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fogli sbarrati - yousef wakkas

redazione el ghibli

Dopo aver letto i ventun racconti di Yousef Wakkas ci sono venute spontanee e insistenti alcune domande: chi sa se Wakkas ha sempre amato scrivere? Chi sa se nei suoi pensieri di ragazzo, di studente, la scrittura (e la lettura) avevano un posto speciale? Chi sa se nei suoi sogni c'era anche quello di mettere sulla carta il proprio mondo interiore? E, all'estremo, chi sa se senza la drammatica e dolorosa esperienza del carcere avrebbe trovato il modo e il tempo di ripiegarsi su se stesso, di osservare gli esseri umani, le loro manie, le loro grandezze e le loro bassezze, così come ha potuto (e saputo) fare incollando l'occhio a una lente, quella della vita privata della libertà, che sicuramente ingigantisce ed esaspera tutti i tratti del nostro essere "umani"? Si perchè questi racconti (che, come recita il sottotitolo e come spiega bene l'autore nella "Lettera ai lettori") sono stati scritti in carcere e di carcere parlano. O meglio, prendono spunto da fatti quotidiani della vita in prigione ma poi mettono le ali e molto spesso spiccano il volo, portando il lettore da un piano terra terra - fatto di descrizioni di pasti sempre uguali, di regole coatte, di codici e stili senza i quali sarebbe impossibile soppravvivere dietro le sbarre - a un piano onirico, fantastico, surreale. A volte questa irrealtà è palese e il lettore (che del carcere sa poco e niente) viene colto dal dubbio e si domanda: "ma sarà davvero andata così". E la forza di wakkas sta proprio in questa capacità di travalicare i confini spazio temporali che necessariamente, delimitano il suo campo d'azione. Lui e i protagonisti delle sue storie sembrano conoscere il segreto della lievitazione per cui l'autore, dopo averci coinvolti e commossi per le botte prese dal boss di turno o dalle guardie, riesce a farci sorridere(e anche ridere, per la verità), raccontandoci delle preoccupazioni estetiche dei carcerati che, visti sotto questa luce assolutamente inusuale, ci appaiono davvaro "lievi". E ancora, ci sorprende con la sua ironia, che pervade tutti i racconti, quasi che la nota "drammatica", quando diventa incombente, iene immediatamente smorzata da una battuta arguta e ironica. E poichè l'ironia, nella scrittura, è merce rara, colpisce ancor di più in un autore che scrive in una lingua appresa da adulto e che vive una situazione tanto dolorosa. Ecco che ritornano le domande iniziali, a cui Wakkas, nel suo messaggio ai lettori, risponde soli in parte: ".. che cosa rappresenta la scrittura per un carcerato? Scrivere, vuol dire sognare, visitare luoghi lontani, fare compagnia a persone sconosciute, dialogare, abbattere i muri che ci dividono.... Poi, nel mio caso, significa soprattutto ritrovare e quindi ricomporre un'esistenza che, ad un certo punto, mi è sembrata annichilita".Vogliamo sperare che l'autore, se da una parte ha scoperto la scrittura come "evasione", strumento terapeutico per ricomporre i pezzi della sua esistenza frantumata, continui a coltivarla, anche una volta fuori dalla cella. Perchè riteniamo che nelle sue parole, nella sua capacità di prendere il lettore per mano e di condurlo lontano ci siano tutti gli ingredienti necessari, proprio quelli che fanno la forza di un vero scrittore.

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Anno 0, Numero 1
September 2003

 

 

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