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la macchina da scrivere

antonio masella

In quel condominio popolare tutto era dimesso, un po' scalcinato, quasi fatiscente. E le pareti divisorie erano fragili e non tenevano. Le voci e i rumori domestici erano in comune, in un certo senso, formavano un tutt'uno. Questo alle volte era un bene, alle volte era un male. Ci si sentiva più a contatto, in ogni caso. Era difficile essere da soli, completamente. Certo, la televisione la faceva da padrona, ma anche i bambini si facevano sentire, a modo loro.
Per la ragazza del secondo piano tutto questo non era un fastidio. Anzi, aveva la sue preferenze. Quando partiva la macchina da scrivere del piano di sopra ci andava appresso.
E i fogli bianchi li riempiva lei, nella sua testa. Non aveva l'uso della vista, sin dalla nascita.
Non era ancora arrivato l'impero del computer - più silenzioso - e l'inquilino del terzo piano ci lavorava con quella macchina. Faceva dei lavoretti per una copisteria che era lì nei pressi, in zona universitaria. Ma in fondo non era scontento della sua attività, era un po' scontroso e così poteva starsene per conto suo. Niente lavori di gruppo e mense aziendali. Non era il tipo. E poi la sua libertà se la prendeva tutta. Quando batteva una cosa o l'altra, la sua fantasia era sempre altrove, in viaggio.
La ragazza la sentiva andare, quella macchina, nelle ore più impensate, e con ritmi diversi, irregolari; ora borbottava convulsamente, ora sussurrava sommessamente. Sembrava palpitare di vita propria. Tutto questo la incuriosiva, da morire. Un giorno, sul pianerottolo, sentì qualcuno scendere dal piano superiore e non riuscì a trattenersi:
"È lei che batte sempre a macchina a tutte le ore?" "Sì, sono io ... Perché, la disturbo?" balbettò quasi il signore.
"No, non mi disturba. Anzi, mi fa compagnia", la ragazza si aprì in un sorriso.
Passarono i giorni ma ci fu un'altra occasione. Si ritrovarono giù nel portone. Lui rincasava.
"Scusi se sono sfacciata a chiederglielo, ma mi piacerebbe tanto sapere: cosa scrive? Sono delle poesie o qualcosa del genere?"
Il signore fu preso alla sprovvista e non era il tipo da sapersela cavare in simili circostanze. Era in imbarazzo. Ma non era la prima volta con lei. Quando la incontrava, si sentiva osservato e cercava sempre di scappare via.
Quella volta ancora di più. Guardò negli occhi la ragazza. Fu troppo. Arrossì e rispose in fretta: "Sì, è proprio così" e salì di corsa le scale.
A questa prima menzogna ne seguirono altre, inevitabili. Ma non l'aveva fatto apposta, cercava di scusarsi con se stesso. Aveva voluto solo tagliar corto, a tutti i costi. Ma in fondo, vedersi un po' scrittore gli risollevava il morale. Si sentiva importante, ma era falso! Questo era il punto. Non poteva continuare così. L'equivoco durò per alcuni mesi. Poi una notte gli portò consiglio. Sognò la ragazza che gli strappava il foglio dalla macchina e lo leggeva arrabbiata. Non era possibile. Si svegliò di soprassalto, turbato. E continuava a pensare: lei non può leggere, non vede niente.
Ci pensò e ripensò tutto il giorno. Tornato a casa battè a macchina di getto la loro storia a parole sue. Dopo lesse il racconto ad alta voce e lo registrò. La cassetta era pronta.
La infilò nella sua buchetta della posta, guardandosi intorno.
La ragazza la ascoltò sconcertata e si commosse: un pianto composto, malinconico, che non si sarebbe sentito nel condominio.
Quando incontrò il signore per le scale, gli si avvicinò. Lui aveva paura, tanta, lei gli sfiorò il viso con la mano e gli dette un piccolo bacio sulla guancia.

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Anno 0, Numero 1
September 2003

 

 

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