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il mio arrivo in italia

xin ru shi

Il viaggio
L'Italia è una nazione che ha città moderne. Ora è anche la mia futura nazione. Comincio questa storia col dirvi che i bambini sono sempre così facili da imbrogliare... I miei genitori mi hanno proposto di venire in Italia già quando avevo otto anni. Ma io sono così testarda che non volevo venire, a qualsiasi costo. Ma neanche far cambiare idea ai miei genitori era semplice. Loro insistevano sul mio futuro: mi dicevano che venire in Italia sarebbe stato vantaggioso per me, perché se uno studia all'estero, può trovare facilmente lavoro, e tutti lo guarderanno con invidia.

Ero testarda e non mi lasciavo convincere, però dopo due anni ho cambiato idea. A farmi cambiare idea è stata una visita a Shang Hai. Io abitavo in una piccola cittadina, e i miei mi avevano raccontato tante volte dei grattacieli altissimi delle grandi città. Quando siamo andati a Shang Hai ero davvero contenta, perché potevo vedere i grattacieli che mi piacciono tanto. Apparentemente i miei mi ci avevano portato per divertirmi, ma io sapevo che eravamo lì per richiedere i documenti per venire in Italia.

Shang Hai è una delle città cinesi più grandi, con tanti bei grattacieli con diversi ascensori meravigliosi: questi rappresentano per me un fascino irresistibile. I miei genitori, furbamente, si approfittavano di questo mio punto debole e mi ripetevano, per l'ennesima volta, che l'Italia sarebbe stata dieci e più volte più bella di Shang Hai. E così, povera me, mi sono fatta convincere. Qualche giorno dopo mi sono pentita della mia decisione, perché non volevo lasciare tutte le persone più care, però era ormai troppo tardi. La parola detta è come l'aereo partito, non può più tornare indietro. E così ero partita con mia mamma e mio fratello maggiore. Mio padre ci aspettava in Italia, dove si trovava da tre anni.

Era la prima volta che prendevo l'aereo, ma non era così bello come avevo sempre immaginato. Non ho avuto il tempo di salutare le nuvole che mi stavano dicendo addio, non ho avuto il tempo di salutare il paesaggio della mia patria per l'ultima volta, perché appena salita sull'aereo, non riuscivo a respirare. Soffro infatti di mal d'aereo e, per fortuna, la medicina, che avevo preso mezzora prima di imbarcarmi, cominciava a fare effetto: mi era venuto sonno. Il viaggio, però, era molto più lungo di quanto pensavo, e non essendo dormigliona come mio fratello (che riusciva a dormire anche tutto il giorno), mi sono svegliata dopo poche ore. Il mio posto era accanto al finestrino, e così grazie al fatto che stavo meglio, ho potuto apprezzare il paesaggio che vedevo fuori da quel "ferro volante" insopportabile.

Era buio, c'erano solo delle nuvole scure, sia al di sopra che al di sotto dell'aereo. Dietro a questo buio sembrava che ci fosse qualcos'altro, ma non sapevo cosa. Anche il mio umore d'allora era "buio": ero triste. Infatti sentivo il futuro coperto dal buio. Ma ci sarà qualcosa di diverso dietro questo buio?, pensavo. Felicità? Depressione? Boh! Chi lo sapeva. Per passare il tempo e trascorrere bene i minuti in cui non stavo male, ho lasciato perdere questo problema, che alla fine non aveva molta importanza per una ragazzina di dieci anni. Mi incuriosiva il fatto che il cielo era sempre buio e non veniva mai la luce. Infatti, eravamo partiti che si stava facendo l'alba, ma ora che erano passate un paio d'ore, come mai era ancora buio? Ah sì! Mi sembrava di aver capito. Siccome eravamo in cielo, la luce del sole non riusciva a raggiungerci. Nella mia testa si mescolavano le favole che avevo letto con quello che vedevo fuori dal finestrino. A quel tempo non sapevo niente di fusi orari, quindi non sapevo che fra la Cina e l'Italia c'è una differenza di sei ore. I miei pensieri, però, sono stati interrotti da un profumino di cibo che non avevo mia sentito, ma molto buono.

Era ora di pranzare. Dal profumo potevo immaginarmi il sapore del pasto, ma dopo il primo assaggio sono rimasta delusa e ho preferito mangiare gli spuntini che avevo portato io: le patatine cinesi ai gamberetti (le mie preferite), ali e zampe di pollo essiccate, carne di maiale essiccata dolce. Il resto del viaggio l'ho trascorso con un po' di nausea e in uno stato di dormiveglia. Ma il vero malessere è stato all'atterraggio. Sentivo il cuore che batteva molto forte e veloce, assieme a una paura strana, come se stesse precipitando anche il mio cuore insieme all'aereo; e la cosa più sgradevole di tutte era il male alle orecchie: le sentivo come penetrate da un filo molto sottile ma molto incisivo. Il dolore era talmente forte che non riuscivo a sentire niente.

La casa
All'aeroporto è venuto a prenderci il mio papà assieme a un suo amico. Io ero contenta di aver terminato questo orrendo viaggio e avevo appena iniziato a riprendermi, quando una frase di mio padre mi ha fatto di nuovo agitare: ha detto che per arrivare alla nostra casa bisognava prendere la macchina. Povera me, che non soffrivo solo del mal d'aereo, ma di quasi tutti i mezzi di trasporto, se si escludono le moto e le biciclette. Mi sono rifiutata di salire in macchina e cercavo di convincerli a andare a piedi, ma il risultato potete immaginare quale fu.
Finalmente siamo arrivati davanti a un portone enorme. Appena scesa dalla macchina, non ce la facevo più a stare in piedi, perché ero esaurita da dodici ore di aereo e mezzora di macchina. Ho cominciato a vomitare, ma dalla bocca non usciva niente.
Mio papà mi ha accompagnato sù, nella nostra casa. Appena entrata, la casa mi ha dato subito un sentimento fastidioso, persino odioso. Mi sono pentita per la centunesima volta di essere venuta in Italia. Che stupida che sono stata, ho pensato, perché ho lasciato una casa così bella, comoda e soprattutto familiare per venire in questa casa, scomoda, sconosciuta e dalle pareti scrostate? Ma non c'era più la possibilità di tornare indietro.

Le prime notti nella mia nuova casa sono state molto difficili. Ero stanchissima a causa della differenza del fuso orario, ma non riuscivo a dormire perché mi mancavano tutti i parenti e gli amici della Cina. Inoltre, essendo appena arrivata, non conoscevo né la lingua, né la zona in cui abitavamo; e poi litigavo spesso con mio fratello, per motivi anche stupidi, per esempio per il posto in cui sedersi a tavola. Piangevo tutte le notti nascosta nel mio lettino. Dormivo poco e mi svegliavo alle quattro o alle cinque di mattino. Mi sedevo davanti alla finestra da sola, guardavo silenziosamente e tristemente la luna e le stelle attraverso gli spazi tra un listello e l'altro della veneziana di legno abbassata. Non potevo alzarla, perché mio padre mi aveva detto che non si poteva.

Qualche settimana dopo la situazione è cambiata un po'. Non piangevo più così frequentemente e cominciavo a abituarmi alle nuove condizioni. Ma spesso il miglioramento di una cosa è accompagnato dal peggioramento di un'altra: mia madre mi ha fatto imparare i lavori domestici che non mi piacevano per niente. Lei diceva che in Italia non è come in Cina, che tutti dobbiamo lavorare, non fanno eccezione neanche i bambini. Non ero convinta per niente di questa cosa, perché mio fratello, che ha tre anni in più di me, non faceva nulla e aspettava che noi gli preparassimo tutto. Io non ero d'accordo, ma non potevo fare niente, perché per la maggior parte dei cinesi i figli sono sempre più importanti delle figlie. I figli vengono considerati "propri" anche quando sono sposati, perché hanno il compito di mantenere il nome della famiglia. Invece le figlie, una volta sposate, vengono considerate persone "estranee" alla famiglia, perché diventeranno mogli di altre persone, nuore di altre persone e madri di altre persone. Per questo motivo le figlie, ai tempi dell'imperatore e ancora oggi per molte persone, vengono paragonate spesso alle "merci del commercio perduto".

La scuola L'Italia è diversa dalla Cina, anche nella vita scolastica. Ricordo ancora il primo giorno di scuola, ero stupita dalla quantità degli insegnanti e degli studenti delle diverse classi, dagli argomenti delle materie e soprattutto dal comportamento dei compagni. Frequentavo la quinta elementare. Appena entrata in classe mi accorsi che c'erano solo sedici banchi e sedici sedie. Com'era possibile che eravamo così in pochi? In Cina, in quarta elementare, eravamo in cinquantatre. I banchi erano diversi da quelli cinesi, perché erano anche da due. In Cina ognuno ha il suo banco, che è grande quanto l'apertura dei gomiti. Mi era toccata per prima una lezione di matematica. La maestra chiedeva le tabelline. Il primo pensiero che mi era venuto in mente era che si trattava di un argomento troppo facile, perché in Cina questo era un argomento da seconda elementare. I miei compagni, per rispondere, si alzavano in piedi urlando le risposte; spesso si alzavano anche durante la lezione, senza permesso, per esempio per buttare delle carte o per prendere delle cose dagli altri; chiacchieravano spesso, anche a alta voce. Se fossimo stati in Cina, questi comportamenti sarebbero stati considerati dei segnali di maleducazione e sarebbero stati puniti. In Cina, quando si sta in classe, si ha infatti l'obbligo di ascoltare la lezione appoggiando i gomiti e tenendo diritta la testa. Non ci si può alzare senza permesso. L'insegnante usa una bacchetta per indicare alla lavagna, che è molto grande; in alcuni casi, ormai molto rari, può usare la bacchetta per battere gli alunni. In verità le punizioni corporali sono proibite In tutto il primo giorno di scuola avevo visto solo due insegnanti, che insegnavano molte materie diverse. Solo alla fine della scuola ho scoperto che erano le nostre due uniche insegnanti. In Cina ogni materia aveva un insegnante: lettere, scienze, matematica, fisica, musica, artistica e le altre. I primi giorni di scuola sono stati per me delle giornate noiosissime. Non capivo l'italiano e quindi non potevo partecipare alle lezioni. Le maestre mi facevano disegnare oppure riposare, anche se non ero stanca. Dopo alcune settimane, era venuta una maestra che mi portava in un'altra aula e mi insegnava l'italiano. Era molto brava e paziente. Se c'era una parola che non capivo, mi faceva dei disegni e mi faceva ripetere tante volte. Per fortuna nella mia classe c'erano due ragazze cinesi che mi facevano da interpreti. Avevo chiesto loro di insegnarmi per prima cosa le frasi per comunicare, tipo "come ti chiami". Loro mi facevano compagnia, altrimenti non so come avrei potuto sopravvivere.

Il capodanno
Il mio primo capodanno in Italia è stato il più brutto della mia vita. Non avevo nessun nuovo vestito, e, in Cina, questo era il minimo quando si festeggiava il capodanno; non avevo nessun parente con cui scambiare i regali e gli auguri, come si usa fra i cinesi il primo giorno dell'anno. Inoltre avevo ricevuto solo dieci mila lire come "mancia del nuovo anno".(1) In Cina avrei raggiunto una somma molto maggiore, dai nonni e dagli zii. E poi non avevo i cibi squisiti tipici del capodanno, come il "niangao"(2), che si mangia al mattino. Non si deve bere brodo, perché porta pioggia e sfortuna. Si mangia il pesce e la carne; la tradizione vuole che in ogni casa ci sia una scatola per i dolci, dove gli ospiti che vengono in visita per fare gli auguri depositano i propri. Il primo giorno dell'anno, poi, si fanno dei giochi tipici con le carte e con una specie di domino; si fanno scoppiare i fuochi d'artificio e molti petardi. Però bisogna fare attenzione, perché è abbastanza pericoloso: una volta mio fratello mi ha fatto scoppiare un petardo in tasca e mi stava prendendo fuoco tutto il vestito.

Il mio primo lavoro Sono ormai da sei anni in Italia e posso dire di aver vissuto degli eventi spiacevoli, ma sono più numerosi quelli che ricordo con piacere, per esempio la prima "mancia-stipendio" che ho guadagnato. E' una faccenda di tre anni fa. Mia madre faceva parte di un'associazione di donne cinesi che si chiama proprio così "Associazione di donne cinesi" e porta aiuto alle donne a i bambini bisognosi. Questa associazione, in occasione di una festa musicale, aveva organizzato un programma in una discoteca per raccogliere dei fondi. Nel programma era inserito il "Ballo dei tamburini cinesi", e grazie all'incoraggiamento di mia mamma, avevo partecipato anch'io. Era un numero molto popolare in Cina: il tamburino va portato legato la collo, davanti o sul fianco sinistro e i bastoncini sono decorati con fazzoletti rossi e trasparenti(3) che vanno su e giù quando si suona. Ci si muove su due file, che marciano una dietro l'altra, muovendo ritmicamente le braccia e le gambe. C'era una signora giovane che insegnava i modi per suonare i tamburini e i passi corrispondenti, era un numero simile alla ginnastica artistica. Dopo una settimana di allenamenti, finalmente era arrivato il giorno dell'esibizione. In tutto eravamo tredici ragazze e ci eravamo vestite in modo speciale: in testa avevamo una bandana blu, che ci faceva sembrare più vivaci e più carine. Indossavamo un "quipao", l'abito di colore rosso con i decori in oro con il colletto alla coreana e i bottoni di traverso dal collo all'ascella. Dopo il via della maestra il nostro ballo durava tre minuti. Ero molto fiera di me, non solo per i soldi che avevo guadagnato con questa esibizione, ma anche per i complimenti e per gli applausi che avevo ricevuto.
Dopo questa, ho avuto altre occasioni di lavorare. Con l'aiuto di una mia amica, ho trovato un lavoro part-time in un negozio di borse. Il primo giorno la proprietaria mi ha messo a pulire le borse con un panno, poi dovevo salutare i clienti con cortesia e invitarli a comprare. La proprietaria mi richiamava perché diceva che non dovevo aspettare che i clienti chiedessero, dovevo mostrare la merce con gentilezza. Ho fatto questo lavoro per circa sei mesi.
Il fatto che si possono fare tante esperienze, quante in Cina non avrei potuto fare, mi fa sentire orgogliosa di essere in Italia .
Come la maggior parte dei ragazzi che studiano in Italia o che parlano un po' l'italiano, anch'io devo fare l'interprete, innanzitutto per la mia famiglia. Mi capita di fare da interprete, non solo per i miei familiari, ma anche per altre persone che non conosco. In questi ultimi anni ho fatto l'interprete un po' dappertutto: negli gli uffici dei comuni, nelle questure, nelle agenzie, nelle fabbriche e nei negozi. Queste esperienze mi hanno fatto conoscere meglio le relazioni e i rapporti fra persone diverse. Di solito mi pagano per fare questo lavoro, ma non molto.
Adesso che anche qui in Italia ho degli amici cinesi e anche un'amica del cuore, non mi dispiacerebbe vivere per sempre su questo territorio "straniero" ma familiare.

* Il nome Xin Ru significa letteralmente "nuova lingua del serpente" e è di genere femminile. Spesso i nomi propri cinesi hanno un significato di buon augurio.

(1) La mancia per il nuovo anno è molto diffusa: si dà ai bambini e ai ragazzi, il nome cinese è "yasuiqian".

(2) "Niangao" significa letteralmente "anno alto" e si dà ai bambini perché crescano, non solo in senso fisico.

(3) Originariamente il fazzoletto era quadrato e di vari colori, per ricordare quello che si usava nella corte quando passava una persona aristocratica: per salutarla si doveva portare il fazzoletto dietro la spalla destra, trattenendolo con due dita, inchinandosi.

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Anno 2, Numero 9
September 2005

 

 

 

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