Nota biografica | Versione lettura |
Piero Colaprico, nel suo Manuale di sopravvivenza per immigrati clandestini, racconta la vita e i mille stratagemmi che l’immigrato rumeno Joan Lovinescu deve adottare per sopravvivere da clandestino a Milano.
Il manuale del clandestino
Nel libro di Colaprico la storia del clandestino Joan Lovinescu viene raccontata da Aurelio Panebianco, un poliziotto temporaneamente sospeso dal servizio in attesa di una sentenza. Egli, infatti, è sceso a patti con un boss di una cosca mafiosa: garantendogli il passaggio di qualche carico di cocaina, ha ricevuto in cambio alcune informazioni preziose su una banda di rapinatori. Dopo la sospensione Aurelio cerca di trovare un nuovo lavoro: «Per qualche giorno sono stato per conto mio, ma riflettere non è il mio pane, il mio pane è agire. Mi sono dato da fare per cercare un lavoro saltuario, per mantenere la mia dignità, e ho chiesto aiuto in giro: niente, nessuno si è sprecato, ho protestato con qualche amico che mi aspettavo di più da lui, ma molti ex colleghi mi hanno guardato con facce che non capisco»1. Alla fine Aurelio decide di andare dall’ex questore Masapollo: «Alla fine sono andato con il cappello in mano da Masapollo, l’ex questore ed ex prefetto, ex un sacco di cose, che mi stava molto antipatico. Ma so che è uno con le mani in pasta dovunque. I suoi occhi da husky bastardo parlano per lui, ma il pane è pane, e devo portarlo a casa insieme con il companatico. Per guardare in faccia i miei figli»2. Masapollo gli affida diversi pedinamenti di persone, finchè un giorno gli chiede di conoscere «vita, pensieri e parole di questo Joan Lovinescu»3. Così Aurelio inizia a pedinare questo immigrato clandestino, la cui vita sembra essere scandita da un’estrema puntualità e regolarità. Masapollo fornisce istruzioni precise ad Aurelio su come devono essere i resoconti che gli deve far avere: «Me lo scrivi come se fosse un diario, come se lo stesso Joan Lovinescu mi raccontasse la sua giornata, la sua vita, i suoi sogni. Ecco, voglio una specie di manuale del clandestino. In quale alloggio vive, chi vede, come trascorre la giornata, se ha una moglie anche lui come voi poveri sciagurati, o se è pieno di donne come me. Se ha paura di qualcosa o di qualcuno, tutto, tutto voglio sapere»5. Dalle disposizioni fornite da Masapollo ad Aurelio nasce l’idea di redigere un vero e proprio “manuale del clandestino”, nel quale siano raccolte tutte le informazioni necessarie su come sopravvivere da clandestini a Milano.
Seguendo le istruzioni di Masapollo, Aurelio si mette subito al lavoro, pedinando e intercettando Joan Lovinescu, per scoprire come e dove vive.
Aurelio Panebianco e Joan Lovinescu: due esistenze parallele
All’inizio di questo suo nuovo lavoro Aurelio è abbastanza diffidente nei confronti dell’uomo che deve pedinare: «Entro nei panni di Joan Lovinescu. Nei panni non stirati di un signore – signore… che si aggira per Milano. Anche se non capisco dove andrà a parare, io continuerò a stargli dietro. A trascurare moglie e figli, a saltare gli appuntamenti dall’avvocato. Ma conterò i peli di questo soggetto»5. Aurelio sa bene che un pedinamento richiede molta pazienza e inevitabilmente dovrà sottrarre del tempo ai suoi affetti, alla moglie e ai figli. Inoltre pedinare questo soggetto lo stanca particolarmente, perché la vita di Joan apparentemente è molto regolare e non presenta dei fatti o degli incontri di particolare rilevanza: «Il fatto è che adesso anch’io sono stanco. Pedinare stanca. Ci si stanca di meno a pedinare i mafiosi. Quelli si spostano come saette. Quando viaggiano in auto, il passeggero tiene l’occhio fisso sullo specchietto retrovisore. Se invece camminano si pedinano tra loro per scoprire le presenze estranee. Sono furbi e ti tengono sui carboni accesi. Mentre è terribile stare alle calcagna di qualcuno che si sposta così poco e ha la testa tra le nuvole. Uno così mi deconcentra»6. Aurelio sta trascorrendo un periodo della sua vita molto complesso: la sospensione dal lavoro che tanto amava, i frequenti litigi con la moglie che ha scoperto la sua relazione con una sua collega, un’ispettrice della sezione Omicidi. Sembra quasi che stanco della vita, che non gli riserva più delle soddisfazioni, egli progressivamente cerchi di immedesimarsi sempre di più in quella di Joan. Tutti i report che egli invia al suo capo iniziano con la formula “Mi chiamo Joan Lovinescu e…”. Sembra quasi che insoddisfatto della sua esistenza, Aurelio cerchi di fare propria quella di Joan, l’uomo che gli è stato chiesto di pedinare. Il pedinatore si immedesima nella vita del pedinato. Aurelio riflette sul pedinamento che gli è stato commissionato: «Forse sono in uno di quei periodi in cui niente di quello che faccio sembra funzionare. Ma combatterò sino alla fine, perché devo poter guardare in faccia i miei figli e i colleghi, perché non devo essere io ad abbassare lo sguardo per primo. Io devo concentrarmi solo su questo. Mia moglie mi vuole parlare, visto che qualcuno le ha soffiato il nome della mia amante. Angelica mi vuole parlare. Ma io con chi voglio parlare? Voglio davvero parlare? O pedinare quest’uomo che parla poco ma ascolta sempre è quasi un segno del destino?»7.
Nell’ultima parte del suo lavoro, Aurelio si fa aiutare da una sua amica, un’assistente sociale con la quale ha collaborato in passato. Lei accetta di incontrare Joan e di fargli alcune domande sulla sua storia.
Dopo aver consegnato tutti i resoconti del pedinamento di Joan, Aurelio non riesce però ad abituarsi all’idea di aver finito quel lavoro e quasi per abitudine, decide di continuare ad osservarlo: «Anche se il mio lavoro è praticamente finito, vado a guardare che cosa fa Joan. Mi sono abituato a lui, è tranquillo stare a guardare un altro, e la sua vita, mentre scorre la mia, è come stare sul bordo di un fiume, guardare le trote che vanno a valle, i rami che salutano, un sassolino che rotola»8.
L’autobiografia del clandestino
Mentre Aurelio stava pedinando Joan, la sua vita gli scorreva via tra le mani: aveva ormai perso il suo lavoro, sua moglie e in parte anche l’affetto dei suoi figli. Egli considera la vita come «quella strana cosa che passa – e finisce – mentre sei impegnato a fare altro»9. Mentre Aurelio è occupato a seguire e intercettare Joan, la sua vita sta scorrendo inesorabilmente.
Dopo aver concluso la sua indagine, l’assistente sociale chiede ad Aurelio per quale motivo gli è stato chiesto di pedinare questo immigrato rumeno. Gli piacerebbe sapere lui da che parte sta, se vorrebbe aiutarlo o semplicemente scoprire se compie o abbia compiuto qualche azione illegale. Aurelio non sa bene che cosa risponderle. Solo alla fine di questa avventura scoprirà il vero motivo per cui gli è stato chiesto di pedinare quest’uomo. Non sa dire da che parte sta, perché la sua esistenza ormai sembra essere priva di ogni senso e paradossalmente l’unica speranza che gli è rimasta è quella di pedinare Joan, magari anche di avvicinarlo qualche volta e di scambiare qualche parola con lui: «Da che parte sto? Una parte del mondo ce l’avevo. Sapevo da che parte stare, ma me l’hanno tolta. Mi tengono in sospeso, come se attendere un giudizio penale fosse sopportabile come attendere di bere una tazzina di caffè. Certo, io non mi accontentavo, volevo sempre di più e ho giocato senza regole, per vincere. Non ho ancora perso. Non voglio dire che ho sbagliato. Volevo anch’io imitare quelli che camminano nel fango senza sporcarsi, quelli che vincono. Invece mi sono sporcato e sono caduto»10.
Alla fine della sua indagine, Aurelio decide di conoscere di persona Joan, di andare nel campo dove vive e di fare amicizia con lui. Nel corso dei suoi pedinamenti, aveva notato che il rumeno dedicava parte delle sue giornate a fare delle strane ricerche nell’area vicina alla sua “barachina” con un rudimentale metal detector e decide allora di aiutarlo in queste sue indagini. Le ultime due lezioni del Manuale vengono introdotte, come di consueto, dalla formula “Mi chiamo Joan Love e…”, ma a scrivere le sue riflessioni non è più Aurelio, ma direttamente Joan11. Così l’immigrato rumeno descrive colui che lo pedinava: «Lo chiamo il cowboy perché la prima volta che l’ho visto aveva un cappello marrone, dice che si chiama Borsalino, che è un cappello elegante, ma lui non è un uomo elegante, è un uomo che mi sembra curioso di tutto. Uno che ha tempo libero. Mi fa un sacco di domande. Dice che lavorava, ma poi è andato in pensione giovane e anche se ha pochi soldi non deve mai guardare l’orologio. Sarà, non so se credergli, ma mi va di fidarmi di lui»12.
Joan e Aurelio, il pedinato e il pedinatore ormai si frequentano come due buoni amici. Le loro esistenze sono trascorse per un certo periodo una di fianco all’altra, come due rette parallele e ora si sono incontrate e hanno stretto un legame di amicizia.
All’inizio della sua indagine, Aurelio struttura i propri report sull’immigrato rumeno, come dei capitoli di un vero e proprio manuale per immigrati clandestini. L’opera di Colaprico, infatti, si divide in Lezioni, e in ciascuna di esse si forniscono alcuni suggerimenti su come affrontare le molteplici difficoltà quotidiane di un clandestino: dove sbarbarsi, fare pipì o ricaricare il telefonino. Dove si può mangiare gratuitamente, dove dormire, come si fa a chiedere l’elemosina o a procurarsi un lavoro. Dove andare per farsi visitare se si sta male. Attraverso il pedinamento di Joan, Aurelio scopre i mille stratagemmi che bisogna adottare per far fronte alle molte difficoltà quotidiane di un clandestino. Ma attraverso questo percorso, Aurelio scopre anche che in realtà Joan non è una componente di quella «marea di questa umanità» che «si chiama sottosviluppo»13, oppure uno di quegli uomini spenti «come televisori senza cavo»14, ma è prima di tutto una persona. Anche Joan ha una sua personalità, dei sogni, delle aspettative esattamente come Aurelio. Come tutti.
Aurelio ha così capito che non bisogna discriminare Joan, semplicemente perché “diverso”, perché vive in una baracca sporca a Sesto San Giovanni. Così sintetizza questa esperienza Aurelio: «Ecco, ho pedinato anch’io, ho raccolto i pezzi, ho confezionato “lezioni” e “analisi”, ho corretto, ho domandato, ho investigato cercando sempre di avere un pensiero per gli altri. E così, senza volerlo, alcune cose sono cambiate per sempre anche nella mia vita»15.
Da quando Aurelio ha subito questo profondo sconvolgimento, non solo cambia la sua vita e il suo modo di considerare gli stranieri, ma si modificano anche i resoconti delle sue inchieste. Non più sterili capitoli di un manuale, ma indagini sul sentire profondo di Joan, che trovano il loro culmine nelle pagine dove è lo stesso immigrato rumeno a prendere la parola e a comporre la sua autobiografia.
Il libro di Colaprico non può essere definito solo come un semplice manuale con informazioni utili, ma come una vera e propria indagine nella vita di un clandestino. Fino a scoprire che è una sola la natura che genera gli uomini, siano essi normali cittadini, immigrati o clandestini. Come scriveva anche S. Ambrogio: «Non è forse fratello colui che, per dir così, è stato dato alla luce dal grembo della natura razionale ed è unito a noi per la generazione della stessa madre? Infatti una medesima natura è madre di tutti gli uomini, e perciò siamo tutti fratelli generati da un’unica e medesima madre, legati da un medesimo vincolo di parentela»16.
1 P. COLAPRICO, Manuale di sopravvivenza per immigrati clandestini, Milano, Rizzoli, 2007, p. 87
2 IB., p. 87.
3 IB., p. 88.
4 IB., p. 10
5 IB., p. 13.
6 IB., pp. 20-21.
7 IB., p. 88.
8 IB., p. 139.
9 IB., p. 23.
10 IB., pp. 132-33.
11 IB., pp. 140-41 (lezione n° 13), 142-52 (lezione n° 14).
12 IB., pp. 140-41
13 IB., p. 20.
14 IB., p. 49.
15 IB., p. 8.
16 S. AMBROGIO, Trattato su Noè, 26, 94.