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robin dream

alessandro ghebreigziabiher

"Commissario, posso disturbarla?" chiese l'agente Gennaro Donato, quel mattino del primo di febbraio del 2003. "Dimmi pure" rispose Francesco Cuconato, commissario capo della stazione di polizia di Alberoide, quartiere periferico della capitale. In realtà avrei dovuto dire Alberoide ex-Sant'abete, ma ormai la memoria della zona si era così rarefatta che perfino gli 'ex' divenivano illeggibili, forse perché considerati inutili. Ma io, se permettete, vengo da un'altra parte della città e vorrei rendere omaggio a quell'ex.

Su Sant'abete
L'aneddoto non è poi così complicato, anzi è molto semplice sebbene molto significativo. Più di settant'anni addietro, ci fu una grande inondazione a causa di una pioggia torrenziale che durò quasi una settimana. Tre fratelli, Mirko, Davide e Mauro, rispettivamente di sei, otto e nove anni, si trovavano in quei giorni proprio nei pressi di un abete piuttosto alto, al ritorno da scuola. La madre non era potuta venire a prenderli all'uscita poiché la quarta figlia, la più piccola, aveva la febbre alta a causa della rosolia. Ebbene, trovandosi a pochi passi dal fiume, i tre ragazzini, stretti e ben imbacuccati sotto uno striminzito ombrello, videro il corso d'acqua straripare con forte veemenza. Fu Mauro ad avere la giusta pensata: "Saliamo sull'abete, svelti." Fu un attimo e nell'istante stesso in cui l'acqua raggiunse la base dell'albero il piedino del fratello più piccolo, Mirko, era ormai in salvo. I tre rimasero sull'abete per ben tre giorni, con l'acqua del fiume giunta fino a un metro d'altezza. La madre passò quelle ore senza dormire e senza mangiare, mentre le ricerche dei tre bambini scomparsi si prodigarono senza sosta con canotti e gommoni improvvisati. Poi, il quarto giorno smise di piovere e i tre, col favore del sole, scesero dall'albero e tornarono a casa, allegri e spensierati, come di ritorno da una piacevole gita scolastica. La mamma li abbracciò per un giorno intero, ogni volta che se li vedeva passare davanti. La loro storia fece subito il giro della zona, con quel potente mezzo di comunicazione che è il passaparola, e da quei giorni, in ricordo del fortunato episodio, il quartiere venne chiamato proprio Sant'abete.

Molto semplice, no? Ancora più facile sarà per me spiegare l'origine di Alberoide, definizione tuttavia non molto gradita alla giunta comunale, la quale si ostina tutt'oggi a conservare Sant'abete come nome.

Su Alberoide:
Cinque anni fa, un fulmine decise di cambiare il nome ad una comunità. I fulmini sono fatti così, si divertono con poco. Zaam! Ed un abete che un tempo salvò la vita di tre bambini si dissolse. Il fatto colpì tutti, indistintamente, e gli assessori si riunirono per rimediare al grave lutto. In verità ci fu qualcuno che azzardò la soluzione più naturale, e cioè piantare un altro abete, ma perfino in una zona così limitrofa ed esclusa dai grandi fuochi del più apparente artificio che illuminavano ogni notte la città nel suo cuore più sanguigno, l'atteggiamento più in voga del momento si fece sentire: lungimiranza.
Fu quindi l'assessore Gremese che propose l'idea vincente: "Facciamo costruire sulle ceneri del vecchio abete un albero artificiale con una lega di acciaio e carbonio, utilizzata per i sommergibili giapponesi. Il progetto sarà costoso, ma il nuovo albero sarà indistruttibile e resisterà a ogni cataclisma." Gremese, ovviamente, non parlò del fatto che suo fratello dirigeva una fabbrica che stringeva importanti affari con una nota industria di sottomarini del Sol Levante. Ma la lungimiranza è un dono, ed è giusto che chi lo possiede, e che soprattutto grazie a essa aiuta molti di noi con estrema generosità e senso civico, ne goda in prima persona i benefici. Di conseguenza l'albero meccanico fu costruito in due giorni e un quartiere divenne Alberoide.

"Commissario, la situazione è ingestibile. Qui fuori ci sono centinaia di persone anziane, vecchi insomma. E ne continuano ad arrivare" disse l'agente, piuttosto in allarme.
"Calma Donato, calma. Vi siete fatti spiegare cos'è successo?", chiese Cuconato, che nel frattempo non si era neanche mosso dalla scrivania.
"Commissario, è questa la cosa strana. Sembrano tutti impazziti", rispose l'altro, facendo un passo in più nella stanza.
"Si spieghi meglio"
"Ecco, il primo è arrivato poco dopo l'alba. Si chiama Parisi Mirko, quasi ottant'anni, e si è presentato chiedendo di sporgere denuncia, denuncia di un furto.
Fin qui tutto a posto anche se il collega Agresti e io notammo subito il sorriso e l'allegria con i quali l'anziano signore ci informava del motivo della sua venuta.
In ogni caso, lo abbiamo fatto accomodare e ci ha raccontato il fatto".

Il fatto, qualche ora prima:
Mirko: "Stanotte sono stato derubato"
Donato: "Cosa le hanno rubato?"
Mirko: "I sogni. Tutti i sogni che mi erano rimasti"
Agresti: "C-cosa ha detto?"
Mirko: "È sordo? I sogni, mi ha rubato tutti i sogni"
Donato: "Certo, i sogni! Agente Agresti, ma non ha capito? Qualcuno ha rubato i sogni al signore..."
Agresti: "Ah, i sogni! E chi è stato, eh? Chi si è permesso?!"
Mirko: "Non potrò mai smettere di ringraziarlo. E' stato Robin Dream"
Donato: "Robin che?"
Mirko: "Ma è sordo anche lei? Robin Dream: ruba i sogni ai vecchi per donarli ai bambini"
Agresti: "Ma tu guarda questo Robin Dream. Se lo acciuffiamo..."
Mirko: "No! Voi non dovete fargli del male. Lui è stato così buono"
Donato: "Come buono! Ma l'ha derubata, no?"
Mirko: "Sì, finalmente. Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di prendermi i sogni che nascondevo dentro. Io non c'ero mai riuscito da solo. Troppa paura. Che idea, poi, donarli ai bambini: gli unici in grado di liberarli, di dar loro un'altra possibilità."
Agresti: "Mi scusi. Ma lei, questo Robin, vuole denunciarlo o no?"
Mirko: "Sì, ma non per farlo arrestare. Perché voglio incontrarlo, abbracciarlo e dirgli grazie. Lo devo a lui se ora non ho più paura."

"Mirko ... Mirko Parisi ... ma certo! Mirko, il più piccolo dei tre ragazzini scampati all'alluvione del Trenta, salendo sull'abete. Lei non se lo ricorda Donato, è troppo giovane. Quante volte mio padre mi ha raccontato la storia. Dev'essere uscito fuori di testa, poverino" disse Cuconato.
"Ehm, commissario, il problema e che forse sono usciti fuori di testa tutti i vecchi del quartiere. Sì, perchè ognuno di loro ha sporto la medesima denuncia: il furto dei sogni, Robin Dream, ecc. E il tutto con la gioia sul viso ..."
"Ma non è tutto - riprese - gli anziani sono ancora a centinaia all'esterno della stazione e dicono che non se ne andranno finchè non troveremo il ladro, Robin insomma!"
Il commissario rimase incollato alla poltrona, senza saper cosa pensare e dopo pochi istanti si alzò e si affacciò alla finestra del suo ufficio, che dava proprio sullo spiazzo antistante la centrale. Quello che vide confermava ampiamente la descrizione dell'agente. Un mare, un vero mare di anziani ricopriva strada e marciapiede. C'era chi giocava a morra, chi a carte, chi addirittura allo schiaffo del soldato. Sembrava una di quelle sagre di paese. Solo molto più allegra, molto di più. Quindi prese un megafono, e dopo aver preso fiato, disse alla folla: "Signore e signori. Vi prego, un attimo di attenzione. Sono il commissario Cuconato - e lì partì un applauso inaspettato - ehm ... volevo darvi la mia garanzia personale che faremo il possibile per trovare questo Robin Dream. Appena sapremo qualcosa sarete tutti avvertiti, abbiamo i vostri dati - altro scrosciare di mani - perciò vi chiederei gentilmente di tornare alle vostre abitazioni, in modo da lasciar libera la circolazione sulla strada".
Pochi secondi e tutta la canuta folla, dopo aver salutato educatamente il commissario, si mosse e si allontanò in buon ordine, come un'enorme scolaresca dietro alla propria amata o temuta maestra. Cuconato rimase sorpreso dalla facilità con cui aveva ottenuto il primo risultato e richiuse la finestra meccanicamente. In quel momento cominciò veramente quella particolare giornata. Nasceva con una promessa, e quando la promessa si fa a così tanta gente, che ripone in noi tanta fiducia, credetemi, per quanto cerone si possa mettere sul proprio viso, è difficile stare tranquilli.
E Cuconato, il cerone, neanche lo usava. Non aveva altra scelta: doveva trovare Robin Dream.

Dalla mente di un solerte poliziotto:
Prima domanda: come si fa ad arrestare un ladro che non si crede reale?
Questa è la questione più difficile da affrontare. E sì, perché stiamo parlando di un solerte poliziotto. Non ho mica detto poliziotto e basta. Fino a prova contraria, solerte ha come sinonimi, tra gli altri: zelante, premuroso, indefesso, tutta roba tosta.
Il manuale e l'esperienza decennale non suggerivano alcun precedente ed insegnamento di sorta. Occorreva improvvisare, dare vita a nuove strategie. E in fondo questo che affascinava e stimolava immensamente il Cuconato. Ma voi ci pensate a cosa poteva provare il commissario di un quartiere tranquillo come Alberoide ogni volta che accendeva la televisione e assisteva alle coraggiose gesta di ispettori ed investigatori di ogni arma possibile mentre sventavano pericolose rapine e svelavano intricatissimi misteri con acume straordinario? Perfino un cane pastore tedesco ci si era messo a fare il commissario ed era ormai un eroe, soprattutto per Pierpaolo, suo figlio di nove anni.
Cosa provava? Rosicava.
Sì, avete capito benissimo. Rosicava alla grande ed era anche un po' arrabbiato con la tv.
Perché non raccontavano mai la vera realtà di una stazione di polizia?
Da lui non c'erano certo eroismi tutti i giorni, ma non per questo la sua squadra era meno degna di attenzione e rispetto. Tuttavia, stavolta l'occasione era allettante, eccitante, splendidamente fuori dall'ordinario.
Fu per questo che la mente di Cuconato scelse proprio l'alternativa meno logica ma esattamente secondo la procedura: Robin Dream esisteva perché qualcuno, anzi molti, l'avevano denunciato. Seconda domanda: Come inizia un'indagine su un ladro che non esiste ma a cui si vuole teneramente credere?
A questo punto la strada si fa più semplice. Già perché in un certo qual modo, nonostante qualche brandello della sua ragione si ostinasse a gridargli: 'Attenzione, non lasciarti ingannare, resisti!', e anche, con un pizzico di rabbia: 'Sei un cretino? Un mezzo scemo?! Esigiamo rispetto!!!', ma soprattutto con uscite piuttosto umilianti, tipo: 'Non puoi abbandonarci così. Senza di te siamo come morti...', lui, la sua scelta, l'aveva già fatta.
Cuconato aveva imboccato l'altra, di strada, quella di casa.
Come si comincia quest'indagine, allora? E' banale: si va a interrogare i testimoni del fatto criminoso. Incredibile, o reale che esso fosse, si trattava sempre di testimoni, e questi sono sempre i compagni di viaggio migliori per arrivare alla verità.

"Donato. Mi dia l'elenco dei derubati" disse con palese fretta. "Subito" rispose l'agente porgendoglielo.
"Io esco" aggiunse il commissario leggendo il foglio che aveva in mano.
"Vuole che la accompagni?"
"No, grazie. Ne avrò per molto, credo..."
Cuconato prese la macchina e iniziò la caccia al ladro più strana della sua carriera.

Testimone numero due: Andrea Ghebellini, commercialista, classe 1926:
"Signor Ghebellini, è la polizia. Sono il commissario Cuconato" disse alla porta del secondo testimone, il primo della lunga lista. Mirko Parisi, se l'era lasciato per ultimo. Così, senza un motivo preciso, lo aveva fatto e basta.
"Un attimo..." rispose dopo un paio di minuti l'anziano inquilino dell'appartamento di vastissimi sessanta metri quadrati nel cuore di Alberoide.
Vastissimi perché erano a disposizione di tutto e solo il tempo di Andrea, la cui moglie aveva accelerato improvvisamente dieci anni prima, durante la loro armonica corsa, a causa di un dannato tumore al seno.
"Buongiorno - disse il commissario vedendo aprire la porta - sono Cuconato, le volevo fare qualche domanda sul furto da lei denunciato questa mattina".
Il viso dell'uomo si illuminò, per quanto potesse illuminarsi ulteriormente. Sì, perché Ghebellini aveva aperto la porta con un viso già di suo acceso ed emozionato.
"Prego, Cuconato, si accomodi, prego, le faccio strada in salotto"
"Ma lei stava stirando, l'ho disturbata, mi scusi" disse il poliziotto notando la tavola con il ferro ancora caldo.
"Ma no, non si preoccupi. E poi ho già finito. Guardi, è ancora come nuova!" disse Andrea, mostrando al nuovo arrivato la sua maglietta. La mitica numero quattro.

Sul numero quattro:
Ci sono tanti modi per vivere da numero quattro. C'è il centrale davanti alla difesa, un vero responsabile del centrocampo, un uomo di frontiera, che raccoglie direttamente la sfera dal libero, il capo dei difensori, per offrirla ai registi, coloro che creano il gioco, che danno la giusta forma alla palla, affinchè rotoli il più lontano possibile dalla propria porta.
Poi c'è il mediano di spinta. Lo stantuffo, il pistone, il portatore d'acqua, l'uomo di trincea dimenticato dai riflettori che strenuamente e stoicamente sacrifica ogni centimetro delle sue robuste gambe per la causa, la vittoria, unicamente per sportiva partecipazione.
Infine c'era Ghebellini: il trattore, il frangiflutti, il frullatore di ossa fragiline, la valanga di fango e scarpini, l'amante della scivolata maligna, quella senza toccare terra, per intenderci. Poteva riempire un'intera collezione di francobolli con i cartellini gialli e rossi raccolti su tutti i campi della città.

"Ma non se la ricorda? La S.C.S., Scuola Calcio Sant'abete! Sono passati più di sessant'anni. E sa la novità? Questa mattina ci siamo ritrovati tutti e alle due del pomeriggio sfideremo i nostri eterni rivali: la D.F.S., Dopolavoro Ferrovie dello Stato, o almeno quelli che ne facevano parte. Ci hanno sempre battuti. Lo credo, all'arbitro gli promettevano viaggi gratis per un anno...".
Cuconato, effettivamente, sentiva un impulso irresistibile a lasciar andare una risata di fronte a quel vecchietto che sfidava le leggi di gravità per quanto tremava, mentre, con la maglietta che danzava necessariamente tra le sue mani malferme, come una bandiera rossa che segnala mare agitato, annunciava il suo imminente ritorno al calcio giocato.
Eppure, qualcosa lo aiutò a rimanere serio.
La stessa cosa, probabilmente, gli fece trovare la giusta e sincera attenzione per chiedere all'uomo: "Senta, mi racconta quello che è successo stanotte?".
Ghebellini sorrise, si mise sulle spalle la gloriosa maglia e invitò il poliziotto a sedersi sul divano. "Prego, commissario. Io ho tutto il tempo che vuole per ricordare stanotte.
Tutto il tempo per ripensare a ciò che potrà farmi stare meglio ora e più che mai domani".

Circa quindici minuti più tardi Cuconato era fuori del portone del palazzo. Si era fermato lì, con la porta, una storia e una vita alle spalle.
E quel giorno, in quell'attimo, quei tre doni erano pronti per essere scartati nel cuore del commissario.
Una vita, una storia e una porta, dietro alla quale egli aveva trovato il primo indizio su uno strano ladro chiamato Robin Dream.

Testimone numero tre: Elena Palmiri, commerciante in pensione, classe 1924:
La porta di casa della signora Elena era aperta.
Erano aperte anche tutte le finestre e perfino il vecchio lucernario era dischiuso.
Ma non solo. Erano spalancate le ante degli armadi, i cassetti del bellissimo comò marrone, svelando ogni segreto dimenticato.
Il frigorifero stesso illuminava la cucina, con le fauci affamate che sbavavano su un misero yogurt magro mentre il forno si apriva al mondo senza necessariamente doversi esibire nella sua arte cuocente. E così via, ritrovavano la luce scatole di scarpe rubate al loro scopo d'origine, lettere imprigionate da buste ormai in pensione, segnalibri finalmente risparmiati da centinaia di pesanti pagine.
Cuconato entrò lentamente nell'appartamento, in cui, a causa della corrente creata dalle numerose aperture, tirava una brezza non indifferente. Eppure non faceva freddo, era un'aria fresca, pulita, scivolava addosso come una carezza.
Elena si trovava fuori al balcone, seduta su una sedia, con i capelli grigi svolazzanti e un sorriso negli occhi, e finalmente con le spalle al suo caro e sicuro appartamento "Buongiorno signora - disse il poliziotto a pochi metri da lei - mi scusi se sono entrato ma la porta era aperta. E non solo quella, ho visto...".
Elena, settantanove anni tra una settimana, rispose senza voltarsi:
"Vieni qua fuori. Cosa fa lì? Prenditi una sedia e accomodati vicino a me".
Il commissario si guardò in giro e scelse un piccolo sgabello di legno. Quindi uscì e si sedette ai piedi dell'anziana signora. Lei lo guardò con tenerezza e gli strinse la mano con forza. "Come ti chiami? Dove abiti? Cosa fai nella vita? Che ti piace fare ?" La donna avrebbe continuato ma Cuconato la interruppe prontamente: "Sono un commissario di polizia. Sto indagando sul furto da lei denunciato. Robin Dream, si ricorda?".
Elena non appena sentì quel nome rimase per un attimo immobile, come quando si ritrova in un vecchio cassetto un qualcosa che ci ricorda quanta vita è trascorsa tra quell'oggetto e noi. Ma poi riprese la giusta velocità: "Lo sai quanto tempo era che non uscivo su questo balcone? Anni. Mi sembra di aver cambiato casa, non la riconosco più, o forse è il contrario. Ho sempre abitato qui, ho sempre voluto vivere qui. Ho sempre desiderato che la vita fosse qui, che fosse di casa, che non avesse avuto il bisogno di telefonarmi per venirmi a trovare. Ricordo solo adesso quante parole ci metteva mio marito, quando ci conoscemmo, per darmi un bacio. E quanti passi dovevo compiere io stessa per raggiungere la guancia di mio padre e fare altrettanto. Quanti chilometri pensavo fosse lunga la serranda di questa finestra, quanta luce e aria sarebbero potute entrare in casa mia senza aver bisogno di rubare nulla. Se non fosse stato per Robin quale altra possibilità avrei avuto per averti qui, vicino a me, ora?".
La donna sorrise con dolcezza e poggiò la mano rugosa ma morbida sulla guancia del commissario. Quest'ultimo era in palese imbarazzo e con tempismo da vero timido professionista ruppe immediatamente il silenzio: "Le andrebbe di raccontarmi del suo incontro con il ladro?"
"Certamente. Tu devi assolutamente aiutarmi a ritrovarlo. Lui ha aperto la porta. Se non lo avesse fatto io non avrei nemmeno scoperto di averne una".

Stavolta fu una porta aperta quella che Cuconato lasciò alle spalle. E quando è una storia a uscire, centinaia di altre se ne aprono dentro di noi, come se all'improvviso scattassero delle serrature invisibili e permettessero ai pensieri di circolare finalmente liberi, senza ordini e ordine, senza dover aspettare la benedetta ora d'aria.
Si può vivere anche solo per un'ora?
Una vita non lo so, non saprei dirlo ma sicuramente un pensiero si era liberato definitivamente nel cervello del Cuconato: l'ora appena passata, quella mattina, valeva già l'intero giorno che l'avvolgeva.

Testimone numero quattro: Don Maurizio Martini, parroco, classe 1927:
Il commissario non si poteva certo definire uno stinco di santo. Non era ateo ma nemmeno un fervente fedele. Apparteneva a quella strana e misteriosa setta che viene di solito chiamata I Cattolici non praticanti. Appena arrivò in prossimità di San Plumbeo, la chiesa del quartiere, venne subito fermato da due maturi chierichetti: "Non entri là dentro" disse uno.
"Don Maurizio ha 'sbroccato'" aggiunse l'altro.
Il commissario non ne fu sorpreso in quanto era proprio questa la ragione che aveva attribuito a tutta la storia del furto. Ma, effettivamente, le due testimonianze appena ascoltate stavano creando in lui una certa confusione. In ogni caso entrò nella chiesa con estrema curiosità.
La scena era apocalittica. Il vecchio sacerdote stava ammucchiando tutte le panche destinate ai fedeli sui lati della sala ed aveva ormai sgomberato l'intero spazio creando con le sedie un grande cerchio. Aveva tutti i capelli spettinati, la barba lunga e indossava jeans, maglietta ed era scalzo. "Ehm..., mi scusi padre. Posso disturbarla?" disse facendo rimbombare la sua voce nella chiesa. Altrettanto tonante arrivò quella del prete: "Disturbarla?! Ma ti prego. Questa è la tua casa" rispose Maurizio che improvvisamente si era dimenticato delle panche e aveva trasferito ogni sua attenzione sul nuovo arrivato.
"Mi chiamo Cuconato, sono commissario di polizia. Vorrei chiederle qualcosa sul furto da lei denunciato, se è possibile" disse avvicinandosi e porgendo la mano.
Maurizio gliela agguantò e trascinandolo con forza su una panca si sedette vicino a lui e gli disse: "Robin Dream. Sì, dobbiamo parlarne. Di questo parleremo alla messa oggi, seduti in cerchio. Di questo parlerò tutto il giorno con chiunque entrerà in chiesa. Non è quello per il quale sono qui? Dimmi. Non è questa la ragione per cui tu mi vuoi? Non sono qua dentro per parlare con te e ascoltarti? E qual è l'argomento migliore se non la vita stessa, con tutto quello che comporta? E quanta di essa ci sfiora ogni giorno e prima di andarsene ci supplica di raccontare e ascoltare a nostra volta?".
Cuconato non sapeva cosa rispondere. Tuttavia, meccanicamente, si sentì rispondere:
"Sì, padre. Io sono qui proprio per ascoltare. Mi parli di Robin".
"Volentieri. Non puoi immaginare quanto, volentieri".

Testimone numero cinque, sei, sette fino al...primo, Mirko Parisi, ex maestro elementare, colui che fu salvato da un abete, classe 1927:
Era ormai sera, ore diciannove e un quarto, in quel momento della giornata che preferisco. Quando il cielo si colora di quella luce azzurro opaco, con venature di un blu gentile, non invadente, con il silenzio che si crea in strada perché ormai sono quasi tutti rientrati in casa, le famiglie si ritrovano e tutto rallenta, non si ferma perché sarebbe chiedere troppo, un privilegio che è concesso solo alla notte. No, in quell'istante, seppure così breve, è ancora giorno eppure la corsa prende fiato, si può finalmente parlare con calma, guardarsi con calma. Fino a quell'ora Cuconato aveva ascoltato una storia con centinaia di voci diverse, condita con ogni tipo di memoria, intrisa di vita vissuta e di voglia di viverne ancora, con una miscela di euforie scatenate da un inarrestabile desiderio di ringraziare sempre la stessa persona: Robin Dream, di professione ladro.
Il commissario non sapeva più cosa pensare, con quale nome incasellare, nella sua di memoria, le informazioni che aveva incamerato quel giorno. Ogni tanto la sua mente si soffermava sul rapporto che avrebbe dovuto redigere al mattino seguente e, puntualmente, fuggiva via, terrorizzata. La cosa che lo impressionava di più era la più temibile. E cioè che, dopo una giornata come quella, cominciava a credere che Robin Dream esistesse realmente. Fu con questo stato d'animo che suonò a casa di Mirko Parisi. "Signore, è inutile che suoni - disse un bimbetto alle sue spalle mentre lo tirava per la giacca - il signor Mirko non c'è".
Cuconato si voltò e, senza dire niente, accarezzò i capelli del ragazzino e si allontanò dal portone, indietreggiando. Dov'era andato Mirko Parisi? Dove poteva essere andato un vecchietto di settantasei anni dopo aver vissuto una notte simile a quella che il commissario aveva udito raccontare in cento lingue diverse? Pensandoci bene il commissario sapeva dov'era Mirko. Fu così che in pochi minuti raggiunse un orribile mostro di metallo che un tempo era stato uno splendido albero.
Mirko si era arrampicato e da lassù osservava il fiume correre.
"Buonasera", disse il commissario. Parisi non rispose. Cuconato salutò di nuovo e idem come sopra. Ma ve l'ho detto: il poliziotto era ormai spacciato. Quindi, senza pensarci su troppo, anche se con estrema goffaggine, salì anch'egli su quello che avrebbe dovuto sembrare un albero.
Pochi secondi dopo e con una voce completamente diversa disse al compagno di postazione: "Come è bello il fiume visto da qui. Mi sembra di guardarlo per la prima volta". Fu così che il vecchietto si voltò per un attimo e poi disse: "Perché in realtà è la seconda. L'avevo dimenticato. Avevo dimenticato che per ben tre giorni ho avuto questa possibilità. E non solo quella di vedere un fiume. Davide e Mauro, i miei fratelli, ora non ci sono più e da allora non abbiamo più parlato di quello che ci siamo detti in quei giorni. Sai? Davide voleva essere come Mauro. Lui era timido e piuttosto pauroso mentre l'altro era veramente quello che ti aspetti da un fratello maggiore: sicuro di sé, forte, anche fisicamente parlando, che non guastava mai se qualche ragazzetto più grande voleva farci dei dispetti.
E Davide, quando Mauro parlava, stava fermo in ascolto, registrando tutto. Anche io ero piuttosto silenzioso, ma per timidezza. Semplicemente avevo tanto da pensare e ogni volta che mi si chiedeva qualcosa temevo di non trovare le parole giuste per rendere quello che mi passava per la testa. Ma in quei giorni, tutti e tre abbiamo avuto un'occasione irripetibile. Sopra un abete, con il diluvio e un fiume finalmente libero di correre dove voleva, non c'erano differenze d'età, di ruolo sociale o familiare, di semplice grandezza muscolare. Proprio Davide, l'introverso Davide, diede il via alle danze:

Su un abete, 1933:
Davide: "Cosa facciamo Mauro?"
Mauro: "Aspettiamo che l'acqua scenda"
Davide: "E se non scende?"
Silenzio.
Mauro: "Ma sì che scende, non aver paura"
Davide: "Se non scende lo so io cosa facciamo"
Mauro: " Ah sì? E cosa facciamo?"
Davide: "Diventiamo dei pesci e nuotiamo fino a casa"
Il bambino lo disse con una tale serietà che tutti e tre scoppiarono in una grande risata.
Mirko: "Non è meglio se diventiamo uccelli e voliamo via? Non facciamo prima?"
Mauro: "E' vero, così non ci bagniamo!"
Davide: "Ma siamo già bagnati! E se non c'era il mio ombrello ..."
Mauro: "Ma se diventiamo uccelli o pesci che te ne fai dell'ombrello?"
Davide: "Già, lo lasciamo qua"
Mirko: "Sicuro. Sarà la nostra prova"
Mauro: "La prova di che?"
Mirko: "La prova che tre bambini, nel 1933, sono diventati degli uccelli"
Davide: "O dei pesci".

"Vedi, quando seppi che l'albero non c'era più, non mi addolorai tanto per l'abete in sé ma per l'ombrello, il nostro ombrello. Il giorno dopo venni qui e trovai il manico, con l'intelaiatura tutta bruciacchiata. Eccolo - porgendolo al commissario - lo avevo messo sopra un armadio, dentro una vecchia scatola piena di cianfrusaglie."
Cuconato, con la prova in mano, rifece la domanda che oramai sapeva alla perfezione: "Le andrebbe di parlarmi del furto di stanotte?"
"Anche tu vuoi trovare Robin Dream, eh? E' un fatto personale, ora, no?" disse tenendo intensamente i suoi occhi grigi su quelli del poliziotto.
"Sì..." rispose quest'ultimo, inevitabilmente.
"Allora sentimi bene. Perché ti dirò qualcosa che tutti gli altri sicuramente non ti hanno ancora detto".

Un testimone in più, Pierpaolo, figlio di un normale commissario, classe 1994:
Cuconato rientrò a casa per le venti, bagnato fradicio, sorpreso da una pioggia improvvisa, sorridente e con un prezioso manico d'ombrello in mano.
La moglie gli venne incontro, palesemente preoccupata e lo aiutò in silenzio a levarsi di dosso gli abiti zuppi. Nulla però le permise di fargli posare quel pezzo di metallo e plastica che un tempo era stato una prova. Suo figlio, Pierpaolo, era seduto per terra davanti alla televisione e rispose al suo ciao senza smettere di guardare lo schermo. Proprio in quell'istante un fulmine decise di colpire ancora. Sì, qualcuno non ci crederà, ma a volte ritornano.
I fulmini, intendo. E un intero quartiere a cui fu rubato il nome rimase al buio. La signora Cuconato si impegnò ad accendere e sistemare candele in tutte le stanze, partendo proprio dal soggiorno, dove Pierpaolo era rimasto immobile e seduto per terra. Mentre la donna era in giro per la casa, in quella luce soffusa, Francesco si avvicinò al figlio, si sedette di fronte a lui e, con la prova in grembo, disse lentamente: "Ti va di ascoltare una storia?"
Chissà, forse con la tv accesa sarebbe stata un'impresa ardua, forse col favore della luce elettrica, la tv, quel mostro orribile che è il nulla che uccide i silenzi avrebbe impedito a un bambino di nove anni di fidarsi del proprio padre. Ma, in quel momento, la situazione era quanto mai propizia: "Sì, papà." Si limitò a rispondere Pierpaolo. E Francesco, con la gioia nel cuore e i resti di un ombrello stretti fra le mani, cominciò così:
"Ti racconterò la storia di Robin Dream. Che rubò i sogni ai vecchi per donarli ai bambini."

La notte che seguì, la corrente non tornò. Si fece viva quando era ormai mattina. Almeno per una notte, tutto un quartiere di Roma fece lo stesso sogno: di essere di nuovo Sant'abete.
Tutti tranne uno. Un commissario di polizia di nome Francesco Cuconato.
E fu la prima volta che un poliziotto sognò di ringraziare un ladro.

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Anno 0, Numero 1
September 2003

 

 

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