El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione
Nota biografica | Versione lettura |
radmila
vesna stanic
“Volim te blago moje jedino…” canticchiava Radmila sottovoce, le labbra si muovevano appena, la testa s'inclinava a destra, poi a sinistra, secondo il ritmo che sentiva dentro. Sulla fronte le cadeva qualche ciocca di capelli crespi, tinti di rosso.
Come una signora, si era adagiata comodamente sulla poltrona più bella, di fronte al terrazzo dal quale poteva ammirare tutte le colline verdi che si rincorrevano fino alla città. In una mano teneva un bicchiere di whisky, nell’altra la sigaretta. Se qualcuno fosse entrato all'improvviso l’avrebbe sicuramente creduta la padrona e non la domestica di questa casa. Una casa grande, a due piani, piena di spazi, le stanze da letto, due cucine, tre bagni, la terrazza, il giardino davanti e poi anche quello sul retro , e due cani bianco-neri. In questo momento il padrone, che viveva da solo, era lontano e lei gustava tutta la libertà e la sensazione di padronanza che la conoscenza della casa, dei mobili e del proprietario stesso le permettevano.
Era arrivata con uno dei primi convogli diretti in Italia, mentre la guerra in Bosnia infuriava. Alcuni di loro li avevano depositati a Trieste, altri nelle città che si erano dichiarate disponibili a riceverli. Radmila conosceva alcune persone a Roma. Le avevano offerto un posto “fisso” presso una signora diabetica. Lì aveva conosciuto il figlio Giovanni, giovane, interessante, con il quale rapportarsi era diventato sempre più burrascoso, intenso e amichevole.
Dopo la morte della signora Rosina, la donna aveva trovato altri lavori, ma mai dimenticato il figlio. In passato, Giovanni e Radmila, in un’amicizia fatta di confidenza, erano arrivati alle porte dell’intimità. Lei aveva avuto l’impressione che qualcosa sarebbe potuto accadere tra di loro, ma poi, il giovane militare aveva deciso di sposarsi. E non era rimasto nulla di concreto, a parte il desiderio, conservato per anni in uno scrigno segreto del suo cuore.
Lavorava da qualche tempo presso un altro signore e la madre invalida, quando le era giunta la telefonata di Giovanni: si era trasferito in città e avrebbe avuto bisogno di una domestica. Aveva divorziato, dunque era libero. Radmila aveva pensato che un uomo sopra i sessanta, con una buona posizione economica, potesse desiderare una vita tranquilla con una donna disponibile, brava casalinga, pronta ad assisterlo in vecchiaia. Lei, di contro, sperava di poter smettere di lavorare per altri, e di fare la signora, dopo una vita spesa a pulire la merda altrui. A lui avrebbe offerto la vitalità e la forza che ancora la distinguevano, nonostante si fosse avvicinata alla cinquantina e i primi dolori già si facessero sentire.
Le venne in mente la sua Bosnia, le colline e il fiume verde di Neretva. Ci tornava ogni anno a trovare i genitori, a finire la nuova casa, per rifocillare il cuore assettato di quella terra, di quei suoni e canti, anche se sapeva che un rientro a breve non sarebbe stato possibile. Forse non avrebbe potuto realizzarlo mai. Era imprigionata in una nuova lingua, da affetti creati altrove. Per questo, per ricordare, cantava spesso quella canzone popolare: “Volim te blago moje jedino…”. Non aveva memorizzato tutta la canzone. L’inizio, d’altronde, era indicativo: “Ti amo mio unico tesoro” e nella sua lingua quel “tesoro” s'ingrandiva come un'immensa montagna dai riflessi d’oro. L’amore che aveva lasciato a Mostar era un ragazzo serbo, fuggito dalla guerra, poco prima del loro matrimonio. Si era volatilizzato, non lasciando nessuna traccia. Radmila non aveva mai saputo se fosse riuscito a fuggire, se lo avessero buttato nel fiume verde oppure fosse morto in una delle battaglie dove tre eserciti avevano cercato di annientare la stessa città. Dopo anni quest’amore si era trasformato in una canzone che sua madre canticchiava a lei e a suo fratello. In seguito non aveva avuto più tempo per l'amore. Le sue giornate iniziavano all’alba e finivano di sera tardi. Giovanni era l’unico che non si rivolgeva a lei come a una domestica. Pignolo e attento, apprezzava molto la sua chiara efficienza e si poteva dire che la trattasse con affetto e rispetto. Radmila aveva avuto il tempo per completare le superiori, ma non ricordava molto e lui non badava mai alle sue lacune. Si mostrava soddisfatto se poteva insegnarle qualcosa, e lei gradiva certi insegnamenti o, perlomeno, glielo faceva credere. Lo vedeva molto gratificato e non le costava nulla.
Un certo sentimento, già provato quando lo aveva conosciuto, le si risvegliò dentro. Quest'uomo aveva bisogno di lei, così brava ed efficiente, e lei aveva bisogno di lui per riscattare la sua vita.
Soddisfatta di questa constatazione avvicinò alle labbra il grosso bicchiere per sorseggiare quel whisky con particolare soddisfazione.
Il sole stava allungando le sue ombre sul giardino quando sentì il rumore dell’automobile.
Corse a riportare il bicchiere in cucina ma non spense la sigaretta. D’altronde, in un certo qual modo, era la padrona di casa. Conosceva ogni angolo, ogni segreto dei cassetti, era lei che metteva settimanalmente tutto in ordine.
Giovanni scese dalla macchina con le borse in mano e dall’altro sportello aperto si affacciò una donna bionda, alta, sorridente.
Radmila corse verso di lui rimproverandolo di non averla avvertita di questo ritorno anticipato. Era venuta oggi per dare da mangiare ai cani, se avesse saputo del suo ritorno non sarebbe passata. Si sentiva offesa. Giovanni rimase imbarazzato e dispiaciuto. Le corse dietro per accompagnarla a casa, le offrì il pranzo, un altro whisky. Radmila rifiutò ogni riconciliazione e si fermò in mezzo al prato, imbronciata. La presentazione tra le due donne avvenne in modo molto ufficiale. Anzi, la bosniaca esitò un po’ prima di porgere la mano. Poi, se ne andò.
La donna bionda entrò in casa per preparare il pranzo. In silenzio iniziò a sbucciare le patate.
Giovanni disse preoccupato: ”Mi dispiace di non averla avvertita dell’ora , anche se sapeva che oggi sarei tornato. Sai, è così difficile trovare una domestica efficiente”.
Pare che Radmila sia partita per Sarajevo. Un giorno, se ritornasse, vorrei conoscere il seguito della sua canzone.
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