Il 10,11,12 aprile si è svolto a Ferrara il 2° convegno Nazionale "Culture della migrazione, scrittori, poeti, e artisti migranti", promosso dal Cies e dall'Associazione Cittadini del Mondo in collaborazione con la Lega Provinciale delle Cooperative, la Provincia e il Comune di Ferrara.
Al saluto delle numerose autorità che hanno aperto il convegno, è seguita la straordinaria performance "Stop", di Alberto Masala (poeta e performer), Yousif Jaralla (scrittore poeta e performer, Iraq) e Miriam Palma (vocalista), e poi, nei giorni successivi, gli interventi degli stessi Masala e Jaralla, di Jadelin Gangbo (scrittore, Congo), Ron Kubati (scrittore, Albania), Franca Sinopoli (ricercatrice de La Sapienza di Roma), Tahar Lamri (scrittore, Algeria), Mia Lecomte (poetessa e saggista), Piersandro Pallavicini (scrittore), Christiana de Caldas Brito (scrittrice, Brasile), Helene Paraskeva (scrittrice, Grecia), Anton Roca (pittore, Spagna), intervallati dai contributi degli alunni delle scuole medie superiori. Ne parliamo con una delle relatrici, Mia Lecomte.
D. "Quali sono state le caratteristiche salienti di questo convegno?"
R. "L'edizione di quest'anno, com'è evidente dalla scelta del titolo, è stata concepita e si è svolta all'insegna della collaborazione e della cooperazione: quella fra scrittori e artisti di altre discipline (musica ed arti figurative), e quella tra scrittori migranti ed italiani".
D. "In questo senso, quali sono stati gli interventi più incisivi?"
R. "Una formula nuova, sensibile ai cambiamenti in corso, all'evoluzione naturale che questo fenomeno letterario sta seguendo, superate le questioni sociologiche legate al problema immigrazione, quelle sulle qualità della lingua e dei contenuti più o meno testimoniali, le diatribe definitorie - letteratura della migrazione, di ibridazione, mondiale, globale...- che hanno impegnato in larga parte il dibattito del convegno dell'anno passato.
Della necessità di una collaborazione artistica trasversale, all'insegna della contaminazione e dell'eterogeneità, hanno parlato in particolare Jaralla, che ha spiegato i motivi dei propri legami con una cultura dell'oralità, dove tutte le differenze sfumano in un unica voce in cui si fondono buona parte di quelle del globo, che gli hanno sempre impedito di pubblicare i propri testi, e Masala, che ha raccontato di quando sua nonna lo portava in piazza ad ascoltare coloro che erano stati pubblicamente e socialmente investiti del ruolo di poeti -"Sei poeta? Allora canta!"- che si alternavano a "cantare" nelle più di trecento metriche di cui dispone la lingua sarda. Da cui lo spunto della nascita di "Minores", nel '96, e della collaborazione con Jaralla, Anton Roca e molti altri artisti internazionali.
La testimonianza di Jadelin Gangbo è stata importante perché ha aperto un interessante dibattito. Si è discusso sul significato di "migranza" e se essa debba avere necessariamente una connotazione linguistica, al di là della multipla identità che comunque presuppone. Un autore, infatti, di origini congolesi, vissuto in Italia fino dalla primissima infanzia, cresciuto senza contatti con i genitori e dunque con la propria cultura, che ha sempre parlato l'italiano, lingua in cui ha compiuto tutti gli studi, può essere definito un autore migrante? E si può giudicare la letteratura che produce con i parametri, contenutistici e stilistici, generalmente applicati alla letteratura della migrazione? E la sua poetica di cosa è testimonianza?
Sono tutte questioni che ha lanciato in particolare Franca Sinopoli al termine del suo intervento su "scritture letterarie" e migranza, in cui ha evidenziato due distinti percorsi per rapportarsi al fenomeno: quello storico letterario e quello critico-culturale".
D. "Questione cruciale..."
R. "Ron Kubati, dopo aver riconosciuto superata la questione definitoria, e tutte quelle etichette che comunque sono state necessarie per "difendere" fino a qui questa letteratura di "valicatori di confini", si è chiesto se essa vada ora giudicata e considerata con criteri appartenenti alla sociologia della letteratura oppure eminentemente estetici, e se lo sguardo migrante renda finalmente possibili un approccio e un sentimento sovranazionali e un uso spregiudicato della lingua. Sulla questione della differenza tra un apprendimento "in corso" della lingua, e quindi libero, e uno scolastico, che porta necessariamente con sé secoli di letteratura, è ritornato Tahar Lamri, sottolineando la sostanziale diversità del caso italiano nel panorama europeo, di una lingua cioè che non è stata imposta, se non in minima parte, dalla colonizzazione, e come tale si porge in maniera profondamente democratica, dimostrandosi, dalla Divina Commedia in poi, estremamente duttile e con una reale capacità di accoglienza. Io stessa, e Lamri dopo di me, abbiamo concordato sul fatto che sia giunto ora il momento, da un lato, di considerare la qualità letteraria della cosiddetta "letteratura della migrazione"in sé stessa, per il suo valore intrinseco, al di là di tutte le categorie, e d'altro lato di riconfigurare la storia della letteratura italiana perché sia in grado di accogliere la migliore produzione di questa nuova corrente letteraria, che già da tempo agisce carsicamente al suo interno con un apporto straordinario di temi, sentimenti, suoni, rivitalizzandola nel profondo. E abbiamo auspicato una collaborazione tra autori migranti e italiani, fra migranza e stanzialità per un arricchimento conseguente ad un riconoscimento reciproco, nel quale gli uni possono trovare alleanze per questioni urgenti riguardanti ad esempio l'editing dei testi o l'apertura di nuovi e più importanti canali editoriali, e gli altri possono cogliere l'occasione per "sprovincializzare" la propria letteratura e rivitalizzarne la lingua, ripercorrendola dal "di fuori", riscoprendola attraverso la voce dell'altro, per liberarla da stereotipi, barocchismi e sperimentalismi posticci".
D. "In conclusione, è emersa la necessità di inscrivere questa produzione all'interno di categorie puramente estetiche?"
R. "Anche Piersandro Pallavicini ha insistito sulla qualità sempre superiore delle opere prodotte dagli autori migranti e sulla necessità di giudicarle ora soltanto in base ai criteri che definiscono la buona o la cattiva letteratura. E ha auspicato una collaborazioni fattiva fra gli scrittori, nella severità reciproca. E Christiana de Caldas Brito ed Helene Paraskeva, in quest'ottica, hanno voluto riportare proprio l'attenzione sui testi, la prima raccontando del suo ultimo romanzo e la seconda affidando alla figlia la lettura di un suo divertentissimo racconto.
Il convegno si è chiuso, al di là delle discussioni, delle dissertazioni e delle teorie, sull'unanime certezza della necessità di una collaborazione, artistico-letteraria, migrante-stanziale, per il bene della letteratura, unica, universale, e dei valori di cui è portatrice; e sulla necessità ormai evidente, di confrontarsi tutti, in futuro, sui testi, concentrando attenzione e progettualità sulla realtà fondamentale della parola condivisa."