El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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silvia albertazzi

Per evitare il traffico e la confusione del sabato mattina, avevano deciso di fare la spesa all'ipermercato uscendo dal lavoro il venerdì sera. L'idea si era rivelata infelice da subito: c'era un ingorgo sui viali e le auto procedevano tutte incolonnate, a passo d'uomo. Giulia aveva esaurito gli argomenti di conversazione - i figli, le colleghe, le scadenze - e adesso guardava fuori dal finestrino, mostrandogli la nuca. Ma non c'era niente da vedere, alla sua destra: solo una fila di macchine, ognuna con il suo guidatore accigliato sul punto di dare in escandescenze. "Forse ci sarà un bell'uomo al volante dell'auto qui a fianco; forse si sarà persa a guardarlo", constatò Marco, vedendo che la moglie non riattaccava con le chiacchiere. "Forse lui ricambia il suo sguardo", concluse, sorprendendosi di non provare alcuna gelosia.

Accese la radio, tanto per rompere il silenzio. Lei non si mosse: restò girata verso la strada, il capo appena reclinato. "Forse ha chiuso gli occhi", pensò Marco, "Forse dorme." E provò ancora la strana sensazione, che dal mattino lo stava perseguitando, di avere una faccenda da sbrigare, qualcosa di urgente, ma non riuscire a ricordare che cosa. Avrebbe voluto chiederle aiuto - ormai per lui Giulia era sempre più segretaria, governante, consigliera, amica, e sempre meno moglie - ma preferì non disturbarla. Tutto sommato, non aveva voglia di giocare agli indovinelli con le sue congetture. Era stanco, incazzato come tutti gli altri guidatori in tutte le altre auto in colonna. Malediceva tra sé il momento in cui aveva accettato di modificare le abitudini settimanali per seguirla in quella spedizione serale: a quest'ora avrebbe potuto essere sprofondato nella sua poltrona, a sonnecchiare di fronte alla televisione, in attesa della cena, le ciabatte ai piedi e la vecchia tuta di felpa addosso. Invece, eccolo lì a mangiarsi il fegato in mezzo al traffico, ancora in giacca e cravatta e con i piedi dolenti nelle scarpe di cuoio. La fila cominciava a scorrere, pianissimo: e già un semaforo l'aveva arrestata. Dall'autoradio gli arrivarono le note di una canzone, leggera, solare; sapeva di luce, proprio nel momento in cui calava la nebbia, sommandosi al buio della sera; sapeva di stagioni migliori, d'estate, ricordata a stento nell'ultimo giorno di novembre.

Un'estate di trent'anni prima, quando Giulia gli era apparsa all'improvviso, una sera, sotto i portici; il vestito a fiori frusciava ad ogni passo, la gonna si sollevava mentre gli correva incontro, e lei sembrava danzare, i capelli sciolti, al vento, come in una brutta pubblicità. Ma lei era bellissima, come lo si può essere solo a diciassette anni, e lui ne era stordito, era troppo per lui, troppo. Gli si era avvicinata sorridendo, mentre da una finestra aperta, su via Belle Arti, una voce cantava: "Here comes the sun, it's all right, it's all right...", come adesso. Ma allora lei era proprio il sole che arrivava, per Marco, dopo un lungo inverno, e tutto da quel momento sarebbe andato bene, proprio bene, proprio bene. Giulia dondolava la testa a ritmo di musica, e anche i suoi piedi si muovevano sull'onda di quella canzone, mentre ormai gli stava di fronte e allora lui, con la scusa della musica, l'aveva stretta alla vita, come per ballare. E come per ballare, lei gli aveva buttato le braccia al collo, ed era stata una danza surreale, sotto il portico della Pinacoteca, nel primo buio, al suono lontano di una canzone che arrivava da una finestra aperta. Avevano ballato, nella strada estiva completamente deserta, senza dire una parola, sorridendo, "Here comes the sun, here comes the sun, it's all right, it's all right ...", finché la canzone non era finita, o forse finché qualcuno non aveva chiuso la finestra. Non era stato allora che le aveva detto quanto gli piaceva, ma certo in quel momento se ne era convinto. Con lei avrebbe voluto passare il resto della sua vita, ballando ininterrottamente su quella musica. A casa, più tardi, aveva riascoltato il disco una due, dieci volte: non capiva tutte le parole, era scarso in inglese, rimandato tutti gli anni e promosso a settembre per il rotto della cuffia, però capiva "little darling, it's been a cold long lonely winter" e si diceva che sì, anche per lui era stato un inverno lungo, gelido e solitario, ma adesso era arrivato il sole. Piccola cara, piccola cara, la chiamava, ricordandola, little darling, come nella canzone, perché lei gli sembrava così piccola, anche se aveva i suoi stessi, pochi, anni, e così cara, anche se non avrebbe saputo dire perché, visto che prima di quella sera non si era mai trovato solo con lei, mai aveva pensato a lei più di qualche secondo, tra una partita di calcio e due tiri a canestro.

Poi fu solo estate, davvero. Un'estate calda, polverosa, col sole a picco sopra la sua stanza all'ultimo piano dalle prime ore del mattino. Un'estate trascorsa alla finestra, per spiarla da dietro le tendine quando passava sul sentiero rasente la ferrovia, tagliando tra le siepi per arrivare prima a casa. Un'estate di angoscia, quando lei appariva, all'improvviso, e non era sola: spesso c'era un altro, con lei, un comune amico che le faceva il filo in maniera insistente. E lei ci stava, o almeno così gli sembrava, dalla sua postazione sotto il tetto. Domeniche vuote, l'erba arida nei giardini di periferia, certe lunghissime serate a farsi mangiare dalle zanzare nei cinema all'aperto; e poi le vacanze con la sua famiglia, e la voglia di tornare prima ancora di essere partito - ricordò tutto questo, tutto insieme, e forse anche qualcosa d'altro, per cui non riusciva a trovare parole. Intanto, il semaforo si era finalmente sbloccato e la fila scorreva placida, piano piano. Presto avrebbe voltato verso destra, lasciandosi alle spalle il traffico congestionato dei viali. Lanciò uno sguardo accanto a sé e, con la coda dell'occhio, vide gli occhi chiusi di Giulia, che si era girata e, la testa appoggiata al sedile, sembrava sonnecchiare.

Che cosa era rimasto, si trovò a domandarsi, della sua 'piccola cara'? Una ragnatela di rughe sottili incorniciava le palpebre chiuse; altre rughe segnavano i contorni delle labbra. Larghe strisce scure alla radice dei capelli tinti di biondo denunciavano l'urgenza di una visita dal parrucchiere, così come certe striature grigie che emergevano qua e là nella sua chioma incolta. Il suo corpo, infagottato nel cappotto beige, lungo e largo, sembrava una cosa informe; solo i piedi uscivano, stretti negli scarponcini alti di foggia maschile. Ma a lui non ci voleva molto per immaginare quel che c'era sotto: conosceva a memoria gli strati di stoffa con cui si proteggeva dal freddo, d'inverno, e le carni mollicce che celavano; i seni ormai cadenti, la cicatrice del cesareo sul ventre, le cosce rovinate dalla cellulite. Mentre imboccava lo stradone per l'iper, non poté fare a meno di mettere a confronto quell'immagine sciupata dagli anni con il ricordo della sua little darling: dov'erano finiti i capelli lunghi che danzavano nel vento, dove le gambe snelle che la gonna leggera, sollevandosi nella corsa, lasciava intravedere? E dove, santo cielo, dov'erano adesso quegli occhi pieni di sole, quando si era spenta la luce che li rendeva tanto vivi, e come mai lui non se n'era accorto, non aveva fatto niente per riaccenderla? Per una frazione di secondo si voltò a guardarla; allungò la mano e le sfiorò la guancia. Lei non si mosse. Gli occhi rimasero chiusi. Certo si era addormentata.

La canzone era finita, ma il ritornello gli ronzava ancora in testa, come il ricordo di quella lunga, calda estate. Un'estate in cui poi, alla fine, le cose gli erano andate davvero bene. A Ferragosto si erano trovati tutti insieme - lui, lei, l'altro - a un campeggio alpino e allora Giulia aveva fatto la sua scelta, cambiandogli la vita con un sorriso. Era capitato tutto quasi per caso, all'improvviso. In una serata umida, dopo un temporale che li aveva costretti al chiuso per tutta la giornata, si erano incamminati verso il Passo. Temendo ulteriori rovesci, o forse solo per pigrizia, nessuno aveva voluto seguirli; così si erano ritrovati soli a raggiungere il rifugio sul cucuzzolo. Lungo il cammino avevano scherzato, riso, canticchiato, ben discosti, senza mai toccarsi. Lui avrebbe voluto saltarle addosso, abbracciarla, stringerla, baciarla, farle comprendere quello che provava senza parlare; ma non aveva avuto il coraggio, aveva paura di offenderla, di rovinare tutto: così continuava a raccontare sciocchezze, giusto per il piacere di vederla ridere. Nei giorni precedenti, l'aveva vista spesso parlare fitto fitto con l'altro, si era quasi convinto che tra loro fosse nato qualcosa, ne aveva sofferto molto, senza darlo a vedere, e ora voleva soltanto godersi questi momenti in cui l'altro era lontano, e lui poteva averla tutta per sé. Pensava che se tra i due ci fosse stata un'intesa, Giulia non avrebbe accettato di fare quella passeggiata serale sola con lui; avrebbe insistito perché l'altro li accompagnasse, mentre invece non lo aveva quasi neppure invitato a unirsi a loro. "Noi andiamo al Passo", gli aveva detto. E quando quello aveva replicato, "Se fossi in voi non lo farei: potrebbe piovere ancora", lei aveva commentato con una smorfia, "E che vuol dire? Ci bagneremo un po'" e poi era uscita, lanciandogli un sorriso quasi di sfida, mentre si infilava la giacca a vento fluorescente.

E adesso, guidando nel buio di novembre, tre decenni più tardi, Marco non si stupiva di ricordare il giallo neon di quella giacca perché, pochi istanti dopo aver raggiunto il Passo, quello sarebbe stato l'unico punto di colore visibile nel raggio di chilometri. Era successo tutto all'improvviso: le nuvole, larghe, candide, lanose, avevano invaso il panorama, soffocando il rifugio e coprendo le montagne fino all'estrema lontananza, avvolgendo la valle, più sotto. Marco si era trovato accanto a Giulia in un paese di latte, solo con lei in mezzo alle nuvole, il cielo sotto i piedi, come in un dipinto di Magritte. E quello che più conta, nessun altro intorno, nessun altro in vista, unica macchia di colore in quel bianco uniforme il giallo fluorescente della giacca di lei. Era la fine del mondo, o almeno, la fine del mondo come lui la immaginava: che tutto scomparisse travolto dalle nuvole, e solo loro due rimanessero, giovani, perfetti, incontaminati, cielo e terra avvolti in un'unica coltre bianca ai loro piedi. Immobili di fronte a tutto quel candore, erano rimasti in silenzio, attoniti. Giulia aveva gli occhi spalancati, e forse cercava di trovare tutt'intorno le tracce di quel mondo che la nebbia (o le nuvole)? avevano cancellato; Marco, invece, non riusciva a smettere di guardarla: i capelli arruffati dall'umidità, il profilo da dama del Pisanello, le lunghe ciglia e le guance arrossate dall'aria fresca si stagliavano su quello sfondo evanescente e lui avvertiva, pur senza rendersene conto, che mai più li avrebbe visti in maniera così nitida, così chiara. Poi, un raggio di luce aveva squarciato quel bianco, come per magia. "E questo che cos'é?", aveva chiesto lei, rompendo il silenzio." "Un miracolo", aveva risposto lui, d'istinto.

Erano rientrati tenendosi per mano, per non perdersi in quel paesaggio latteo. Il sentiero era scomparso, e non restava che affidarsi al senso dell'orientamento per ritrovare il cammino: lungo la strada avevano parlato soltanto delle nuvole e della nebbia, badando bene a stare vicini e a stringersi forte le mani per la paura di ritrovarsi soli in quel deserto bianco. Ma anche quando la nebbia poco a poco si era alzata, e in fondo alla valle si ricominciava a distinguere il campeggio, avevano continuato a tenersi per mano, senza dire più nulla. Solo più tardi, al rientro in città, lui le aveva confessato i propri sentimenti: ma erano state parole superflue, pronunciate solo per eliminare gli ultimi dubbi su quell'altro, per avere la certezza di legarla a sé. No, a ripensarci adesso, con la saggezza dei cinquant'anni, di quella dichiarazione si sarebbe potuto benissimo fare a meno; loro ormai erano già uniti da qualcosa di molto più forte delle parole.

Ormai guidava come un automa, senza riflettere sulla strada che conosceva a memoria. Le frequenti soste non lo irritavano più: gli permettevano di pensare. Giulia dormiva al suo fianco, ma Marco non si girava mai a guardarla: era l'altra Giulia, la ragazzina di tanti anni prima, che sentiva accanto a sé. Non voleva sciupare l'immagine che era tornata così nitida alla sua memoria, sulle note di quella canzone. Da tempo accettava che lei gli fosse vicina come un dato di fatto; aveva quasi dimenticato come tutto era iniziato, come se l'era trovata accanto quella sera d'agosto, in mezzo alle nuvole. Aveva rimosso il ballo sotto i portici, la sua mano da stringere tornando al campeggio. Lei era diventata una donna adulta, poi matura, presa da mille pensieri: il lavoro, la casa, i figli già grandi, i genitori ormai vecchi. Di sicuro tanto l'abitino a fiori quanto la giacca a vento fluorescente erano finiti molti e molti anni prima in qualche sacco per la raccolta di indumenti usati. "Saranno stati macerati, riciclati tra gli stracci di Prato", pensò Marco, e sentì un'assurda fitta al cuore. "E il disco, il mio vecchio disco, quello che ascoltai decine di volte la sera del ballo?", si domandò suo malgrado, "Venduto. Per poche lire, a un mercatino."

Infilò il parcheggio sotterraneo dell'iper quasi senza avvedersene. Trovò un posto vicino all'uscita; spense l'autoradio; chiuse il riscaldamento. Per svegliarla, le toccò delicatamente la fronte. Giulia si scosse, come emergesse da un sogno: lo guardò spalancando gli occhi scuri e a lui sembrò di leggere nel suo sguardo lo stesso stupore che aveva visto quella sera di tanti anni prima, al Passo. Anche il sorriso era lo stesso: meravigliato, come incantato di fronte a un prodigio. "Sai, mentre dormivo c'era quella canzone, l'hai sentita anche tu, no? E io avevo l'impressione di non essere in macchina in mezzo al traffico, e che quella musica non venisse dall'autoradio ma da una finestra aperta, in una sera di luglio, sotto i portici: pensa, credo di avere anche ballato, nel dormiveglia. E poi ho sognato il Passo, ti ricordi, quella sera delle nuvole basse - e magari tu non te lo ricordi, o forse l'ho inventato io, ma a un certo punto un raggio di luce ha trafitto le nuvole, e allora io ho pensato: "Ecco il sole!", e non so più se l'ho pensato adesso, o allora, o tutt'e due le volte, però sono certa che mi sono detta: "Ecco il sole, ecco il sole, adesso andrà tutto bene, tutto bene ..." Lo fissò un attimo, in silenzio, poi: "E' andato tutto bene, no?", gli chiese, e scese dall'auto senza attendere risposta.

A casa, mentre riponeva le provviste di carne nel congelatore, all'improvviso Giulia abbandonò la spesa sul tavolo di cucina e corse da lui in salotto. "Pensa che strano", gli disse, interrompendolo nella sua tardiva lettura del giornale, "Oggi era il 30 di novembre. Il nostro anniversario. E nessuno dei due se n'è ricordato."

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June 2003

 

 

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