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l'allunaggio

yves lecomte

"Allora, cosa fanno?" chiese il malato prendendo il calmante che gli porgeva la moglie. Dalla stanza vicina gli giungevano la voce del giornalista che curava la telecronaca del viaggio verso la luna, e il rumore di qualche risata, subito soffocata.
"Niente di interessante" rispose la donna "stanno scherzando con quelli della base. Vuoi il televisore portatile?".
"Ti ringrazio, ma preferisco essere informato da te, se non ti disturba troppo". In realtà l'atteggiamento leggero dei cosmonauti gli era sembrato fuori luogo, deludente, in un momento storicamente solenne come quello che stavano vivendo.
"Non hai bisogno di niente? Il rumore non ti disturba?" domandò lei, visibilmente ansiosa di riprendere il suo posto accanto ai figli.
"No, al contrario. Mi fa compagnia". Quella voce lontana, un pò monotona, che si insinuava in lui fino a confondersi con il dolore, era pur sempre una fonte di vita. "Riusciranno?" si trovò a interrogarsi. In realtà la cosa non gli importava granché, ma questa domanda era uno dei pochi legami che gli erano rimasti con gli altri uomini e tagliarlo sarebbe stato come anticipare il proprio viaggio. Certo l'umanità stava realizzando un antichissimo sogno e compiendo un'impresa che riscattava un poco tutti i suoi crimini e le sue bassezze, ma lui avrebbe preferito parlare del futuro con i propri figli, dare loro gli ultimi consigli.
"Proprio ora dovevano andare sulla luna!..." si lamentò a voce alta, e questo pensiero gli fece tornare in mente la disavventura di un amico che aveva presentato il primo libro davanti ad una platea semi deserta: la stessa sera si stava svolgendo un importante evento musicale.
Il calmante appena assunto cominciò il suo effetto e lui cadde in un sonno agitato. Fece un sogno strano: era ancora bambino e i suoi genitori stavano per partire per un viaggio. Le valigie già pronte erano allineate vicino alla porta d'ingresso e sua madre aveva indossato il cappello con la veletta a nasconderle il viso. Lui la supplicava di portarlo con sé ma sembrava che non lo sentisse nemmeno. Nel suo silenzio c'era qualcosa di terribile che lo svegliò di soprassalto.
Con uno sforzo doloroso prese l'orologio sul comodino: le quattro del mattino e il televisore era ancora acceso. Ne provò sollievo, come se soltanto quel viaggio nello spazio avesse il potere di tenerlo in vita. Quanto tempo gli restava? Sicuramente poco, e questa certezza rendeva il suo isolamento ancora più doloroso. A cosa gli servivano queste ultime ore se non poteva condividerle con nessuno? Certo sua moglie stava spesso con lui, ma purtroppo veniva per assisterlo nei momenti peggiori, quando non era veramente in grado di parlare. Di colpo provò il bisogno di vederla e, come se l'avesse sentito, lei entrò in punta di piedi.
"Ma sei sveglio. Hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, di te" avrebbe voluto dirle, ma qualcosa come un resto di orgoglio glielo impedì. In quarant'anni di vita in comune non le aveva mai confessato quanto le volesse bene, e iniziare ora sarebbe stato tanto vigliacco quanto inopportuno. Certo, se le avesse chiesto di rimanergli accanto lei non avrebbe certo rifiutato, ma la poveretta si sacrificava già abbastanza, senza doverle imporre anche questo. Preferì aggrapparsi all'unico argomento che ancora li accumunava.
"Allora, i tuoi cosmonauti?" le chiese in tono scherzoso mentre lo aiutava ad alzarsi per rassettargli il letto.
"Ci sono quasi" rispose lei. "Stanno mettendo in moto il modulo lunare" aggiunse con disinvoltura, come se la parola facesse già parte del linguaggio corrente "ti avviserò quando sarà il momento".
"Chissà se ci sarò ancora" pensò lui mentre la porta si richiudeva. Quando aveva detto "i tuoi cosmonauti" intendeva proprio questo, anche se al momento non ne aveva avuta coscienza.
In un certo senso anche lei, come miliardi di persone, era con loro; lui, tra i pochissimi, era rimasto indietro, come un vecchio albero radicato al suolo. Lui era il passato, lei il futuro. "Si consolerà presto", e la immaginò nel loro salotto, i capelli già bianchi ma ancora piena di vita e di curiosità verso tutto ciò che capitava nel mondo.
Di nuovo una risata repressa coprì la voce monotona del telecronista, ed egli si sentì allo stesso tempo deluso e addolorato per quell'allegria così fuori luogo. Poi capiì di essere ingiusto. Come poteva chiedere ancora lacrime a chi aveva già pianto tanto. Era forse colpa dei figli e dei nipoti se era sopravvissuto al loro dolore? Lui stesso sapeva per esperienza quanto possa essere esasperante, soprattutto per dei giovani, una lunga agonia. A distanza di anni ricordava ancora quella di suo nonno. Rivedeva la vecchia casa dalla facciata coperta di edera dove trascorreva l'estate. Quell'anno non aveva potuto godersi le vacanze perché in una delle stanze un uomo non la finiva di morire. Era un malato difficile, il nonno, a giudicare dalle bacinelle d'acqua calda e dalle salviette che gli portavano diverse volte al giorno, un malato che necessitava di molte cure. Ma neppure tutta la devozione del mondo riusciva a soddisfarne le esigenze, e le sue scampanellate imperiose turbavano di continuo il silenzio delle grandi sale immerse nell'ombra, e i giochi dei bambini. Tutti quanti avevano provato sollievo quando quell'orribile campanello aveva taciuto per sempre. E c'era chi, pensando alle sofferenze patite dal malato, aveva ringraziato il cielo per averle abbreviate. Ora capiva il lato di egoismo e di ipocrisia che aveva ispirato discorsi che allora gli erano sembrati normali, addirittura caritatevoli.
Prima ci fu un falso allarme, poi il giornalista che conduceva la trasmissione si tramutò di colpo in un personaggio di Jules Verne per annunciare in termini solenni che l'Uomo aveva messo piede sulla luna. Il commentatore indossava un vestito estivo, ma lei lo vide in redingote, con il cappello a cilindro, ed immaginò scene di entusiasmo popolare simili a quelle che avevano salutato il primo volo umano, o la traversata dell'Atlantico. In quello stesso momento, in tutte le parti del mondo, miliardi di persone stappavano bottiglie per brindare a una nuova era, e quelle immagini a succedersi nella sua mente rendevano ancora più penosa la realtà che stava vivendo. "Devo avvertire vostro padre" disse ai figli sperando in una parola di incoraggiamento, e non ricevendo risposta continuò ad osservare le sagome degli astronauti, come un dormiente che non vorrebbe uscire dal suo sogno.

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Anno 0, Numero 2
December 2003

 

 

 

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