El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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sic venerum feritas saepe fit aura levis

arnold de vos

1
Ti schiaccia il sole in faccia, una porta
scricchiola e fili giù per le antiche scale
della paura, nel nulla di una giornata

che si presenta vuota lacuna di luce
piovuta sul fiume murato quatto, imbalsamato
da un inverno che si annuncia freddissimo.

Uomini e no passano lungo la riva, mi sento chiamare:
- Bellissima-a!, è la voce di Anna
risorta qual antica dea della fiumara

a cantare stornelli di cacca e merda
e mi si sboccia un fiore, come in una metamorfosi.
È la tersa domenica a cambiare

luci, ombre, la direzione del vento: tira
il vento dell'est, antiche delizie
viaggiano lungo il cielo. Si cercano

coloro che ancora non sono accoppiati:
i loro corpi abbagliano
nella nuova luce rosea, radente

di casta randagia complicità.

2
Poteva essere chiunque, invece fu
un ragazzo dolciastro fuoruscito come me

da un'Italia inesistente, mai esistita
fuorché in qualche bigotta pretensione (ultimamente
in Africa). Sulle labbra gli stava un leggero strato

salmastro e baciava un suo gattino fervidamente,
che gli si era seduto sull'una spalla
noncurante degli imperi del mondo: e invece era

venuto dall'Africa, da una regione accoratamente
dolce a veder lui chiedermi quelle cento lire che ho.
Avrei voluto tuffarmi nelle tue cascate

di capelli corvini crespi, navigare nei tuoi occhi
nitidi simili a qualche lago che attraverso da sempre
nelle caligini di prima mattina, ragazzo

nudo come te e non vergognarmi
dei vestiti: che ti stavano stretti, sgualciti
nel lungo viaggio per venire a trovarci

in una confusione crudele, brutalmente
depressi da una mentalità coloniale
mai sconfessata anche se, alle strette

siamo tanto amici dei tuoi.
Se non t'ho baciato, anche se il corpo
tuttora mi freme, è che abbiamo anche noi

i nostri onori di casa se non di famiglia
e non voglio corromperti che già mi sento
corrotto, mutilato dei sentimenti più veri,

antecoloniali direi – di un'epoca nella quale
avremmo ancora potuto fare all'amore
senza prostituirci né io né te. Avrei potuto

abbordarti liberamente, come mi fai tu
con un che di altero nelle movenze:
sicuro della grazia avuta in unico dono,

sicuro di me. Gracili sono le speranze del corpo
d'uscire incolume dal pozzo nero in cui
giriamo, gracile mi muovo intorno a te

con una strizzatina d'occhio al gatto
che si è addormentato frattanto: sicura prova
che la natura non è ribelle al dolce

vagare della pelle, che mi allontana da te.

3
Bello sì, m'aggiro di notte
nel logorio dei tuoi viali, Roma

quando l'umidità è più acre e la salsedine
raggiunta l'anima, ha riverberi
nel luccichio degli occhi, di pelli

mobili sotto le luci e nel fruscio
dell'ombra fitta dei platani. Qui rivivo,
qui m'avvalgo di forze segrete

nascoste anche a me, che così subito mi rigiro
quando mi chiami, romana notte
e mi accosto a te. È il momento

magico della sera: guadagno
il tuo profumo e il mio acre odore,
segnato da qualche parola bassa che dici

mentre guardo dritto davanti a me.

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Anno 0, Numero 2
December 2003

 

 

 

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