvi in camera tua
e scribacchi caldi alfabeti
sui margini di "I Loro occhi
Guardavano Dio".
Appena fatti i compiti,
sei un fulmine
mandi messaggi agli amici
chiacchieri dell'ultimo rap o
boyband, o bandana.
3.
Sei tranquilla ora.
Ecco, prendi questo dono
strappa la seta rovinata
sfonda la velina nebulosa.
È tutto ciò che ho quest'umida
trapunta di stanze
e balconi
laceri continenti, manomessi,
assetati di sangue.
4.
Amore mio, mia piccola fenice
tua madre, il vecchio
nido, è disfatta:
vola sul Bronx river,
dà fuoco alla vecchia paglia.
Illumina i viali interrotti del desiderio.
E sii una ragazza come tante
nella soffice nebbia
e nel sole fiorito
al margine dei cancelli di pietra
apri un verde ombrellino
sotto un albero verde.
Sembra impossibile mettersi
a parlare di quelli che se ne sono andati
intatti, forgiati dal fuoco del respiro.
Attraverso la senape in fiore
s'affrettano oltre la strada principale
verso nord, verso il parco dei cervi.
Con la terribile cortesia dei morti,
sussurrano mentre passano.
Iscriviti se puoi
sul mattone, sull'osso o sull'ardesia
poi rinuncia a tutto con grazia.
Gioisci di questi alberi
protesi verso il vento.
Una soglia
tagliata nella roccia
con sette regni visibili
non è ancora luogo per fermarsi.
Le nubi consumano i palazzi
degli dèi
i carri di pietra s'agitano nel terreno
tutta Sarnath è coperta di sporcizia.
Non c'è nessun dolore come questo,
l'origine del paesaggio è la pietà.
La schiena contro il fornello di cucina
Draupadi canta:
nella mia mente Beirut brucia ancora.
La regina di Nubia, del Regno Superiore di Dio
la Rani di Jhansi, trasfigurata, che solleva la spada
hanno anch'esse una parte nel gioco. Con me sono entrate
nel Nordamerica e condividiamo queste quattro mura.
Inventiamo l'arte dei paria:
Due bambine negre dipinte con lo spray bianco
i loro occhi bruciano,
una bambina bianca stuprata in una macchina
solo perché bianca,
una bambina indiana presa a sassate alla fermata dell'autobus,
l'avevano scambiata per bianca alla luce del tramonto.
Qualcuno bussa con insistenza,
ma Draupadi non lo farà entrare.
Sta accovacciata vicino ai fornelli e canta.
La Rani non riporrà la spada nel fodero
né la regina di Nubia terrà a freno gli elefanti
finché lingue di fuoco avvolgono il tenero azzurro,
una seconda pelle, sollievo per i nostri figli.
Camminiamo insieme verso una breccia nel muro
- Beirut brucia ancora - intagliata nella sua faccia.
A tutti noi, i fuori casta: facciamo apparire il miele graffiando le pietre,
un treno della Metro affollato di pelle arcobaleno,
i fiumi meticci di Manhattan si sollevano.