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Per l’immigrazione il 2010 è stato un anno all’insegna del numero 20. Dei vent’anni. Vent’anni dall’approvazione della prima disciplina organica sull’immigrazione (la legge Martelli, la n. 39/1990); vent’anni dal fondamentale documento del Ministero della Pubblica Istruzione sull’educazione interculturale (C.M. 205/1990); vent’anni dalle pioneristiche esperienze di mediazione linguistico-culturale realizzate in alcune grandi città del Nord ad opera dell’associazionismo migrante e italiano; vent’anni dalla prima edizione del Dossier Caritas/Migrantes; e vent’anni dalla pubblicazione dei primi libri di autori migranti scritti a quattro mani con un giornalista o scrittore italiano. Ovviamente, potrei e potreste anche voi continuare in questo elenco, ma credo possa bastare. Niente avviene casualmente, e questi “anniversari” ci fanno capire che in quel lontano 1990 vennero a maturazione alcuni processi importanti legati all’immigrazione. Di tipo normativo, sociale, pedagogico, letterario… Ci danno la misura del tempo trascorso; e ci sollecitano a fare bilanci e comparazioni.
Sono trascorsi venti anni, per quanto qui interessa, dalla pubblicazione dei primissimi libri per bambini e ragazzi che affrontano il tema dell’immigrazione. Per la precisione, sono passati 19 anni. Nel 1991, infatti, escono il volumetto “Io sono filippino” (Sinnos) di Vinicio Ongini, il primo testo della collana di libri bilingui “I Mappamondi” che tanto merito avrà nel promuovere le narrazioni autobiografiche dei migranti, e la La promessa di Hamadi (De Agostini scuola) di Saidou Moussa Ba, scritto a quattro mani con il giornalista Alessandro Micheletti. Sarà quest’ultimo testo ad inaugurare la stagione della letteratura della migrazione per ragazzi in Italia.
Ho recentemente ricostruito il cammino di questa produzione letteraria, assai poco considerata sia dalla critica sulla letteratura delle migrazione, sia dagli studiosi di letteratura per l’infanzia (v. “E Noi? Il posto degli scrittori migranti nella narrativa per ragazzi”, Sinnos, 2010). Una produzione ricca di voci soliste (oltre 50 ad oggi) e di testi narrativi (circa 150). Un panorama di autori che evidenzia una forte eterogeneità in termini di provenienza, lingua madre, cultura e poetica.
In questa sede vorrei soffermarmi su alcuni specifici aspetti di questa produzione, per evidenziare similitudini e differenze con quella, ben più conosciuta e riconosciuta, rivolta agli adulti. Vi propongo, dunque, alcune riflessioni rispetto a: diversità di ricezione, modalità di sviluppo e rapporto con le case editrici.
Mi sembra che si possano distinguere almeno tre fasi di sviluppo della produzione narrativa per ragazzi dei migranti.
In una prima fase essa presenta dei tratti ben definiti: due grandi ambiti tematici (di ispirazione autobiografica e fiabesca), con finalità prevalentemente didattiche, ristretta a poche e piccole case editrici “generaliste” (EMI, Africa’70-Vecchi…), cioè non specializzate nella produzione di testi per l’infanzia e l’adolescenza (con l’importante eccezione di Sinnos). Emerge così un’interessante differenziazione con la produzione letteraria dei migranti in prospettiva adulta: se quest’ultima, almeno inizialmente, è stata incentivata dall’annuale concorso Eks&Tra, le scritture migranti per ragazzi hanno trovato negli editori il loro principale “sollecitatore”. Ad alcune case editrici non sfuggì la necessità e l’importanza di proporre nuove narrazioni a carattere interculturale, più originali e intensamente vissute, considerando i bisogni degli educatori e degli operatori scolastici connessi alle trasformazioni che si stavano producendo nel paese e nella scuola per effetto delle migrazioni internazionali. Le storie personali e quelle provenienti da ogni angolo del mondo in pochi anni erano giunte a noi, portate dai migranti: bastava soltanto offrirgli una possibilità per disvelarsi.
Questi due generi letterari – racconto di testimonianza e fiabe e favole della tradizione – ricorrono in forma pressoché esclusiva negli scritti per ragazzi dei migranti fino alla fine degli anni Novanta: sono espressione di un bisogno immediato di raccontare e raccontarsi, di testimoniare la migrazione, di immergersi nelle tradizioni culturali del Paese di origine e gettare un ponte di conoscenza reciproca con la società di accoglienza. In genere si tratta di testi che nascono con una chiara finalità didattica e che trovano nella scuola l’interlocutrice privilegiata, ancorché non esclusiva. Questa prima produzione si caratterizza inoltre per essere prevalentemente “eterodiretta”, talvolta è presente un coautore oppure è orientata e sospinta dall’editore e dal curatore della collana che contribuiscono variamente a dar voce ai migranti.
L’avvio di una seconda fase è annunciata sul finire degli anni Novanta, con la pubblicazione dei libri di Georg Maag (Il misterioso viaggio nel Medioevo, Piccoli, Torino, 1997) e di Jarmila Ockayová (Appuntamento nel bosco, EL, Trieste, 1998). Essa lancia un duplice segno premonitore: l’interesse per queste scritture da parte di autori migranti già conosciuti nella letteratura ufficiale, come Ockayová, e l’accesso all’editoria specialistica per ragazzi. È tuttavia negli anni successivi, dall’inizio del Duemila, che questa nuova fase giunge a maturazione e si rafforza con l’uscita di libri importanti di Paul Bakolo Ngoi, Christiana de Caldas Brito, Pierre Hornain, Fabian Negrin: le loro opere ampliano il ventaglio di generi e temi affrontati; si emancipano finalmente da un’idea educativa-didascalica della letteratura per ragazzi e da un orizzonte rigidamente “interculturale” (nelle motivazioni e nella destinazione); propendono per una scrittura più ricca e accurata, complessa e artistica, una prosa scorrevole, dal ritmo veloce e incalzante; evidenziano uno sforzo di innovazione nello stile e nel linguaggio; sono pubblicate (anche) da prestigiose e raffinate case editrici per ragazzi e talvolta da alcuni grandi editori (orecchio acerbo, Editions Du Dromadaire, Coccole e Caccole, La Biblioteca Junior, EL, Fabbri.
È ancora significativa, ma in diminuzione rispetto al periodo precedente, la produzione di fiabe e favole (ora spesso in versione bilingue) e i racconti autobiografici sull’esperienza migratoria (con la citata collana di Sinnos): tuttavia, il panorama dei temi proposti si arricchisce con opere di finzione, che spesso affrontano temi importanti e “cari” a questa narrativa, quali l’incontro tra diversità che può generare conoscenza e riconoscimento, ma anche conflitto e lontananza; il cammino faticoso dell’integrazione di chi proviene da altri paesi e tradizioni culturali, fatto di sofferte ricomposizioni identitarie, mai banali e univoche; di storie capovolte che rivisitano e decostruiscono alcuni classici della tradizione letteraria popolare. Si tratta di cambiamenti importanti che riguardano le tematiche, le storie, la scrittura. Alcuni autori migranti già noti per aver pubblicato libri e racconti per adulti, si cimentano con buon esito nella letteratura per ragazzi, come le citate Ockayová e Caldas Brito, o come Clementina Sandra Ammendola. In questa fase emergono alcuni scrittori migranti per ragazzi che si dedicano esclusivamente, e con più prove, a questo ambito letterario.
Sul finire del 2006 si registrano alcuni segnali di attenzione alle scritture migranti per ragazzi, che portano all’avvio di una terza fase tuttora in corso: da una parte, la pubblicazione del Carro di pickipò (Ediesse), una raccolta di racconti per ragazzi scritti da autori migranti per adulti, promossa e co-curata da un attento studioso di letteratura della migrazione; dall’altra, la menzionata previsione nel concorso Eks&Tra (edizione 2007) con una sezione dedicata agli scritti per ragazzi. E ancora: vi sono le nuove prove narrative di Ngoi, Negrin, Asadi, Aziz, Hornain che confermano la presenza di un gruppo di autori appassionati alle scritture per ragazzi, e i convincenti esordi di Barbara Pumhösel e, più di recente, di Viorel Boldis e Alicia Baladan. Si evidenzia poi un ritorno alle pubblicazioni firmate a quattro mani, a quella co-autorialità che aveva caratterizzato la prima stagione della letteratura della migrazione, benché, ad uno sguardo più attento, la responsabilità della scrittura di tali opere è dell’autore italiano (si pensi ai molti libri scritti da Sofia Gallo, costruiti a partire dal racconto orale di alcuni migranti, pubblicati da Sinnos e EDT-Giralangolo di Torino, oppure ai libri di Antonella Ossorio e Adama Zoungrana, di Luigina Battistutta e Mor Sow).
La scarsa attenzione verso queste scritture ha certamente influenzato il cammino sopra rapidamente descritto. Alla narrativa migrante per ragazzi è mancato quel complesso diversificato patrimonio di risorse di cui la letteratura della migrazione per adulti ha potuto beneficiare e avvalersi nell’ultimo decennio, e che ha legittimato e “consacrato”, valorizzato, sostenuto, accompagnato, creato spazi ai giovani scrittori migranti, contribuendo a dare un canale di visibilità, una vetrina ai loro testi letterari, all’autoriconoscimento nei confronti della propria opera. I libri per ragazzi hanno trovato spazio e ascolto, pressoché esclusivo, nelle biblioteche pubbliche, nelle biblioteche per ragazzi e nelle scuole, dove l’autore – nel contempo mediatore, animatore, illustratore, musicista, artista poliedrico – è stato invitato a presentare il libro, a raccontare fiabe e favole della tradizione, a suonare e cantare storie della propria terra, a narrare la sua storia personale di migrazione. Insomma, a fare lo “straniero” e l’immigrato. E ciò è avvenuto con frequenza durante quella fase dell’intercultura buonista, caratterizzata da una curiosità, anche ingenua ed esotica verso lo straniero, spesso decontestualizzata: dove “le differenze, considerate in maniera astratta ed eterodefinita, sulla base di categorie e rappresentazioni, spesso folcloriche, erano al centro di incontri, narrazioni, racconti autobiografici… in uno spazio relazionale bonificato e avulso dai contesti reali” (G. Favaro).
Ma non tutto viene per nuocere, si potrebbe dire. Lontano dai riflettori, il cammino di queste scritture si è potuto dispiegare libero da condizionamenti e da troppe attenzioni. Con i suoi pro e i suoi contro. È questa, in definitiva, un po’ tutta la storia della letteratura per l’infanzia, sviluppatasi parallelamente e all’ombra della letteratura ufficiale, quella per adulti.
Forse da qui potremmo partire per spiegare perché, da una lato, sono relativamente pochi gli scrittori migranti per ragazzi (soprattutto quelli che hanno battuto questa via con più prove narrative) e perché, dall’altro, gli studiosi (soprattutto quelli di letteratura della migrazione) hanno dato poca attenzione a queste scritture.
In primo luogo, chi migra e trova nella scrittura uno strumento di rielaborazione del proprio vissuto, una forma di “terapia” per superare lo strappo psicologico ed esistenziale della migrazione e un percorso di maturazione e crescita interiore, tende più a rivolgersi e a ricercare il dialogo con un interlocutore adulto, “autoctono”. L’atto del “prendere parola” che gli scrittori della migrazione compiono impadronendosi della nuova lingua trova per forza delle cose nel lettore adulto il destinatario di riferimento. In secondo luogo, lo stigma di letteratura inferiore che grava ancora, nonostante i tanti passi in avanti, sulla letteratura per l’infanzia, non è elemento che incoraggia ad assumere la “sfida” di una produzione narrativa innovativa per ragazzi. Anche per questo meritano tutta la nostra attenzione coloro che nel tempo hanno perseguito con più prove letterarie la via della narrativa per ragazzi: scrivere per bambini e ragazzi richiede predisposizione, intenzionalità e competenze da costruire nel tempo; “lo scrittore per bambini deve essere uno scrittore competente… che non solo sa fare uso consapevole dei suoi mezzi espressivi ma anche riesce a cogliere sempre la percezione del bambino che legge…” (F. Trequandini).
Inoltre, le istanze di mediazione didattica e gli intenti scolastici e pedagogici (in chiave interculturale) di parte delle opere letterarie per bambini e ragazzi uscite dalla penna degli scrittori migranti e volute dai loro editori – soprattutto nella prima fase della produzione di queste scritture –, se da un lato le hanno rese più appetibili al mondo della scuola, dall’altro sono apparse “poco interessanti” e spendibili sul piano letterario. Insomma, lo scrittore migrante per ragazzi, a differenza di quello per adulti, è stato chiamato a rispondere più sul piano dell’educazione e della promozione dell’interculturalità, che su quello della letteratura.
Nonostante la scarsa attenzione prestata a queste scritture, la letteratura della migrazione per ragazzi sembra avere molto in comune con quella in prospettiva adulta: alcuni autori, certe tematiche, uno sguardo tutto particolare alle storie. Una polifonia di voci variegate ed eterogenee per storie personali, sensibilità, stili e registri linguistici, che rifuggono da facili accostamenti. Benché la poetica migrante – con i suoi aspetti di “stranierità”, disorientamento e inquietudine verso se stessi – sia rintracciabile in gran parte di questi autori e nei loro scritti, essa trova forme di espressione e gradazioni anche molto diverse da autore ad autore, fino a divenire, in alcuni di essi, una delle molteplici componenti del proprio immaginario letterario, e talvolta neppure quella più significativa.
Anche gli scrittori migranti per ragazzi evidenziano percorsi letterari molto differenziati, per contenuti e forme. E così in Italia, come già emerge in altri Paesi, i narratori della diaspora stanno cercando nuove vie, in modo da uscire dalle solite storie di spaesamenti e di conflitto tra generazioni e appartenenze. Emancipandosi dai temi e dalle motivazioni “classiche”, questa letteratura si sta avviando verso una nuova fase, più aperta e libera da etichette e confinamenti. Il cambiamento è nell’aria: e questa non è una previsione. Converrà affinare e aggiornare gli strumenti di analisi.