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intervista a tanella boni

kossi komla ebri

Tanella Boni, cosa pensi di quest’affermazione del tuo collega Kossi Efoui(1): “la letteratura africana non esiste”?

Mi Sembra che, venendo dall’Africa, come scrittori esistiamo. Scriviamo dei testi, i nostri testi, che esistono, e ho paura che anche noi esistiamo con i nostri testi e tramite i nostri testi. È vero che veniamo da un continente, e che possiamo vivere in questo continente o fuori da questo continente. Mi sembra che questo continente stesso esiste e continua di vivere nonostante le disgrazie, nonostante le guerre e tutto quello che se ne può dire. L’Africa è un continente che esiste. Esiste per le sue donne, i suoi uomini e i suoi figli, e per me questo è molto importante. Quindi, l’Africa esiste per quelli che ci vivono e per quelli che vivono fuori, perché ce ne sono molti che vivono fuori dall’Africa. E quelli che prendono la penna per scrivere esistono anche loro. Ovviamente possono avere immaginari molto diversi rispetto alle loro traiettorie, studi, storie personali. Questo non è una cattiva cosa, anzi è un arricchimento, e dà senz’altro una letteratura plurale, che esiste anche questa. Io penso che in questo modo l’Africa esiste e la sua letteratura esiste.

Qual è il ruolo dello scrittore nella società in generale, e in particolare nella società africana?

Mi sembra che per molto tempo (nell’Africa tradizionale) non abbiamo avuto scrittori che abbiano preso la penna per scrivere in tale o tale lingua, ma delle persone che assumevano questo ruolo. Le persone che raccontavano le storie. Potrei chiamarli “i custodi della memoria”, e questi avevano un ruolo molto importante da sempre in Africa e credo in tutte le società. C’erano anche delle donne che insegnavano le storie familiari ai bambini, e penso che tutte queste persone svolgessero un ruolo di educatori prima che quelli che sono andati a scuola prendessero la penna per diventare degli scrittori. E a partire da questo momento, è vero, questi scrittori hanno cercato il loro posto nella società, e oggi anche se può sembrare paradossale, questo posto non è acquisito, perché ho l’impressione che lo scrittore nelle nostre società odierne cerchi ancora il suo posto. Per la ragione che talvolta non è riconosciuto come scrittore, ma piuttosto come un “agitatore di opinioni”, e in quel caso non è uno scrittore come tale. Lo scrittore esiste e deve essere riconosciuto per i libri che scrive, ma gli si vuole spesso fare esercitare un ruolo di attivista, di agitatore di opinioni, mentre lui ha tutti i problemi del mondo per fare pubblicare i suoi libri. Mi sembra che tocchi a noi raddrizzare questo ruolo. Dobbiamo “creare” come diceva Césaire, bisogna creare: è questo il nostro ruolo. Dobbiamo scrivere e poi, soltanto dopo, andare sulla piazza pubblica per dire: ecco quello che ho scritto, ecco quello che penso di questo o questo problema. Credo che non si debba mettere il carro davanti ai buoi e mettere agitazione, occupare la piazza pubblica senza aver scritto una riga. Credo che noi, come scrittori africani, dobbiamo pesare il peso dei nostri scritti.

Tanella, tu scrivi in francese. Per te l’uso della lingua francese è un limite oppure una potenzialità? Ti chiedo anche se avresti potuto usare la tua lingua materna per scrivere.

A proposito di lingua materna, devo dire che sono nata in mezzo a più lingue, come tanta gente. Quando sono nata, intorno a me ho sentito tante lingue. Ce n’è una oggi che non ricordo in quale momento ho imparato, perché posso dire che non è la mia lingua materna. È una lingua che mi sono trovata così attorno, perché c’era gente che la parlava e mi ci sono bagnata. Ci si bagna in una lingua. Io mi sono bagnata in tante lingue, e bisogna tener conto del fatto che vengo dalla Costa d’Avorio, dove il problema delle lingue è anche un problema politico. Questo problema politico non è stato risolto né prima della mia nascita né dopo, e quindi posso dire che non ho imparato a scrivere né in quella che posso chiamare la mia lingua materna né in tutte le altre lingue nelle quali mi sono bagnata. Quando ho imparato a parlare e scrivere, ho scritto direttamente in lingua francese, e quando sono diventata scrittrice ho continuato a scrivere in lingua francese. Ogni tanto ci sono delle cose che trovo nella memoria personale e che possono venire da molto lontano, dalla memoria collettiva di tutte le culture che ho in me, e allora le faccio transitare, da tutte quelle lingue e culture le faccio passare nella lingua francese. Certo, possono dare tutt’altre cose nella lingua francese, ma penso che sia un arricchimento e non un freno. Mi sembra di averlo detto nel mio romanzo Matins de couvre feu: “…Non me ne frega niente…– è uno dei personaggi che parla, e riprendo questo parole per conto mio – non me ne frega niente di questa carenza di sapore!” perché molti dicono che quando scriviamo in francese non troviamo le parole. Certo, è vero, non le troviamo, ma se non troviamo le parole giuste credo che ne troviamo comunque altre al loro posto. Possono essere parole zoppicanti, può essere una grammatica scorticata, può essere un’ortografia scorretta, ma credo che bisogna assumersi la responsabilità. È io ho veramente voglia di assumermela, e scrivo come l’intendo un francese che può non essere il francese accademico. Basta che il fatto di potermi esprimere in francese non mi impedisca di andare avanti e di continuare a scrivere.

Tanella, hai parlato prima del tuo romanzo Matins de couvre feu (Mattini di coprifuoco) che è stato pubblicato dalle edizioni Le Serpent à Plumes, e hai parlato della Costa d’Avorio. È la Costa d’Avorio il tema principale di questo romanzo?

Sai che non siamo mai i migliori lettori delle nostre opere. Forse ne è il tema principale, o forse no. Nella misura in cui è anche una storia di solitudine, di molte solitudini, solitudine di donne, di tante personaggi femminili che cercano di aiutarsi l’uno con l’altro. È la storia di una donna, di una madre che chiamo “la madre buona”, delle sue relazioni col marito. È un tema che affronto spesso, quello cioè delle relazioni fra uomo e donna, perché penso che sia la vita, e la vita non è sempre rosa, e ne parlo spesso nei miei romanzi; ma allo stesso tempo non dimentico l’ambiente, è molto importante e spesso non devo andare cercare molto lontano i personaggi che metto in scena: possono essere i vicini, possono essere nella famiglia, dei colleghi, della gente che conosco e impresto loro un viso nei miei testi. Possono essere dei caratteri che prendo in prestito a persone che conosco, metto insieme questi caratteri per fare un personaggio. In questo caso particolare è vero che c’è un fondo che ho preso in prestito da una realtà, che esiste attorno a me, che esiste in un paese che si chiama Costa d’Avorio. Come il titolo lascia supporre, si tratta di un paese in cui c’è stato un coprifuoco, e come tutti sanno in Costa d’Avorio c’è stato un coprifuoco, c’è questa guerra che è sempre d’attualità, ma non dimentico che nel mio libro questo paese si chiama Zamba, quindi Zamba può essere certo la Costa d’Avorio ma può anche non esserlo, può essere qualunque paese dell’Africa, perché è questa la magia del romanzo. Si può partire da una certa realtà e mostrare che questa realtà infatti può ritrovarsi qui o là, perché questa realtà può suggerire altre prospettive una volta che passa alla stadio della finzione. Di sicuro si sa che si tratta di un problema reale, e questo problema reale non appartiene ad un solo paese. Non posso dire di aver parlato della Costa d’Avorio. Ho parlato di un tale paese e ho messo in scena un universo, un universo di finzione, di romanzo, che mi serve per esprimermi su un certo numero di problemi che mi stanno a cuore. E ciò che mi sta più a cuore oggi, più di tutto, è la difesa, e l’illustrazione della vita. Per me questo è l’importante. Non mi interessa di dover difendere la guerra, qualunque ne siano le ragioni. Per me non esistono guerre giuste. Nel mio intendimento ciò non esiste. Difendo la vita, difendo l’amore e le relazioni fra gli umani. Ecco il mio problema. Ecco quanto cerco di scrivere.

Nel tuo romanzo, e nei tuoi romanzi in generale, abbordi sempre il tema della donna e del suo ruolo nella società. Qual è secondo te il futuro, la possibilità di emancipazione, il ruolo della donna africana di oggi?

Credo che qualunque sia, i paesi africani in cui le donne vivono assegnano loro un certi ruoli, che continuano ad assumere. Prima di tutto il ruolo di sposa e di madre. È il primo. Una donna è sposa, e finché non diventa madre è un po’ come se fosse incompleta, come se non fosse un essere umano intero, completo. A questo proposito, ho fatto una mia piccola inchiesta nella maggior parte delle società africane e ho notato che le madri, anche se hanno diversi nomi, una volta che fanno figli vengono chiamate con il nome di uno o una dei figli, per esempio “madre di un tale”. Come se fosse il bambino a mettere al mondo la madre, che soltanto quando una donna è madre diventi un essere completo. E questo dice tutto. Credo che oggi e domani dobbiamo superare questo stadio. Per questa ragione ognuno di noi deve pensare ad altri ruoli possibili, assumere dei ruoli politici, ruoli sociali – che già stiamo assumendo – ma bisogna che questi ruoli vengano accettati. È vero che ci addossiamo già un certo numero di ruoli ma la questione che mi pongo è se questi ruoli, che non sono tradizionali, siano sempre accolti. Non è sempre il caso. E per questo direi che dobbiamo armarci di pazienza, direi che bisogna resistere per mostrare che la donna non è soltanto madre, non è soltanto donna perché femmina, ma che può essere qualche cosa d’altro, può essere artista, scrittrice… può fare tutto quello che vuole fare. L’importante è che sia libera, libera nella sua testa, libera nel suo corpo, che ci si senta bene e che soprattutto possa essere considerata interamente come un essere umano.

Siamo qui ospiti a Durban, in un paese in fermento, con grandissimi potenzialità, che sembra rivendicare una certa leadership sull’Africa. Secondo te, il Sudafrica può essere un modello di sviluppo per il futuro dell’Africa?

Difficile da dire. Ammetto che non conosco sufficientemente il Sudafrica. Sono stata già a Città del Capo, a Johannesburg, e è la prima volta che vengo a Durban. È vero, il Sudafrica è diverso del resto dell’Africa. Da quello che mi è stato dato di vedere e di visitare, il modo di vestire è diverso, il modo di abitare è diverso, credo che anche il modo di pensare sia diverso. Infatti è un’altra Africa. È questo il modello per l’Africa? Credo che dobbiamo porci la domanda. Mi sembra che ogni paese africano forse debba inventarsi il proprio modello. Non saprei davvero dare una risposta esauriente a questa domanda, perché bisogna che ne sappia di più sul Sudafrica per poterlo considerare come un modello. Tuttavia, c’è una cosa che noto, e che al mio parere è una cosa positiva – è che dal 1994, si vede, ed è vero che è attraverso la storia che è cambiato così – che il Sudafrica è diventato realmente una società multirazziale e da questo punto di vista il fatto che diverse razze, religioni e tutto il resto riescono a convivere è una buona cosa, e da questo punto di vista il Sudafrica può essere un modello per evitare le violenze che vediamo altrove, per evitare le guerre e le discriminazioni di ogni genere che purtroppo abbondano sul nostro continente.

Grazie Tanella Boni!

Intervista realizzata a Durban durante il Convegno “Time Of the Writer”, nell’aprile del 2005

*Tannella Suzanna Boni, professore di filosofia all’Università di Abidjan, è una romanziera e poetessa della Costa d’Avorio. Dal 1991 a 1997 è stata presidente dell'associazione degli scrittori della Costa d’Avorio e ha organizzato il Festival internazionale di poesia di Abidjan. Il suo terzo romanzo, Matins de couvre-feu, nell’ambito del Salone africano del libro di Ginevra del 2005 ha ricevuto il secondo premio “Ahmadou Kourouma” e la “Literatur Förder preis”. È autrice di numerosi raccolte di poesie, di romanzi, di novelle e anche di libri per bambini. Matins de couvre-feu narra di una giovane donna costretta a risiedere nove mesi in Costa d'Avorio e il racconto è metafora della crisi che scuote questo paese, la cui popolazione è presa in ostaggio dalle parti in conflitto.

Bibliografia

* Labyrinthe (poesie), edizioni Akpagnon, Lomé 1984
* Une vie de crabe (romanzo), Nouvelles Editions Africaines du Sénégal, Dakar 1990
* De l'autre côté du soleil ( racconto per bambini ), NEA-EDICEF, Parigi 1991
* La fugue d'Ozone (racconto per bambini), NEA-EDICEF, Parigi 1992
* Grains de sable (poesie), Le bruit des autres, Limoges 1993
* Il n'y a pas de parole heureuse (poesie), Le bruit des autres, Limoges 1997
* L'atelier des génies (racconto per bambini) Acoria, Parigi 2001
* Les baigneurs du Lac rose (romanzo), edizioni Nouvelles Ivoiriennes, Abidjan 1995 ; riedizione Le serpent à plumes, Parigi 2002
* Chaque jour l'espérance (poesie) , L'Harmatttan, Parigi 2002
* Ma peau est fenêtre d'avenir (poesie), Rumeur des Ages, La Rochelle 2004
* Gorée île baobab (poesie), Le bruit des autres, Limoges/Ecrits des forges, Trois-Rivières (Québec) 2004
* Matins de couvre-feu (romanzo), Le serpent à plumes , Parigi, 2005
* Les nègres n'iront jamais au paradis (romanzo), Editions du Rocher, Le serpent à plumes , Parigi 2006
* Dernières nouvelles du colonialisme ( antologia collettiva ), Vents d'ailleurs, Paris 2006

(1) Nel 2001, il drammaturgo togolese Kossi Efoui, uno dei più dotati degli scrittori del nuovo vivaio letterario, fece scandalo al festival “Etonnants voyageurs”, a Bamako, affermando che « la letteratura africana non esiste». E aggiungeva: « Lo scrittore africano non è un salariato del ministero del turismo, egli non ha la missione di esprimere l’anima autentica africana. » (Jean-Luc Douin, « Ecrivains d’Afrique en liberté », Le Monde, 22 mars 2002)

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Anno 3, Numero 13
September 2006

 

 

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